31 marzo 2012

Le note scivolano sull'acqua con Saba Anglana, nuova promessa della musica afro


Nuovo album (il terzo dopo Jidka del 2006 e Biyo del 2010) per Saba Anglana, cantante e attrice italo-somala, con padre italiano e madre somala emigrata dall’Ogaden etiope. Nata a Mogadiscio in pieno regime di Siad Barre, all’età di cinque anni dovette fuggire a Roma con la sua famiglia. Saba è l’esempio di come la musica e l’arte in generale riescano a puntare i riflettori su tematiche importanti che altrimenti non verrebbero considerate. Da sempre questa artista che si definisce ibrida, considerata straniera ovunque vada, porta avanti attraverso la sua musica di indubbia qualità il progetto per la costruzione di pozzi d’acqua nel suo Paese (è testimonial di Amref). Con la sua voce melodiosa ci racconta la sua terra con il giusto mix tra sonorità occidentali e afro. Funk, Soul e Jazz per ricordarci che l’acqua è un bene preziosissimo e che per l’11% della popolazione mondiale è una risorsa inesistente che causa la morte di 4.000 bambini al giorno.
Da questo nuovo album dal titolo Llfe Changanyisha (metà inglese, metà swahili, significa la vita ci mescola) è tratto il singolo From within il cui video ci porta in un’altra dimensione e ci aiuta a capire qualcosa di più anche della sensibilità della stessa artista. Come dice Saba: l’acqua è indispensabile come l’amore. Alessandra Terrone

28 marzo 2012

Dai racconti brevi al romanzo con Mondadori - Maria Paola Colombo racconta i segreti del suo esordio letterario (Streaming audio)



Streaming audio dell'aperitivo-intervista


Prima presentazione “in casa” per Maria Paola Colombo, l’esordiente di punta di Mondadori che sta ottenendo significativo riscontro con il romanzo “Il negativo dell’amore”. La nostra concittadina, è stata ospite nel festival “Voci di donna” con una seguitissima presentazione all’auditorium del Brera di Novara. Maria Paola, oggi trentenne, ha trascorso la sua giovinezza tra Ostuni e Novara, luoghi nei quali è ambientato il romanzo. Ha frequentato l’ultimo anno di liceo classico a Novara, la facoltà di Lettere a Vercelli e a soli 20 anni ha cominciato a lavorare in banca, 'a quel punto ho pensato che le mie velleità di scrittura fossero archiviate per sempre, ma dopo qualche anno la passione ha prevalso e sono tornata a comporre perlopiù piccoli racconti'. Una circostanza fortunata, un incontro della sorella con Giulia Ichino, è stata la slidind-door che ha aperto a Maria Paola un varco verso il mondo dell’editoria: 'Sono approdata a Mondadori con una raccolta di racconti: Giulia Ichino, la mia futura editor, ne ha apprezzato la voce narrativa, e mi suggerito di lavorare su un romanzo che in Italia ha maggiore appeal commerciale per un esordiente. Dopo qualche tempo ho proposto la trama analitica del romanzo e le prime 50 pagine. Mondadori ha apprezzato e da lì è partita questa fortunata avventura'.
Il romanzo ha richiesto quatto settimane di stesura, ed è stato scritto in Slovenia nei pressi di Porto Rose, durante una vacanza. 'Nello scrivere il libro ho portato avanti un’indagine sulla ricerca della felicità. Lo spunto è arrivato dalla lettura di un articolo di giornale su una madre che si era gettata nel fiume con il suo bambino, ne è nata una riflessione sul trovare il proprio posto nel mondo: c’è chi parte da pochi metri dal traguardo e chi parte da lontano, dalla Siberia. Nonostante questo, non è dato sapere chi arriverà prima. La forza della risposta è arrivata appunto scrivendo, e anche la suddivisione del romanzo in “muri”, “porte” e “chiavi” indica l’attraversamento e il desiderio di arrivare come metodo della ricerca della felicità'.
La trama racconta le vicende apparentemente diverse di due bambini che nel finale arrivano ad incontrarsi. Cica è una bambina del Nord (vive appunto per molti anni a Novara) che ha il terrore dell’acqua, qualche tempo prima sua madre ha tentato di ucciderla gettandosi nel fiume e trascinandola con sé. Cica è sopravvissuta, ma si trascina dietro un vuoto, una fobia e due cicatrici sulla schiena. Walker è invece un bambino del Sud con un cromosoma in più, adora Walker Texas Ranger, il nonno Gaetano e il cavallo Fulmine. Le loro due famiglie sono molto diverse, quella di Walker è la classica famiglia meridionale, numerosa, con il nonno contadino sempre indaffarato, la nonna brontolona e la mamma premurosa. Quella di Cica invece è un nucleo ridotto a due elementi: dominata in ogni dettaglio dalle ossessioni dell’ingegner Rivetti, un uomo prigioniero di se stesso e di una tragica verità. Cica e Walker si incontreranno in una notte d’ottobre, ormai adolescenti e alla ricerca del proprio posto nel mondo.
Una storia nella quale molti hanno rilevato analogie con “La solitudine dei numeri primi” altro folgorante esordio, sempre per Mondadori, di Paolo Giordano. Oltre alla forza del plot, il romanzo della Colombo ha tra i propri pregi una scrittura immediata, diretta e ricca di metafore, che sa raccontare alla perfezione il confine tra la diversità più evidente e quella normalità di non è affatto facile individuare un profilo certo. Roberto Conti






