12 dicembre 2006
Ion - Madre pròtegenos: le alchimie acustiche di un ex ‘Anathema’
Non è certo un artista 'emergente’ Duncan Patterson, musicista inglese (di Liverpool) trapiantato in Irlanda, e noto ai più per essere stato lo storico bassista dei primi Anathema (band con la quale ha collaborato fino ad Alternative 4, uscito nel 1998), e poi co-fondatore degli Antimatter gruppo sperimentale autore di un paio di dischi in bilico tra rock d’avanguardia e musica atmosferica... Ora Duncan torna a far parlare di sé sotto una luce completamente nuova con questo nuovo cd (e nuovissimo progetto a nome ‘Ion’), con ogni probabilità il progetto più ambizioso che il musicista inglese abbia mai partorito. Uscito per la portoghese Equilibrium Music lo scorso dicembre, Madre Protegenòs è infatti un disco che segna un nuovo e personalissimo percorso musicale nella carriera musicale di Patterson; un cd molto intimista e completamente acustico dove al suono della sua chitarra si sommano quelli di una infinità di altri strumenti ad arco e fiati (flauti, arpa, clarinetti e percussioni varie), con vocals quasi esclusivamente femminili (e quasi tutti appannaggio della bravissima cantante russa Emily Saanen). Numerosi e di diversa nazionalità (tra di loro anche l’italiana Valentina Buroni) i musicisti che si alternano al fianco dell’ex Anathema lungo i 9 brani del cd; dall’iniziale title-track (brano lentissimo ed evocativo, quasi doom nelle atmosfere, caratterizzato da un lento arpeggio di chitarra e da varie voci che, alternandosi, declamano in varie lingue il titolo del brano) alla bellissima Learpholl in cui si respira aria di folk popolare irlandese, per proseguire con l’algida Believe e la ballad per solo voce – con accompagnamento in sottofondo – di Goodbye Johnny dear (canzone della tradizione popolare irlandese, in cui i richiami al folk di cui sopra sono quanto mai evidenti e qui interpretata, magistralmente, dalla soave Emily Saaenen), ‘Madre, protegenòs’ si rivela un ascolto altamente emozionante ed intenso, a dispetto delle musica il più delle volte soffusa, quasi sussurrata. A guardar bene in effetti, gli unici legami con il passato musicale del nostro si possono riscontrare nel titolo del quarto brano, Anathema maranatha, ma è davvero lo spazio di un attimo. Nell'insieme un disco ottimamente prodotto (e suonato) e che risulta sicuramente accattivante, anche se magari non molto vario; un mix di suoni, influenze e, perché no, anche culture musicali differenti che convivono dando luogo ad un autentico pout-pourrì sonoro di sicuro valore ed interesse, in grado di farsi largo anche al di fuori della ristretta cerchia della cosiddetta ‘world music’. Luca Rancati
15 ottobre 2006
Tra ricordi (da toilette) e illusioni ecco il nuovo Moltheni
Ognuno di noi ha un’età migliore e quella di Moltheni è probabilmente arrivata con questo quarto album ufficiale (visto che nel cassetto resta il misterioso Forma mentis).
In Toilette Memoria i brani sono più ariosi rispetto al minimalismo di Splendore Terrore, più immediati rispetto al rock un po’ criptico di Fiducia nel nulla migliore, più curati rispetto all’esordio pop di Natura in Replay. Insomma il disco ha le carte in regola per arrivare e piacere a tanti. Certo rimane il tipico testo moltheniano, il linguaggio unico, l’approccio genuino e viscerale e poco importa se lo stile dell’album sceglie questa volta il folk, piuttosto che il rock o il minimalismo acustico. Nell’abbondanza qualitativa dell'album emergono Eternamente nell’illusione di te, Nella mia bocca, Io, la strumentale Deserto biondo, mentre sprofonda Sento che sta per succedermi qualcosa brano di rara delicatezza nel quale la collaborazione con Franco Battiato poteva essere maggiormente valorizzata.
