Quando
ascolto
      i Pueblo People mi viene voglia di essere in montagna, d’inverno,
      andare al bar del paese e ingurgitare del Genepy. Dopodichè
      tornerei a casa,
      ingolferei il camino di legna e mi metterei a leggere Updike sino
      a crollare
      dal sonno. Spero di aver reso l’idea.
I
      tre
      ragazzi da Milano e Como arrivano al secondo disco, questa volta
      su 12”, dopo
      una tape autoprodotta intitolata The first four moons, da avere
      anche quella
      se non fosse andata sold out in poco più di un anno dalla sua
      uscita. Il nuovo lavoro si
      intitola Sentiero di
      guerra ed uscirà in aprile per Solo Vinili / Libri. 
In
      tutto
      abbiamo tre tracce lunghe e corroboranti intitolate, nell’ordine, Phantom
        ships, Eastbound sun e Warpath. Musicalmente i Pueblo People ci riportano al folk ed al
      fuzz psichedelico
      anni ’60, ma l’insieme è incredibilmente pervaso da una verve tutta punk e attitudine. Riflessioni, imperativi
      categorici e
      malinconia. “All you fuckers bring me down, it never changed a
      bit” recita
      infatti Eastbound sun.
      E per noi va
      più che bene, direi.  In Sentiero di guerra non vi
      sono
      contaminazioni né riferimenti: il suono non “strizza l’occhio” né
      tantomeno
      “prende spunto”. L’album
      intero è
      un’elegia totale alle piccole guerre combattute ogni giorno, al
      guadagnarsi da
      vivere combattendo, al non arrendersi.  Warpath, il brano più
      lungo del disco,
      parte psichedelico e sommesso per poi sferragliare in ritmi da
      cantina
      newyorchese, grazie ai quali le parole arrivano solo nella parte
      finale del
      brano, sommesse, aspirate e rivelatrici. Una liberazione. 
I
      Pueblo
      People riescono a riprodurre così il vero suono dei nostri tempi,
      ricalcandone
      le tonalità più cupe e recrudescenti. Persino il lieve ed allegro
      arpeggio con
      cui inizia Phantom Ships
      è un
      parossismo fondato su irrequietezza e calma apparente. Una nota
      ampiamente
      meritevole va data, tra l’altro, alle grafiche del disco, curate
      da Luca
      “Yety”: una composizione visionaria e cruda a fare da copertina
      all’album non
      poteva che impreziosire il tutto. Un Kevin Costner versione “Balla
      coi Lupi”,
      invece, era il welcoming committee del primo lavoro.Claudia,
Lorenzo
      e Nicola continuano a picchiare nel profondo delle nostre anime. Andrea Vecchio
 

 
 
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