25 marzo 2012

'La testa indipendente' quattro chiacchiere con le band del territorio: Dead.Like.Me

I Dead.Like.Me nascono nel 2007 da un’idea di Simone Volpin, voce e chiatarra, (ex Fuzz Fuzz Machine, D-Touch e Nightside) e Fada. Un progetto destinato a subire numerosi cambiamenti, complice un’evoluzione stilistica che volge, quasi da subito, verso scenari sempre più dettagliati di un rock melodico e corposo. Nel Settembre del 2010 esce il loro primo Ep, omonimo, un concentrato poderoso di sonorità ruvide e trascinanti, dove i ragazzi mostrano una tensione creativa in fase di cristallizzazione. Un assetto che non tarda ad arrivare grazie ai cambi nella formazione che vede l’unico membro stabile, il vocalist chitarrista Volpin, prendere il completo controllo delle sonorità dei Dead.Like.Me. Numerose date in tutto il nostro territorio (una delle quali li ha visti aprire per i Linea77), ha permesso alla formazione novarese di collaudare il proprio dettame sonoro, convogliando gli sforzi verso un definitivo assestamento. Entriamo nel dettaglio della band con il frontman Simone Volpin che ci mostrerà più da vicino la sua creatura.

La formazione ha cambiato più volte faccia, parlaci di questi cambiamenti, da cosa sono stati dettati? Ogni cambiamento “strutturale” e di contenuti all’interno della band ha avuto una sua ragione. Per quanto riguarda la formazione eravamo arrivati a quella che secondo me era ottimale, con me alla voce e chitarra, Pol all’altra chitarra, Fede (l’ultimo arrivato) al basso e Tia alla batteria. Le persone che in questi anni hanno fatto parte del progetto DLM sono state tutte allontanate diciamo per scelte “tecniche” tranne una che se n'è andata di sua spontanea volontà. Questi cambi sono andati in parallelo alla nostra evoluzione musicale che ci ha portato a suonare decisamente più rock negli ultimi periodi.

Come nascono le vostre canzoni?
Le nostre canzoni sono nate tutte dal ritrovarsi in saletta e proporre ciascuno del proprio materiale. Da piccole cellule sono cresciute poi quelle sarebbero diventate canzoni.

Avete inciso sia in inglese che in italiano, in quale assetto vi trovate meglio e perchè?
Difficile a dirsi. Con l’italiano abbiamo provato per vedere se i pezzi potessero arrivare di più a chi ci seguiva. L’inglese forse per un genere come il nostro è  più adatto e musicale, "fa piu’ rock” insomma!

Quali sono le vostre principali influenze?
Molteplici, tanto che a indicarle tutte ci vorrebbe uno spazio dedicato. Nessuno di noi ascolta o è fissato su un genere specifico tranne qualche piccola preferenza anche in base al periodo storico ovviamente. Questa cosa ci ha molto aiutato a non cercare di copiare questo o quell’artista.

Quali sono le più grandi difficoltà per una band giovane come la vostra?
Avere le conoscenze giuste senza dubbio. Se non le hai non vai da nessuna parte nemmeno se sei un fenomeno.

Attualmente siete in studio di registrazione?
No, attualmente siamo in un periodo di pausa a tempo indeterminato!

Cosa vi ha lasciato aprire una data dei Linea77?
Una data come un’altra. Non fraintendermi ma onestamente è stato quasi come suonare in due posti diversi; diciamo che è stata bella come situazione in generale ma nulla di più. 

Parlando di dimensione live, è difficile oggi trovare posti in cui suonare dal vivo?
In questi anni tanti locali hanno chiuso e tanti hanno provato ad aprire. I gestori, essendo degli imprenditori, tendono a chiamare chi gli possa generare un guadagno, quindi per band come la nostra è difficile potersi inserire e garantire seguiti di 100 persone alla volta.

Il sogno dei Dead.Like.Me ?
Ci sarebbe tanto piaciuto poter “diventare qualcuno”, un po’ come tutti insomma. Ci abbiamo provato piu’ volte e l’ultimo proiettile che abbiamo sparato è stato il video della canzone “Stay with me”, una ballad rock…. non è andata come speravamo e così eccoci qua.  Paolo Pavone

19 marzo 2012

Zen Circus@Koko Club (FOTORACCONTO)

 









Gli Zen Circus sabato scorso sono stati in concerto al Koko Club di Castelletto Cervo, nel Biellese. In un set carico di energia hanno proposto brani di Andate tutti affanculo e non pochi ripescaggi dalla loro ormai corposa carriera. Foto@Martina Colonna

Ascolti emergenti: Il muro del canto, Following friday, Gasparazzo, Traffic lichts orchestra