Da notare la continuazione del ciclo “ligneo” che dopo Legno (Fnnm) e Nel potere del legno (Splendore Terrore) prosegue con Nel futuro potere del legno che sceglie un arrangiamento orchestrale. Apparentemente interlocutoria la traccia finale Cavalli sciolti del nord con ospiti Alberto e Luca Ferrari dei Verdena, ma ad un ascolto più approfondito si coglie lo spirito più autentico del brano, un divertissement psichedelico dove il dilatarsi dei suoni richiama l'ebbrezza cantata dalle parole. L'età migliore è invece un singolo perfetto: è un pezzo che dona aromonia e positività, nonostante il testo lasci trapelare il realismo tipico dell'Umberto Giardini style (riaffronta la realtà, di chi potrebbe darti ma non dà). Di sicuro questa canzone resterà nella memoria come una delle più apprezzate del Moltheni; ottimo anche l'arrangiamento che sceglie il vibrafono come complemeto agli strumenti solitamente utilizzati dalla band.
Moltheni, ripercorre i ricordi della toilette (il titolo deriva appunto dal ritrovamento di una anziana morta in bagno, mentre stringeva tra le mani una foto di quando era giovane) non nascondendo un accenno al suo lavoro reale, il vigile del fuoco, che fa da complemento alla sua carriera musicale e alimenta con la giusta quantità d’aria un fuoco che non si spegne. Roberto Conti
In Toilette Memoria i brani sono più ariosi rispetto al minimalismo di Splendore Terrore, più immediati rispetto al rock un po’ criptico di Fiducia nel nulla migliore, più curati rispetto all’esordio pop di Natura in Replay. Insomma il disco ha le carte in regola per arrivare e piacere a tanti. Certo rimane il tipico testo moltheniano, il linguaggio unico, l’approccio genuino e viscerale e poco importa se lo stile dell’album sceglie questa volta il folk, piuttosto che il rock o il minimalismo acustico. Nell’abbondanza qualitativa dell'album emergono Eternamente nell’illusione di te, Nella mia bocca, Io, la strumentale Deserto biondo, mentre sprofonda Sento che sta per succedermi qualcosa brano di rara delicatezza nel quale la collaborazione con Franco Battiato poteva essere maggiormente valorizzata.
Da notare la continuazione del ciclo “ligneo” che dopo Legno (Fnnm) e Nel potere del legno (Splendore Terrore) prosegue con Nel futuro potere del legno che sceglie un arrangiamento orchestrale. Apparentemente interlocutoria la traccia finale Cavalli sciolti del nord con ospiti Alberto e Luca Ferrari dei Verdena, ma ad un ascolto più approfondito si coglie lo spirito più autentico del brano, un divertissement psichedelico dove il dilatarsi dei suoni richiama l'ebbrezza cantata dalle parole. L'età migliore è invece un singolo perfetto: è un pezzo che dona aromonia e positività, nonostante il testo lasci trapelare il realismo tipico dell'Umberto Giardini style (riaffronta la realtà, di chi potrebbe darti ma non dà). Di sicuro questa canzone resterà nella memoria come una delle più apprezzate del Moltheni; ottimo anche l'arrangiamento che sceglie il vibrafono come complemeto agli strumenti solitamente utilizzati dalla band.
Moltheni, ripercorre i ricordi della toilette (il titolo deriva appunto dal ritrovamento di una anziana morta in bagno, mentre stringeva tra le mani una foto di quando era giovane) non nascondendo un accenno al suo lavoro reale, il vigile del fuoco, che fa da complemento alla sua carriera musicale e alimenta con la giusta quantità d’aria un fuoco che non si spegne. Roberto Conti
15 luglio 2006
Intervista - Super elastic bubble plastic e la condizione ok
Questa intervista è stata realizzata in collaborazione con i ragazzi della webzine BlackOut69
La serata che abbiamo passato in compagnia dei Super Elastic Bubble Plastic è una di quelle che di sicuro non dimenticheremo. Non perché sia stata del tutto negativa, ma perché in quel del festival Giovani Espressioni sono occorse una serie di sfighe da farci accarezzare l’idea di un qualche accanimento di entità superiori nei nostri confronti. In primis, le condizioni atmosferiche diciamo avverse, che hanno di molto rimandato l’esibizione dei gruppi finalisti del contest di cui i Sebp erano chiusura, e consequenzialmente quella dei Super Elastic, il cui concerto aspettavo da tempo e, per motivi di tempo, clima, orari, è durato lo spazio di sole tre canzoni (per la cronaca, 16 bits vs 16 trks on 2”, So Shy e Selfmade Popsong); in secundis, un parco semivuoto trasformato in campo di battaglia a causa di una rissa tra immigrati alticci sedata da forze di polizia in netta superiorità e dal manganello facile (senza parafrasare, hanno diviso due cretini che continuavano a fare a botte isolandone uno e caricandolo di manganellate, solo che loro erano in cinque).
