Chi pensava che l'incursione di David Lynch nel mondo della musica fosse un capriccio momentaneo, si sbagliava di grosso. Il regista americano, noto per i suoi film surreali e controversi, è più che mai deciso a proseguire nell'affascinante mondo della musica elettronica sperimentale. Alla veneranda età di sessantasette anni, Lynch ha recentemente pubblicato The big dream, uscito in Europa per l'etichetta Sunday best e in America per Sacred bones records. Stavolta, al contrario dell'esordio capolavoro Crazy clown time, al genere musicale di Lynch è stato dato anche un nome specifico: modern blues. Ciò che Lynch fa è costruire testi il cui mood viene poi svelato dalle atmosfere musicali che lui stesso crea, in collaborazione col produttore Dean Hurley.
30 luglio 2013
22 luglio 2013
Musica, teatro e incontri a Campeggio Resistente, dal 31 luglio al 4 agosto in Valle Stura nel Cuneese
Ettore Giuradei |
20 luglio 2013
Nadàr Solo in segreto a Novara
19 luglio 2013
Gli Editors tornano, peccato sia un fiasco
A quattro
anni dall’elettronico In this light and in this evening e a sei dall’acclamatissimo An end has a start tornano gli Editors con The weight of your love. Come
accade nella maggior parte dei gruppi nati dal suolo indie, i britannici
varcano la linea di confine buttandosi nel pop-rock più prossimo alle masse. Ma
la mossa non si rivela delle migliori. Anzi, una delle band più promettenti e
considerate dell’ultima decade compie uno scivolone piuttosto evidente,
lasciando perplessi chi ha aspettato quattro anni per sentirsi del nuovo
materiale da studio.
L’iniziale The weight parte
con un synth dominante per poi svilupparsi in una ritmica alla Depeche ma con
toni melodici cupi. Le cose migliorano con la pulsante Sugar (in cui c’è un basso che ricorda i Muse) e col singolo A ton of love, un mix deciso tra U2 e
New Order. Da qui in poi cominciano le cadute di stile e The weight of love comincia a suonare come un disco stanco, privo di idee ed incapace di scostare
dall’indifferenza. Gli archi in What is
thing called love e Nothing appesantiscono
il suono e la voce di Tom Smith, pur essendo profonda, non sembra compatibile
con queste nuove trovate sfarzose.
Storie di ordinario masochismo nel bel disco di Roberto Sburlati
Ce ne vuole di masochismo per tuffarsi nudi nelle acque del
Po che scorrono nel centro di Torino. Sarà un fotomontaggio? Probabilmente sì,
ma non è dato saperlo con certezza. I
masochisti (Libellula / Audioglobe) è un album in cui Losburla, torinese
d'adozione, esprime dettagliatamente e da varie angolazioni questa tendenza a
provare piacere nel farsi del male perpetrando stili di vita inconcludenti o
dannosi. Più o meno palesemente, più o meno consapevolmente. "Ho creato un
disco che attraverso storie semplici assomigliasse il più possibile ad uno
schiaffo in faccia", afferma Losburla, al secolo Roberto Sburlati, nel
tentativo di dare una chiave di lettura.
18 luglio 2013
Marco Parente psicanalizza l'amore nel primo capitolo della sua trilogia
Sulla
scena indie italiana dagli anni '90, quando da Napoli si trasferì a Firenze,
Marco Parente dopo il suo sesto album del 2011 La riproduzione dei fiori,
si “inventa” una trilogia la cui prima parte è uscita lo scorso marzo. In
sintesi è l'inizio di un progetto che ha visto tra i suoi artefici, nella
registrazione e produzione, Taketo Gohara (già con Baustelle e Vinicio
Capossela).
Il
titolo, Suite love, può anche essere un gioco di parole. Possiamo
considerarlo un vero e proprio concept album sul sentimento guida e spina
dell'essere umano.
Parente
ha fatto una sorta di simposio/seduta psicanalitica sull'amore che forse chissà
serve più a lui che a noi. Ognuno ha il proprio sentimento oggetto e questo è
il suo a quanto pare (ma forse è anche il nostro...).