Il muro del canto – L’ammazzasette *****
Un esordio straordinario sotto molti punti di vista per il gruppo folk rock romano Il muro del canto, al suo primo full-lenght album, distribuito da Goodfellas, dopo l’omonimo EP che aveva già riscosso ottimi consensi. La band è formata da Daniele Coccia (voce e testi), Alessandro Pieravanti (percussioni, batteria e voce narrante), Ludovico Lamarra (basso), Eric Caldironi (chitarra acustica e pianoforte), Giancarlo Barbati (chitarra elettrica e cori), Alessandro Martinelli (fisarmonica), ma nell’album compaiono anche molti altri musicisti appartenenti a varie band dell’underground musicale romano. Il muro del canto, attraverso la rivisitazione dell’immaginario pasoliniano, descrive una Roma in bianco e nero, raccontando storie di eterni conflitti, questioni d’amore e di coltello, gelosie e vendette. E’ un progetto musicale che commuove, risveglia e infuoca gli animi, che fa piangere, sorridere e danzare. La voce profonda di Daniele Coccia ha un’espressività notevole, ricorda il Pelù degli esordi, e il cantato in dialetto conferisce uno spessore ed una rabbia ancora maggiori. Le sonorità sono spesso acustiche ma in alcuni punti raggiungono la forza sanguigna del migliore folk metal internazionale, arrivando a ricordare gli spagnoli Mägo de oz. Basti ascoltare il singolo La spina (per il quale è stato realizzato anche un bel videoclip) e la suggestiva Luce miaMarco Maresca


Following Friday – Outside the fence **
Secondo EP per i Following friday dopo l’esordio discografico nel 2011. La band è formata da Luca Tampieri alla voce, Cristian Campadelli al basso, Riccardo Ponseggi e Alessio Ruscelli alle chitarre e Alessandro Marchi alla batteria. L’EP è prodotto e distribuito da Alka record label. Il genere è un punk rock di derivazione stelle e strisce, energico e solare, e l’album parla dell’esigenza di lanciarsi nella vita e fare il primo passo mettendo da parte le paure. Il singolo di lancio è First shot is the hardest. Le sonorità del gruppo ricalcano abbastanza fedelmente quelle dei classici gruppi punk rock americani, forse a discapito di un po’ di originalità. m.m.



Gasparazzo – Obiettivo sensibile ***
I Gasparazzo sono Alessandro Caporossi (voce e testi), Lorenzo Lusvardi (batteria), Generoso Pierascenzi (chitarre, sintetizzatori), Marco Tirelli (basso). Si tratta di una band costantemente in viaggio, che ogni volta, poi, torna in Italia e raccoglie in un album le esperienze di vita acquisite durante la permanenza in luoghi esotici. Obiettivo sensibile (prodotto da Autonomix e distribuito da Venus) è già il terzo album per la band, ed è nato dopo un suggestivo viaggio nel deserto del Sahara per incontrare i profughi nei campi Saharawi e suonare mescolandosi con i musicisti del deserto. Il nuovo album è in perfetto equilibrio tra impegno civile e poesia, ed è stato realizzato in presa diretta in una ex-fabbrica adibita a studio di registrazione. L’album mostra pienamente gli influssi del soggiorno in Africa, e l’atmosfera da live in studio è molto vibrante. Il disco è più convenzionale nei primi brani e si fa più originale e intenso verso la fine. La danza di Dioniso è forse il brano migliore, insieme alla ballata finale, Melodia, un brano notturno e sognante. m.m.


Traffic lichts orchestra – Verde yellow rouge   *** 
Verde yellow rouge è il primo full-length album, dopo l’EP del 2009, per la Traffic light orchestra, un collettivo che si avvale di sonorità e strumenti appartenenti a generi musicali molto variegati. Come la band stessa spiega, nelle loro canzoni trovano spazio “flicorno, pianoforte, campane, cerchioni d’auto, chitarre, organo, tamburi, cisterne, armonica, padelle, rubinetti e voci sparse in diverse lingue (inglese, italiano, latino, francese, occitano)”. Il risultato è una world music, una patchanka, che ricorda vagamente i Mano negra, a differenza dei quali, però, i pezzi mostrano meno furia rock e maggiore organizzazione collettiva e orchestrale. Una curiosità: la scelta dei brani da inserire nell’album è stata decisa democraticamente dal pubblico della band, motivo per il quale l’album suona un po’ come una radio che trasmette pezzi di variegata natura piuttosto che come un lavoro completo che mostra un intento unitario. m.m.  

17 marzo 2012

Ascolti emergenti: Iori's Eyes, Eskimada, Stereonoises, Jester at work

Iori's Eyes - Double Soul ***
Escono in questi giorni gli Iori's Eyes, uno dei gruppi più chiacchierati del momento tra i sempre aggiornatissimi fan della nuova musica made in Italy. La loro proposta è un disco di electric-soul dal respiro internazionale cantato appunto in inglese. Sonorità sospese, elettroniche, un pop molto intimista e lo-fi ma devo dire veramente convincente. Completano la miscela testi sussurrati e trasognanti.
Dicono di loro: "Autori di un art-pop tanto fragile quanto raffinato, gli Iori's eyes ti arrivano dritti al cuore con le loro atmosfere malinconiche e trasognanti, con i loro timidi bisbigli elettrici. Ti sorprendono con dilazioni shoegaze, ti emozionano con le voci sospese su fraseggi ritmici sempre convincenti. Sofia, Pillo e Clod sono così autentici da farti pensare che il lo-fi ed il dream pop siano nati nella provincia di Milano....". 
Le canzoni spaziano per temi ed attitudine compositiva: l'amore, l'Italia, i rapporti... e chi più ne ha più ne metta. The Boat, ad esempio, parla della situazione dell'Italia e della sfacciataggine del nostro (ex) premier e di chi aiuta quest'ultimo a far sì che "la barca affondi"... In tanti pensano sia una canzone d'amore, invece va interpretata in altra chiave di lettura. Marco Colombo