A parte la cornice non proprio ideale, l’intervista col batterista Alessio è stata condotta in un clima (paradossalmente) molto cordiale.
Ho letto su in una nota promozionale che se The swindler è il braccio armato, Small rooms è il mandante: cosa intendete con questa affermazione?
Sebp: Tra The Swindler e Small rooms c’è una differenza di base, proprio per come sono stati concepiti: The Swindler è venuto fuori in un momento in cui abbiamo buttato tutto quello che avevamo su disco, era il concerto a cui avremmo voluto assistere, era quello che abbiamo portato in giro negli anni che vanno da quando abbiamo iniziato a comporre all’effettiva pubblicazione dell’album, quindi è un disco d’impatto, diretto; Small rooms invece è più ragionato, vuole essere più “un disco”. Ci siamo stati dietro molto più tempo: i pezzi li suonavamo dal vivo già da un po’, ma nell’ultimo mese prima di entrare in studio li abbiamo completamente riarrangiati finché non ci hanno soddisfatto completamente.
Ho notato che rispetto a The Swindler il vostro suono si è incupito sul nuovo album: questo è frutto di un intenzione vostra, di un’evoluzione naturale, o cos’altro?
Sebp: Il primo album è più tagliente, mentre questo è più curato nella produzione: abbiamo avuto molto più tempo da trascorrere in studio, abbiamo avuto modo di sperimentare dei più, hanno provato a collegare tantissime testate e casse fino ad ottenere esattamente il suono che cercavano; per registrare The Swindler abbiamo avuto a disposizione una settimana, quindi abbiamo registrato col suono grezzo di allora e perciò il disco è venuto così. Per Small rooms era nelle intenzioni ottenere un disco più ragionato, più studiato negli arrangiamenti e nei suoni, in generale più curato.
Siete nati come gruppo d’improvvisazione. Oggi questo quanto conta nel vostro modo di comporre i pezzi?
Sebp: Guarda, l’improvvisazione del nostro primo periodo è una cosa veramente a parte, noi cercavamo qualsiasi posto in cui andare a suonare, andavamo lì senza uno straccio di pezzo e suonavamo quello che veniva. Era musica molto diversa da quella che facciamo ora, più tranquilla, più influenzata dalla psichedelia, quindi canzoni lunghe e dilatate, con tutti i tempi che ti servono per ingranare mentre stai suonando dal vivo; questa componente si è ripercossa soprattutto sui pezzi di The Swindler, sono canzoni venute fuori di getto, l’approccio d’improvvisazione c’è ancora perché non è che uno viene in sala prove con un giro, un’idea, e si compone su quello; l’improvvisazione è stata una scuola, ci ha aiutato moltissimo.
Un’amica, parlandomi di The Swindler, ha definito il vostro suono come “un incrocio tra gli One Dimensional Man e i Motorhead”, ed a me è parsa calzante. Vi ci ritrovate?
Sebp: Il discorso Motorhead forse è legato al modo di cantare di Gionata, con questa voce un po’ rauca, grezza…però ti dico che nessuno di noi ha mai ascoltato un disco dei Motorhead (risate, ndr)… gli One Dimensional Man sono un gruppo che abbiamo sempre stimato tantissimo, ed è anche vero che abbiamo il 90% del background musicale in comune, anche loro come noi vengono da ascolti come Melvins, Jesus Lizard, Shellac e tutta quella scuola post hardcore, se si vuole chiamare così, degli anni ’90…
Poi il loro chitarrista vi ha anche prodotto…
Sebp: Si, poi c’è anche questo discorso della produzione, Giulio (Favero, chitarrista degli Odm) ci ha registrato The Swindler, dando anche le basi di quella che poteva essere una produzione artistica, con Small Rooms è diventato produttore a tutti gli effetti… questa collaborazione ci è servita soprattutto dal punto di vista dei suoni, Giulio è una persona fantastica ed un musicista completo, suona praticamente tutto, e poi anche avere un orecchio esterno al nostro è stato utilissimo.