Il nuovo dei Wastoids? Un gioiello da custodire con gelosia
I Wastoids hanno la disarmante capacità di rendere tutto facile e reale. Il loro nuovo lavoro, un dischetto 7 pollici che esce per la canadese Deranged, è un gioiello da custodire con gelosia. Innanzitutto mi piace pensare che abbiano scelto il proprio nome dalla canzone dei Charles Bronson Wastoid on the celluloid. Obbligatorio quindi ascoltarli. E anche se così non fosse la cosa non avrebbe importanza, perché in secondo luogo adoro i gruppi borchiati che come prima dimostrazione vocale in un disco esplodono con un “Ugh!” come avviene per questo disco omonimo, prodotto a Toronto tra salette maleodoranti ed infiniti giri dei bar. Il loro quarto lavoro dopo nemmeno tre anni di militanza, peraltro.
17 luglio 2013
Lennon Kelly - Lennon Kelly - Rec. in 10 parole
I Lennon Kelly propongono un disco omonimo dalle sonorità punk-folk. Si tratta di un progetto dalle molteplici influenze che attinge alla tradizione popolare, mescolata al punk-rock e unita alle sonorità irlandesi di violino e banjo.
16 luglio 2013
I danesi Iceage con un full lenght noise-punk tutto da gustare
Gli Iceage sono attivi da quattro anni e l’ultimo You’re nothing è il loro secondo full lenght, che questa volta esce per la newyorchese e super hype Matador. Un bel traguardo per il quartetto di Copenhagen, che non mi pare abbia poi gavettato così tanto per approdare con il suo noise punk talentuoso e visionario sul pier di Hoboken. E questo gli fa onore.
You’re nothing inizia in quinta con il singolone Ecstasy, accompagnato sin dalla sua uscita da un bel video pieno di occhi verdi, stanze di motel e bicchieri.
You’re nothing inizia in quinta con il singolone Ecstasy, accompagnato sin dalla sua uscita da un bel video pieno di occhi verdi, stanze di motel e bicchieri.
15 luglio 2013
Kobe - Distrazioni urbane - Rec. in 10 parole
Nati a metà del 2010, i Kobe sono una band di Torino che propone una miscela sonora pulsante ed incisiva. Abbiamo ascoltato il loro disco Distrazioni urbane.
14 luglio 2013
Tutti i colori dei Rumor in un ep che sa di promessa...
Che ci fanno tre ragazzi giovanissimi, (il batterista sta facendo la maturità ora), su un palco?
Spaccano. Parliamo dei Rumor. Marco Platini (basso, synth e voce), Elia Anelli (chitarra e sinth) e Andrea Marini (batteria), da Arona e dintorni.
A maggio è uscito il loro primo Ep, dal curioso titolo Pois: prodotto da Sergio Quagliarella (Mamud band – Kabikoff), questo primo lavoro dei Rumor, mi ha pienamente convinto così come le loro “spaventose” performance live, dove viene fuori tutta l’attitudine rock di questi tre terribili ragazzi.
Si parte con un brano da classifica, Iuvullai, con quel "Lei non lo sa, ma può dare di più” che rimane in testa, con il determinante ausilio di un simpatico falsetto finale.
Spaccano. Parliamo dei Rumor. Marco Platini (basso, synth e voce), Elia Anelli (chitarra e sinth) e Andrea Marini (batteria), da Arona e dintorni.
A maggio è uscito il loro primo Ep, dal curioso titolo Pois: prodotto da Sergio Quagliarella (Mamud band – Kabikoff), questo primo lavoro dei Rumor, mi ha pienamente convinto così come le loro “spaventose” performance live, dove viene fuori tutta l’attitudine rock di questi tre terribili ragazzi.
Si parte con un brano da classifica, Iuvullai, con quel "Lei non lo sa, ma può dare di più” che rimane in testa, con il determinante ausilio di un simpatico falsetto finale.