Eskimada - Eskimada **
Abbiamo ascoltato questo lavoro degli Eskimada dal titolo omonimo. E’ un classico album crossover con variegature dal metal all'alternative rock. Come spiegano nella loro presentazione, le influenze sono quelle di artisti come Faith No More, Tool e Incubus, anche se naturalmente la band sottolinea di aver intrapreso una strada assolutamente personale, personalità che tuttavia viene fuori solo in alcuni brani.
Le canzoni sono state composte da tutti i membri della band, mentre i testi sono opera di Raffele Pibiri. Il disco risulta ben prodotto ed apprezzabile nell'insieme.Tra i miei brani preferiti Hero e The 16th minute, che mi ha ricordato anche qualcosa dei Porcupine Tree. m.c.





Stereonoises -  Colours in the sky **/ 
I quattro musicisti catanesi giungono al loro primo disco Colours in the sky dopo diversi riconoscimenti di critica e partecipazioni a importanti eventi musicali. Con questo loro lavoro guardano dritto in faccia alla tradizione inglese legata a Manchester, all'indie dell'Hacienda, alla sguaiatezza di gruppi come i Charlatans. Lo Lo fanno con gusto e con uno stile comunque personale. Si accende la passione in Room on fire, un brano decisamente rock. Colours in the sky ricorda a tratti Depeche mode; Makin'a circle è una ballata rockeggiante, che diventa però un po' ripetitiva avanzando nell'ascolto. Ancora buon rock in How long. Da segnalare ancora Something you should know che parte con un ritmo da marcia dell'esercito britannico (in battaglia contro gli americani di George Washington) e prosegue con il caratteristico stile elettronico della 

band con abbondante utilizzo di percussioni. Alla Band secondo la mia opinione serve solo un po' più di grinta per il loro sicuramente florido futuro musicale. Alessandra Terrone 







Jester at work - Magellano ***
Dietro a questo album dal titolo Magellano si nasconde il cantautore abruzzese Antonio Vitale, in arte Jester at work. Registrato in analogico al Twelve record studio di Pescara, il disco si presenta come minimale, intenso ed intimista: un pop tradizionale chitarra e voce appena sussurrata. Jeff e Tim Buckley o Nick Drake avrebbero ascoltato con interesse e stima questo loro compagno artista. Tra le mie preferite Green eyes e Remember to remember. m.c.

12 marzo 2012

Il grido di "Aiuto" dei Sick tamburo si fa concept album

A.I.U.T.O. è il secondo album dei Sick tamburo, la band di Elisabetta Imelio e Gian Maria Accusani, già membri dei Prozac+. Il primo album aveva già stupito positivamente critica e pubblico, aprendo una possibilità ai Sick tamburo di diventare qualcosa di più di una insolita band di incappucciati. Una solida fiducia nei propri mezzi e nelle proprie potenzialità ha portato ad un album completamente diverso dal precedente. Lo schema delle filastrocche hardcore ossessive e minimaliste, forte prerogativa ma contemporaneamente punto debole, che aveva dominato il disco d’esordio dalla prima all’ultima traccia, viene ora definitivamente superato, grazie ad una dozzina di canzoni rock ottimamente scritte ed arrangiate.
Il titolo è un acronimo, il cui significato esteso è Altamente Irritanti Umani Tecniche Ossessive. Il concetto che sta alla base dell’album è il seguente: l’uomo tende per sua natura a compiere azioni autolesioniste. Per cercare di redimersi, cade in comportamenti ossessivi che sono soltanto reiterazioni degli errori già commessi. Tutto ciò in una cascata di eventi dalle conseguenze sempre peggiori, fino a toccare il fondo, ed accorgersi che è il momento di chiedere aiuto. Volendo fare un paragone estremamente ardito, tra due tipologie di artisti che c’entrano come il giorno e la notte, si può affermare che A.I.U.T.O ha una struttura di concept album che ricorda De André.
A differenza dell’album precedente, compare anche la voce di Gian Maria (alias Mr Man), che con toni disillusi e noncuranti ma allo stesso tempo ironici riesce a descrivere una serie di situazioni e personaggi diversi tra loro, impersonandoli emotivamente ma prendendone allo stesso tempo le distanze, con modalità consone ad un novello Faber (con anni luce di distanza, ovviamente). Oltre alla conclusiva Aiuto tamburo, in cui Gian Maria ed Elisabetta riassumono tutti i temi dell’album, Mr Man presta la sua voce a quattro tracce: si va da La canzone del rumore, brano nichilista e minimale, per arrivare a Magra, robotica e sprezzante canzone sul tema dell’anoressia. Si passa per il singolo E so che sai che un giorno, emotiva ballata che invoca una qualche speranza di cambiamento e redenzione soffocata però da un cantato fortemente disilluso, come se le voci di speranza fossero soltanto litanie inutilmente reiterate. Emozionante il videoclip della canzone: un parco giochi con un ragazzo ed una ragazza che riescono a comunicare soltanto con i loro amici immaginari, ma che grazie all’amore riescono a superare la barriera dell’incomunicabilità. Si arriva, infine, a La mia mano sola, la migliore tra le canzoni interpretate da Accusani, macabra storia di un uomo che per dimostrare il suo amore per una donna si infligge una serie di mutilazioni (e rispuntano fuori i riferimenti a De André, impossibile non pensare a La ballata dell’amore cieco).
Per quanto riguarda le canzoni cantate da Boom Girl, cioè Elisabetta, Televisione pericolosa è l’unica che si mantiene sullo stile della filastrocca ritmata e monocorde che aveva contraddistinto il disco d’esordio. In tutte le altre si nota un gigantesco passo avanti nell’uso della voce. Elisabetta Imelio è diventata, ora, una vera e propria interprete rock, riconoscibilissima, tant’è vero che nel video di Con le tue mani sporche compare finalmente senza il passamontagna che le ha coperto il viso fino ad oggi. Il bellissimo brano d’apertura, In fondo al mare, indica che è arrivato il momento di lanciarsi nella vita coi suoi alti e bassi senza doversi più aggrappare a qualcosa o qualcuno. La danza è una impersonale carrellata di situazioni, personaggi e stili di vita, enunciati da Elisabetta senza prendere posizione, senza giudicare. La mia stanza è un’altra interpretazione forte: parla di una ragazza che per non soffrire più decide di chiudersi in camera e trovare in essa tutte le sicurezze che il mondo esterno non le dà. Finché tu sei qua è  tra i brani migliori dell’album e parla anch’esso di violenza, di un primordiale terrore per un contatto non voluto. Si muore di AIDS nel 2023 è il brano più innovativo dell’album, con una freschissima impronta electro house, e anche qui l’interpretazione è convincente e particolarmente brillante.
A.I.U.T.O. è un concept album che non ha paura di denunciare apertamente tematiche piuttosto forti. Tenendo comunque conto dei limiti vocali dei due cantanti, tutte le canzoni mostrano coinvolgimento emotivo e capacità interpretativa, e la scrittura dei brani dimostra un’ormai ben consolidata esperienza. I Sick tamburo sono in costante evoluzione, e probabilmente non spariranno presto dalla scena musicale. Chi l’avrebbe mai detto? Una cosa è certa: non c’entrano ormai più niente con i Prozac+, avendoli già brillantemente superati per due volte di fila. Marco Maresca