Ho letto che nei vostri testi ci sono riferimenti alla politica: pensate sia importante sensibilizzare la gente attraverso la musica?
Sebp: Credo non ci siano gruppi schierati o non schierati, credo ci siano momenti in cui bisogna parlare di politica…i pezzi sono nati in periodi differenti: su The Swindler il pezzo politico è Come with U.S. che parla esplicitamente dell’episodio delle torri gemelle e di quello che succede in medio oriente… In generale quando è nato quel pezzo ci irritava particolarmente l’atteggiamento degli Stati Uniti nei confronti del resto del mondo… anche Souvenir d’Italie è una canzone che tratta la situazione in Italia durante lo scorso governo, che erano né più né meno dei fascisti (risate, ndr); in Small Rooms il discorso politico c’è meno, è più diluito nei pezzi… in generale comunque la musica è espressione, se mi sento di dire qualcosa lo dico, che sia parlare di una scopata o appunto di politica…
Ultimamente molti gruppi raggiungono il successo anche grazie al passaparola su internet. Siete pro o contro il download?
Sebp: Noi siamo sostenitori del peer to peer e del download, mi fa molto piacere quando vado su eMule e vedo le fonti da cui scaricare le nostre canzoni aumentano, il mio interesse è che la musica giri e che la gente venga ai concerti, il fine di tutto per noi è suonare dal vivo…
Molte band ora raggiungono il successo grazie a Myspace, voi cosa ne pensate?
Sebp: Beh, noi abbiamo una pagina su Myspace, che tra l’altro curo personalmente, ed effettivamente può essere d’aiuto… però non è sufficiente da solo, bisogna avere un ufficio stampa, perché se no non combini un cazzo; internet è un mezzo che offre talmente tante finestre sul mondo che avere così tanta visibilità a volte non ti porta comunque a nulla…aiuta se sei bravo anche a tenere i contatti con la gente, se sei spudorato nel proporti in giro, ci sono gruppi che grazie a soulseek (programma di peer to peer con anche community, ndr) riescono ad organizzare tour europei, e questo è sicuramente un aspetto figo di internet; se non ci fosse questo sarebbe tutto molto più complicato, anche perché coi tempi che corrono è molto difficile ritagliarsi uno spazio sui canali standard, le radio, la televisione…internet dà spazio a chiunque ma è un’arma a doppio taglio, bisogna essere in grado di utilizzare quello che ti mette a disposizione, che non vuol dire mandare milioni di mail a chiunque… se l’approccio è quello giusto aiuta sicuramente.
I vostri primi concerti sono stati in un negozio d’abbigliamento, “Feel Sleepy” è nata dalla frustrazione di non trovare un contratto: come giudicate la situazione della musica emergente in Italia?
Sebp: Guarda, è un disastro… credo che il discorso live oggi vada bene solo ai BlueBeaters… (risate, ndr) perché, anche parlando con altri gruppi, tutti hanno notato un forte calo di affluenza ai concerti; sono state fatte delle leggi che hanno messo i bastoni tra le ruote ai gestori di locali che vogliono fare musica dal vivo, è subentrata un casino di burocrazia, è diventato proprio difficile creare le situazioni adatte…poi anche molti locali hanno chiuso, se pensi che fino a 10 anni fa c’erano gruppi che facevano 170 – 200 date l’anno adesso è una cosa impensabile, è già buona fare 80, 100 date…
Anche per voi è più difficile organizzare le date?
Sebp: È difficile perché, a parte nelle grandi città, i concerti vengono fatti per la maggior parte durante il fine settimana, ci sono un casino di gruppi e gli spazi sono quelli che sono… anche se volessimo suonare tutte le sere, non ci sarebbero fisicamente i posti dove andare; è una cosa abbastanza triste, se vedi che all’estero ci sono tantissimi locali dove fare musica….
Che oltretutto non vogliono gruppi cover… è anche una questione di cultura diversa, di approccio diverso…
Sebp: Certo…si è anche un po’ persa questa cosa del concerto come avvenimento, noi abbiamo fatto un tour in Belgio a febbraio e lì vivono il concerto in maniera diversa, a parte l’utenza che ha un’età molto più alta, loro vengono ai concerti, ti ascoltano, l’atmosfera è totalmente diversa, è una festa…in Italia la situazione è cambiata in peggio, si spera che questo sia il fondo da cui si può solo risalire.
A parte la cornice non proprio ideale, l’intervista col batterista Alessio è stata condotta in un clima (paradossalmente) molto cordiale.
Ho letto su in una nota promozionale che se The swindler è il braccio armato, Small rooms è il mandante: cosa intendete con questa affermazione?
Sebp: Tra The Swindler e Small rooms c’è una differenza di base, proprio per come sono stati concepiti: The Swindler è venuto fuori in un momento in cui abbiamo buttato tutto quello che avevamo su disco, era il concerto a cui avremmo voluto assistere, era quello che abbiamo portato in giro negli anni che vanno da quando abbiamo iniziato a comporre all’effettiva pubblicazione dell’album, quindi è un disco d’impatto, diretto; Small rooms invece è più ragionato, vuole essere più “un disco”. Ci siamo stati dietro molto più tempo: i pezzi li suonavamo dal vivo già da un po’, ma nell’ultimo mese prima di entrare in studio li abbiamo completamente riarrangiati finché non ci hanno soddisfatto completamente.
Ho notato che rispetto a The Swindler il vostro suono si è incupito sul nuovo album: questo è frutto di un intenzione vostra, di un’evoluzione naturale, o cos’altro?
Sebp: Il primo album è più tagliente, mentre questo è più curato nella produzione: abbiamo avuto molto più tempo da trascorrere in studio, abbiamo avuto modo di sperimentare dei più, hanno provato a collegare tantissime testate e casse fino ad ottenere esattamente il suono che cercavano; per registrare The Swindler abbiamo avuto a disposizione una settimana, quindi abbiamo registrato col suono grezzo di allora e perciò il disco è venuto così. Per Small rooms era nelle intenzioni ottenere un disco più ragionato, più studiato negli arrangiamenti e nei suoni, in generale più curato.
Siete nati come gruppo d’improvvisazione. Oggi questo quanto conta nel vostro modo di comporre i pezzi?
Sebp: Guarda, l’improvvisazione del nostro primo periodo è una cosa veramente a parte, noi cercavamo qualsiasi posto in cui andare a suonare, andavamo lì senza uno straccio di pezzo e suonavamo quello che veniva. Era musica molto diversa da quella che facciamo ora, più tranquilla, più influenzata dalla psichedelia, quindi canzoni lunghe e dilatate, con tutti i tempi che ti servono per ingranare mentre stai suonando dal vivo; questa componente si è ripercossa soprattutto sui pezzi di The Swindler, sono canzoni venute fuori di getto, l’approccio d’improvvisazione c’è ancora perché non è che uno viene in sala prove con un giro, un’idea, e si compone su quello; l’improvvisazione è stata una scuola, ci ha aiutato moltissimo.
Un’amica, parlandomi di The Swindler, ha definito il vostro suono come “un incrocio tra gli One Dimensional Man e i Motorhead”, ed a me è parsa calzante. Vi ci ritrovate?
Sebp: Il discorso Motorhead forse è legato al modo di cantare di Gionata, con questa voce un po’ rauca, grezza…però ti dico che nessuno di noi ha mai ascoltato un disco dei Motorhead (risate, ndr)… gli One Dimensional Man sono un gruppo che abbiamo sempre stimato tantissimo, ed è anche vero che abbiamo il 90% del background musicale in comune, anche loro come noi vengono da ascolti come Melvins, Jesus Lizard, Shellac e tutta quella scuola post hardcore, se si vuole chiamare così, degli anni ’90…
Poi il loro chitarrista vi ha anche prodotto…
Sebp: Si, poi c’è anche questo discorso della produzione, Giulio (Favero, chitarrista degli Odm) ci ha registrato The Swindler, dando anche le basi di quella che poteva essere una produzione artistica, con Small Rooms è diventato produttore a tutti gli effetti… questa collaborazione ci è servita soprattutto dal punto di vista dei suoni, Giulio è una persona fantastica ed un musicista completo, suona praticamente tutto, e poi anche avere un orecchio esterno al nostro è stato utilissimo.