9 marzo 2012

Un originale "Gioco di società" è il terzo disco degli Offlaga Disco Pax

Correva l’anno 2005 quando Socialismo tascabile, album d’esordio degli Offlaga Disco Pax, veniva acclamato e pluripremiato come nuova perla della musica indipendente. La promettente triade musicale era composta da Enrico Fontanelli, che alternava basso e suoni analogici anni ’80, Daniele Carretti alla chitarra e al basso, e Max Collini, che declamava i suoi testi anziché cantarli. L’album, forse proprio perché completamente atipico per la scena indie italiana, fu accolto molto positivamente, merito anche dell’ottimo video che accompagnava il singolone Robespierre.
Tre anni dopo, i reggiani ci riprovarono con Bachelite. Finalmente la loro follia elettronica analogica poteva essere paragonata con qualcos’altro: il loro disco precedente. I fan della prima ora rimasero un po’ spiazzati per l’assenza di un brano di forte impatto come lo era stato Robespierre. Anche l’album era molto più complesso, meno diretto, più introspettivo del precedente. Ma alla fine, grazie anche ad un lunghissimo tour, perfino i più ostinati si convinsero che il secondo album era meglio del primo.
Ora gli Offlaga Disco Pax sono ritornati con il loro terzo album, Gioco di società, distribuito da Venus. Un album ancora più complesso di Bachelite, ancora più trasversale, ancora più intimistico. Il fulcro delle storie narrate è sempre Reggio Emilia, con la sua pianta esagonale che i tre si spartiscono in un ipotetico risiko sapientemente immortalato nell’artwork curato da Enrico Fontanelli. Le sinistrorse memorie di periferia stavolta ci parlano di un concerto dei Police del 1980 che si mischia con il fuoco delle molotov nei ricordi di un Max Collini tredicenne (Respinti all’uscio); una lotta di classe combattuta tra bambini e consumatasi su un’altalena (Sequoia); un tour virtuale nella sede di un partito comunista che era come una seconda casa (Palazzo Masdoni); una riscossione di affitto in un appartamento sotto sfratto, che poteva finire molto male (A pagare e morire…).
Nell’album trovano spazio anche due brani fortemente personali: Parlo da solo (primo singolo dell’album) e Desistenza. Anche stavolta c’è spazio per la storia strappalacrime di un eroe sportivo dimenticato, il ciclista Van der Velde, che vestito soltanto di maglietta e pantaloncini rischiò il congelamento durante una folle discesa tra neve e ghiaccio. Era arrivato da solo in vetta, mentre gli altri ciclisti correvano indossando i giubbotti. Aveva fatto finta che il freddo non esistesse, quando mancavano ancora quaranta chilometri all’arrivo. Il brano dedicato a questa nobile storia di ciclismo è intitolato Tulipani, e rappresenta una nuova vetta narrativa per Collini dopo il Ventrale del disco precedente.
Il picco creativo dell’album è, però, Piccola storia ultras. Collini va per la prima volta allo stadio Mirabello. Ha nove anni. Tifa la Reggiana perché così gli è stato detto dalla sua famiglia. “Di calcio sapevo solo che tifavo per quella squadra. Di politica sapevo solo che quando c’era Pajetta in televisione dovevo stare zitto, altrimenti volava un coppino o uno scappellotto. Se invece c’erano Fanfani o Almirante volava un coppino se stavo ad ascoltare. In casa le idee erano chiare e si comunicavano senza troppo approfondimento. Una trasmissione dei valori efficace, ancorché vagamente dolorosa”. Allo stadio gli ultras intonano un inno dai contenuti un po’ forti. Collini, ora adulto, scopre che l’inno degli ultras era costruito sulla melodia di una canzone dedicata ai caduti di Reggio Emilia del 7 luglio 1960. Anni dopo, il coro fu modificato per inneggiare al bombardamento di Gheddafi, come già ricordato dallo stesso Collini in Robespierre.
L’album è strutturato come un anacronistico vinile a 33 giri, e suddiviso nei lati A e B. La durata è, per l’appunto, quella di un vinile: poco più di quaranta minuti. Meno di Bachelite e molto meno di Socialismo tascabile. Un piccolo dubbio si insinua a questo punto nella testa dell’ascoltatore attento: gli aneddoti giovanili sui quali gli ODP costruiscono i loro brani stanno per finire? Si spera vivamente di no, poiché il trio non è mai stato così in forma come ora. L’album è indubbiamente difficile ma è ricco di contenuti pregiati ed ancor più originale dei precedenti. Tenta strade nuove quando sarebbe stato fin troppo ovvio ripetersi. L’accoglienza live sarà, con tutta probabilità, ancora più positiva del solito. L’augurio è, quindi, che l’impolverata pianta esagonale di Reggio Emilia nasconda ancora tante storie da narrare. Marco Maresca

7 marzo 2012

Un inedito ricordo di Lucio Dalla e del suo concerto a Novara del 1991

In questi giorni nei quali tante voci si uniscono al coro del ricordo di Lucio Dalla, anche noi gli tributiamo un piccolo omaggio grazie alla testimonianza di Antonio Costa Barbè (che ringraziamo di cuore) che ricorda come lo conobbe e approfondisce la genesi di alcune sue canzoni. A breve cercheremo di rendere disponibile anche un video di un suo concerto a Novara nel 1991 nel quale spiega la canzone 4 marzo 1983 (Gesù Bambino), per il momento è disponibile su Facebook a questo link (è però necessario per visualizzarlo essere "amici"). A noi fa piacere ricordarlo come un artista che amava collaborare con gli altri e per i suoi messaggi, da quelli più immediati a quelli da cercare tra le righe di canzoni che di certo hanno segnato molti decenni della storia della musica italiana. Ciao Lucio, mandaci una cartolina e una ridente foto di te.





6 marzo 2012

Kali ci parla delle sue "Canzonette per narcisi isterici"

Federica Folino, in arte Kali, è una giovane cantautrice che vive nei pressi del lago d’Orta. Ha recentemente pubblicato un EP intitolato Canzonette per narcisi isterici, che ha saputo stupire per una freschezza ed un’abbondanza di idee decisamente inusuale, di questi tempi, per un’artista emergente.
Abbiamo avuto il piacere di incontrarla per una breve ma intensa intervista. La cosa che stupisce maggiormente di Federica è una chiarezza di idee pressoché totale su chi è e chi vuole diventare. Tutto ciò unito ad umiltà, simpatia e piedi ben piantati per terra. Riportiamo alcune parti della nostra piacevole chiacchierata.


Federica, la prima cosa che salta all’occhio del tuo progetto musicale è che hai composto e suonato tutti i brani, ed ognuno di essi mostra una certa maturità. La tua storia musicale ha probabilmente origini lontane, ci puoi spiegare quindi com’è iniziata? Il rapporto col palcoscenico è nato presto: ho studiato danza classica dai sei ai quindici anni. Poi nel mio universo musicale è entrata Madonna. In quel momento ho avvertito l’esigenza di evolvermi nel mio modo di esprimermi: sempre attraverso un palcoscenico, ma con la musica. Ho iniziato a scrivere testi e melodie a partire dai quindici anni. Solitamente nello sviluppo dei brani mi aiuto con una chitarra, che però so suonare solo a livello base. Poi perfeziono il tutto coi musicisti che suonano con me, ed inserisco i synth, con cui mi posso esprimere al meglio, dando ai brani le mie sonorità tipiche.  Molti artisti emergenti ascoltano gli Afterhours e vogliono riprodurre i suoni e le parole che trovano nelle loro canzoni. Io parto un po’ dai “classici” utilizzando poi, però, delle sonorità che siano soltanto mie, adatte ai messaggi che voglio comunicare. Su questo sono consapevole di avere delle idee molto chiare.

Per promuovere i tuoi brani sono stati già realizzati due videoclip, Dolci puttane e Narciso isterico. Parlaci del tuo rapporto con i video. 
Fare un video non ha un costo elevatissimo, al contrario di quanto si possa pensare. Si può realizzare un buon video con un budget veramente basso: l’importante è avere un’idea. I Daft Punk hanno fatto un video, per Harder better faster stronger, in cui venivano inquadrate soltanto delle mani, e l’idea era buona. I videoclip vengono realizzati per motivi promozionali, ma ciò non è un male: dopotutto siamo  nella società dell’immagine e ne siamo vittime, essendo nati a cavallo tra gli anni ’80 e ’90. Il video di Narciso isterico, ad esempio, è a basso costo ma esprime bene il tema della canzone. C’è un uomo con una piramide di specchi che gli copre la faccia. Vuole fare il “narciso”, mettendosi in evidenza per tutta la durata della canzone, ma in realtà si copre. Chi lo guarda si vede riflesso nello specchio. In realtà l’osservatore vede in lui il proprio riflesso.