Ho letto che nei vostri testi ci sono riferimenti alla politica: pensate sia importante sensibilizzare la gente attraverso la musica?
Sebp: Credo non ci siano gruppi schierati o non schierati, credo ci siano momenti in cui bisogna parlare di politica…i pezzi sono nati in periodi differenti: su The Swindler il pezzo politico è Come with U.S. che parla esplicitamente dell’episodio delle torri gemelle e di quello che succede in medio oriente… In generale quando è nato quel pezzo ci irritava particolarmente l’atteggiamento degli Stati Uniti nei confronti del resto del mondo… anche Souvenir d’Italie è una canzone che tratta la situazione in Italia durante lo scorso governo, che erano né più né meno dei fascisti (risate, ndr); in Small Rooms il discorso politico c’è meno, è più diluito nei pezzi… in generale comunque la musica è espressione, se mi sento di dire qualcosa lo dico, che sia parlare di una scopata o appunto di politica…
Ultimamente molti gruppi raggiungono il successo anche grazie al passaparola su internet. Siete pro o contro il download?
Sebp: Noi siamo sostenitori del peer to peer e del download, mi fa molto piacere quando vado su eMule e vedo le fonti da cui scaricare le nostre canzoni aumentano, il mio interesse è che la musica giri e che la gente venga ai concerti, il fine di tutto per noi è suonare dal vivo…
Molte band ora raggiungono il successo grazie a Myspace, voi cosa ne pensate?
Sebp: Beh, noi abbiamo una pagina su Myspace, che tra l’altro curo personalmente, ed effettivamente può essere d’aiuto… però non è sufficiente da solo, bisogna avere un ufficio stampa, perché se no non combini un cazzo; internet è un mezzo che offre talmente tante finestre sul mondo che avere così tanta visibilità a volte non ti porta comunque a nulla…aiuta se sei bravo anche a tenere i contatti con la gente, se sei spudorato nel proporti in giro, ci sono gruppi che grazie a soulseek (programma di peer to peer con anche community, ndr) riescono ad organizzare tour europei, e questo è sicuramente un aspetto figo di internet; se non ci fosse questo sarebbe tutto molto più complicato, anche perché coi tempi che corrono è molto difficile ritagliarsi uno spazio sui canali standard, le radio, la televisione…internet dà spazio a chiunque ma è un’arma a doppio taglio, bisogna essere in grado di utilizzare quello che ti mette a disposizione, che non vuol dire mandare milioni di mail a chiunque… se l’approccio è quello giusto aiuta sicuramente.
I vostri primi concerti sono stati in un negozio d’abbigliamento, “Feel Sleepy” è nata dalla frustrazione di non trovare un contratto: come giudicate la situazione della musica emergente in Italia?
Sebp: Guarda, è un disastro… credo che il discorso live oggi vada bene solo ai BlueBeaters… (risate, ndr) perché, anche parlando con altri gruppi, tutti hanno notato un forte calo di affluenza ai concerti; sono state fatte delle leggi che hanno messo i bastoni tra le ruote ai gestori di locali che vogliono fare musica dal vivo, è subentrata un casino di burocrazia, è diventato proprio difficile creare le situazioni adatte…poi anche molti locali hanno chiuso, se pensi che fino a 10 anni fa c’erano gruppi che facevano 170 – 200 date l’anno adesso è una cosa impensabile, è già buona fare 80, 100 date…
Anche per voi è più difficile organizzare le date?
Sebp: È difficile perché, a parte nelle grandi città, i concerti vengono fatti per la maggior parte durante il fine settimana, ci sono un casino di gruppi e gli spazi sono quelli che sono… anche se volessimo suonare tutte le sere, non ci sarebbero fisicamente i posti dove andare; è una cosa abbastanza triste, se vedi che all’estero ci sono tantissimi locali dove fare musica….
Che oltretutto non vogliono gruppi cover… è anche una questione di cultura diversa, di approccio diverso…
Sebp: Certo…si è anche un po’ persa questa cosa del concerto come avvenimento, noi abbiamo fatto un tour in Belgio a febbraio e lì vivono il concerto in maniera diversa, a parte l’utenza che ha un’età molto più alta, loro vengono ai concerti, ti ascoltano, l’atmosfera è totalmente diversa, è una festa…in Italia la situazione è cambiata in peggio, si spera che questo sia il fondo da cui si può solo risalire.
Questo è un festival di band emergenti: avete avuto l’occasione di ascoltare qualcuno di interessante? C’è qualche band della scena emergente italiana che vi sentite di consigliare?
Sebp: Penso che il gruppo migliore in Italia in questo momento siano i Dead Elephant, un gruppo di Cuneo che spacca veramente il culo…
Li hai conosciuti suonandoci assieme?
Sebp: Li ho scoperti per caso in un locale a Mantova, poi li ho invitati ad un festival che organizzavo e mi hanno davvero impressionato… è gente che suona, ma davvero, ci butta dentro tutto, e non è così scontato…chi ama gruppi come gli Isis apprezzerà sicuramente anche loro, ma comunque ci sono tantissimi gruppi validi… i Pig Tails, di cui siamo molto amici, per chi ama il punk rock, oppure i Forty Winks… ci sono le Agata, un trio di ragazze di Milano, fantastiche, ma anche i The Death Of Anna Karina, Ornaments…e fa incazzare il fatto che non riescano a sfondare, perché anche da parte delle etichette non c’è il coraggio di buttarsi su certi progetti.
Avete aperto per gruppi come i Dinosaur jr, Korn, presto suonerete coi Placebo: c’è qualcuno in particolare con cui sognate di dividere il palco?
Sebp: Personalmente mi piacerebbe un casino aprire per i Motorpsycho, che è un gruppo che io amo moltissimo…hanno fatto ultimamente un paio di dischi non eccezionali, poi con l’ultimo si sono un po’ ripresi…si, per loro mi piacerebbe di brutto fare un apertura di concerto, ma ci piacerebbe aprire per moltissimi gruppi. Oltre questo, vorrei riuscire ad organizzare un tour con alcuni dei gruppi di cui ti ho parlato prima, prendere il furgone e partire coi Dead Elephant o i Forty Winks, proprio per un discorso umano: molte volte certo, apri per il gruppo figo, hai la possibilità di suonare davanti a tanta gente, e quella è tutta promozione, ma la figata di essere in giro è anche instaurare un rapporto umano con gli altri gruppi: quando eravamo in Belgio abbiamo trovato gente con cui siamo stati molto bene…preferisco suonare col gruppo sconosciuto con cui mi trovo bene che aprire per i Mogwai che sono degli sbruffoni…
No… non puoi dirmi così… io li adoro…
Sebp: Si, sono un gran gruppo, anche a me piacciono un casino, però alla fine non ci hanno neppure “stracunato” (il mantovano mi è alieno, ma credo significhi “cagato”, ndr) di striscio…a Civitavecchia con i Korn c’era un backstage blindato e loro se ne sono creati uno ancora più blindato dentro…così da un lato è bello suonare davanti a tantissima gente, ma dall’altro non c’è scambio, non impari nulla di nuovo, la cosa bella del suonare con più gruppi è il rapportarsi con gli altri, come quando abbiamo aperto il tour dei One Dimensional man…
Qual è stato il gruppo, il disco o la canzone che vi ha spinto a prendere in mano uno strumento?
In queste cose si va a pescare tra gli ascolti che si fanno a 15, 16 anni… potrei citarti i Nirvana tra i gruppi che mi hanno fatto proprio venire voglia di suonare all’epoca, per Gionata sono stati i Led Zeppelin… oppure i Motorpsycho, i Jesus Lizard, sono tutti gruppi con cui ho imparato a suonare.
staff BlackOut69 e Roberto Conti
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