Cosa vuol dire per te essere un “narciso”? Che connotazione dai al narcisismo? Narciso isterico è una canzone molto critica che parla del “narciso”, per definizione, che ha monopolizzato l’Italia negli ultimi vent’anni. Spiegata così, sembra una canzone un po’ politica, ma c’è altro. Questa persona è uno specchio in cui ognuno di noi ha visto il proprio riflesso. La “sindrome del narciso isterico” ha una varietà di sintomi, in alcuni dei quali tutti ci rispecchiamo. Servirebbe, forse, un po’ di autocritica. Se sono consapevole di ciò che non va in me, posso criticare, forse, con più onestà. Anche in Dolci puttane si parla dello stesso tema. Mi trovavo a Milano a registrare in uno studio situato in una zona periferica. Lungo la strada era pieno di “signorine”, e io notavo che avevano tutte uno sguardo molto dolce. Poi, invece, ci sono tante donne che non fanno quel lavoro e si sentono migliori ma, inspiegabilmente, hanno tutt’altro sguardo. Senza alcuna dolcezza. Fa riflettere, no?

Com’è il mondo della musica in Italia? E’… tanto!  Hanno aperto le gabbie, ci sono molte proposte ma è difficile resistere a lungo. La differenza la fanno quei progetti che sopravvivono a lungo termine. Chi arriva per lo meno al secondo album, mostrando un’evoluzione, un passo in più. L’Italia musicale l’ha rovinata la De Filippi: grazie a lei ora tutti possono cantare. In realtà servirebbe avere un messaggio da esprimere cantando. Personaggi come Valerio Scanu e Marco Carta vengono utilizzati dal mondo musicale. Vengono buttati in un mondo, per un certo periodo, e poi ne vengono tolti. Chi ha qualcosa in più, invece, rimane.

Emma?
Preferisco Nina Zilli o Arisa, se proprio dobbiamo rimanere in ambiente sanremese. Ma la musica non è competizione. La musica è riuscire ad esprimere quello che si vuole, ognuno a modo suo.

E tu come ti collochi nel mondo musicale? Quali sono le tue fonti di ispirazione? A chi somigli?
Io ascolto molta musica italiana, Battiato, Baustelle, Afterhours. E poi Portishead, Blonde Redhead, Mark Lanegan, Radiohead. Però mi dicono che assomiglio a Cristina Donà, che non ho mai ascoltato! E Ustmamò, che non so neanche come si pronunci! Ho preso lezioni di canto nei primi anni 2000. All’epoca tutti gli insegnanti cercavano di portarmi verso la black music, ma non mi interessava, ma non è quella la musica che mi appartiene. Allora ho dovuto percorrere una strada tutta mia, basandomi sull’ascolto. Ma quando ascolti troppo certe cose, poi ti influenzano in un modo limitante. Alanis Morrisette, Elisa, ora non riuscirei più ad ascoltarle. Non possono essere punti di riferimento: si rischia di rimanere intrappolati in quel cantato anni ’90. Ho dovuto percorrere una via più personale, forse ora assomiglio a cantanti meno canoniche.

Blonde Redhead?
Loro sono uno dei miei riferimenti. Se mi dici che ascoltandomi te li ricordo, significa dalla mia musica e dal mio modo di cantare emerge ciò che voglio esprimere. Ma la  miglior voce dal mio punto di vista è Beth Gibbons dei Portishead

Una provocazione: Cristina D’Avena? Con la certezza di non essere il primo che te lo chiede.
 Sapevo che me l’avresti chiesto. Me l’hanno già detto, specialmente per il finale di Narciso isterico. Però non è un’influenza consapevole. Comunque, le sigle dei cartoni animati molto spesso diventano dei tormentoni e si ricordano facilmente, quindi va bene.

Come ti vedi da qui a cinque anni?
Con un album, fatto in un certo modo, e che va in un certo modo. Non me ne frega di diventare una rockstar, di fare il botto. Vivere di musica, però, sì. Dedicarsi totalmente alla musica. Ma bisogna comunque essere concreti. A fare un album completo c’ero andata molto vicina tempo fa, ma era stato registrato in tre sessioni differenti, con musicisti differenti. Non era un progetto unitario: era disomogeneo, non mi convinceva. Per adesso funziona meglio l’EP, perché abbiamo appena iniziato a crearci la nostra strada. Dopodiché sarà importante fare un buon album. Un esordio fatto bene. Per quanto riguarda le major ci siamo incontrati, non è così impossibile come si può pensare. Ma non è quello il problema. La questione è trovare un’etichetta che accetti di supportarti , e perché ciò accada il lavoro dev’essere valido. Per quanto mi riguarda vorrei poter lavorare al primo album con la tranquillità che è mancata nel precedente tentativo, visto che stiamo cercando di trovare il nostro suono. E poi sarebbe bello promuovere il disco e fare tantissimi concerti.
  
Di concerti ne fai parecchi anche adesso. Per concludere, quindi, parlaci un po’ del tour.
Appena lanciato l’EP per fortuna abbiamo trovato subito dieci date, che toccano anche il Sud Italia: Marina di Gioiosa Ionica, Benevento, Lecce e molti altri posti. Sono molto contenta perché inizialmente ero preoccupata proprio di non trovare date. Saranno live completi, da un’oretta circa, con tutto il nostro repertorio più due o tre cover.

Marco Maresca 

1 marzo 2012

I Marlene Kuntz rileggono le proprie canzoni con la calma e la curiosità che si dedicano a ciò che si ama

Eccoli di nuovo i Marlene Kuntz, che tornano scegliendo i riflettori di Sanremo per dare lo slancio al loro nuovo lavoro, “Canzoni per un figlio”, l’album numero nove della loro carriera. L’esperienza sanremese, su dichiarazione della stessa band, era il pretesto per farsi conoscere da un pubblico più vasto, il palco dell’Ariston è stato lo scenario di un duetto emozionante con Patti Smith, un’artista dotata di un’umanità disarmante, una gentilezza interpretativa calda e confortante. Un quadro eccellente, dove Godano, Bergia e Tesio hanno fatto la loro figura senza usare violenza su loro stessi.
Il brano sanremese, che dà il titolo all’intero album, nasce da una lettura che Cristiano Godano stava facendo nel periodo di composizione: “Un incantevole sogno di felicità” (dell’autrice iraniana Lila Azam Zanganeh), un testo che è stato definito “una gioiosa risposta allo spirito dell’intera opera di Nabokov”, autore quest’ultimo già citato da Cristiano nell’album “Uno”. E’ una curiosa antologia “Canzoni per un figlio”, un nuovo album composto da vecchie canzoni e da due brani inediti scelti e selezioni da “Godano padre” per il figlio con tanto di dedica e inviti alla riflessione per ogni singolo brano. Stupendo. Ecco un Cristiano, finora, inedito al pubblico.
Al primo ascolto, ciò che colpisce del disco è la carezzevole melodia, roba da orticaria per chi rimpiange i Marlene Kuntz di “Ineluttabile” e “Il vile” ma occorre andare oltre, Cristiano e compagni hanno intrapreso la via del genere melodico già da tempo, non si possono ascoltare i Marlene Kuntz di oggi senza mettersi dalla loro parte, senza guardare dalla loro stessa prospettiva, del resto il cambiamento di stile nasce da un’evoluzione interiore. L’uomo è in continua evoluzione e questo vale sia per l’artista sia per il pubblico.
E così si parte da “A fior di pelle”, deliziosamente riarrangiata con un pizzicato di corde di strumenti ad arco che rievoca il suono e l’immagine di gocce d’acqua che ritmicamente scandiscono il tempo. “Trasudamerica” trasuda ritmi sudamericani per merito della sfumatura della tromba suonata da Roy Paci. “Canzone ecologica” e “Bellezza” sono più introspettive che mai per opera della fluidità del pianoforte e rivelano una bellezza nuova, come abiti rindossati che si adattano a un nuovo corpo rivelando inedite pieghe ed esibendo inesplorate forme. E via via passando per “Lieve” e “Stato d’animo”, ripercorrendo “Canzone ecologica” e “Canzone in prigione”, i Marlene Kuntz ci concedono (e si concedono) l’incanto delle esplorazioni infinite dell’animo attraverso un viaggio nuovo, un oltre-passare in volo, in volo più in là (citando “Lieve”).
Il signor Godano ci fa intraprende questo viaggio andando a ritroso nel tempo e poi torna, racconta di se stesso nei testi e nella musica e offre in visione una serie di fotografie ancora palpitanti di stupore, di amore, di ardore. Accade in “Serrande alzate”, che ho sempre creduto essere dedicata alla donna amata intenta nel sonno e invece, nel trafiletto che segue il testo, Cristiano rivela di averla scritta per il figlio un giorno del suo terzo anno di vita mentre erano entrambi nel letto distesi ed affiancati.
Gli insegnamenti del padre verso il figlio attraverso le canzoni continuano con “Ti giro intorno” e “Un piacere speciale”, degli inviti ad andare sempre verso il suono, a lasciarsi conquistare dalle note e lasciare che lo spirito si abbandoni all’arte seducente della musica, ad ignorare le cattiverie anziché subirle. La sonorità spiazzante delle parole di “Io e me” sono, invece, una riflessione su quanto sia importante stare soli con se stessi senza, tuttavia, fare della solitudine l’unica condizione dell’esistenza.
La bellezza divina di “Grazie” cela la commozione e rivela la gratitudine di Cristiano verso l’immagine del suo piccolo fanciullino tra le braccia della madre. Interessante l’inedito “Pensa” di cui mi piace l’intenzione racchiusa: attraverso il fascino carismatico della gentilezza possiamo conquistare chiunque.
Questo è il mondo di Cristiano Godano e questi sono i Marlene Kuntz, un gruppo che ha una sua coerenza e una sua estetica; per chi non è dentro questo mondo è difficile dissociare il prodotto dal processo creativo. Non basta sentirli, occorre ascoltarli e sfogliare le loro pagine “con la calma e la curiosità che si dedicano a ciò che si ama”. Sonia Stevanini