12 luglio 2013
Wise Men - Wiseman ep - Rec. in 10 parole
Nati da progetti trasversali tra Milano e Varese, i Wise Men debuttano nel mondo discografico con il quasi ononimo Wiseman. Il trio lombardo sfodera un alternative pop-punk di pura matrice newyorkese (molti i riferimenti agli Strokes) senza trascurare però l'attuale scena indie britannica (Franz Ferdinand e Kaiser Chiefs, ad esempio).
11 luglio 2013
Tremila persone per Bugo e Ministri (al Magnolia), servirebbero nuovi rimedi per la miopia...
Le serate estive al Magnolia sono l'equivalente adulto di
quei giorni in cui da bambini al Grest ci portavano a fare la scampagnata. Nella
nostra realtà di provincia, la meta era la colonia elioterapica sul Ticino. Si
andava là felici ed allegri, si mangiava qualcosa tutti insieme sui tavoloni,
si beveva (all'epoca rigorosamente analcolico) e poi si giocava e si facevano
varie attività. In sintesi, tanto tempo libero da passare tutti insieme, e
spazi aperti nel quale fare casino e sfogare le proprie energie in eccesso. E
poi quella rilassatezza assoluta, dovuta al fatto di sentirsi in vacanza, che da
grandi al Magnolia ci porta a sorvolare perfino sul fatto che la serata sia la
Godzillamarket fest.
10 luglio 2013
Tutti vogliono i Tame Impala, in Italia (con il solito ritardo) gli indies impazziscono per loro
Benvenuti
nel mondo psichedelico di Kevin Parker e compagni. I Tame Impala, australiani
di Perth, ci trasportano in un'altra dimensione con il loro secondo album Lonerism
e ci ipnotizzano con il video legato a Feels like we only go backwards,
singolo estratto dall'album che ha avuto la nomination come canzone dell'anno
nell'ambito di Apra Music Awards 2013.
La
band, il cui nome è ispirato all'antilope africana impala, è fondamentalmente
lo sviluppo del progetto rock psichedelico del leader, cantante e chitarrista,
Kevin Parker (già leader dei Dee Dee Dums, band blues/jazz/psichedelico). Si
autodefiniscono “rock band hypno groove dal continuo fluire psichedelico
enfatizzante una melodia onirica”.
6 luglio 2013
Tornano gli Ulan Bator, più chitarre e un interessante compendio postmoderno
Mi piace il nuovo album degli Ulan Bator, francesi che girano in macchina con la targa numero 75. E se anche Michael Gira degli Swans sostiene che siano il miglior gruppo francese degli ultimi 300 anni… magari qualcosa di carino da ascoltare potrebbe anche esserci, in questo En France en transe. Il gruppo gira da parecchi anni, ma da quel che leggo si è concesso molte pause dalla sua formazione, risalente al 1995 e quindi precedente al rigore di Di Biagio.Atmosfere molto post e poche baguettes sotto le ascelle sin dall’inizio: si parte bene. Velocità, poca noia, arpeggi ed elettronica sagacemente fusi in un interessante compendio di industria della modernità.
5 luglio 2013
Madame Blague - Pit-a-pat - Rec. in 10 parole
I liguri Madame Blague, attivi dal 2009, esordiscono
discograficamente con un album intitolato Pit-a-pat
(DreaminGorilla records), nel quale sono raccolti dieci brani che tentano di
unificare in una visione pop le influenze di vari generi musicali.
Recensione in 10
parole: cantanti (sono due e si alternano nei vari brani), inglese (la
lingua delle canzoni), art rock (con influenze anni '70 nell'iniziale Join us e con tanti cambi di mood in Realitink), pop (leggero ma raffinato in
Escaped whisper), ballad (d'altri
tempi in Afraid to forget you), reggae
(c'è spazio anche per quello, nella finale Under
a Varazze sun), elettropop (alcuni piccoli inserti a battiti accelerati in Sweet colors), versatilità (e ottima
preparazione dei musicisti), ecletticità (questa forse è la parola che
racchiude tutte le altre, ma chissà se è una cosa positiva, quando spinta così
all'estremo). Marco Maresca
Voto: **
Tracklist:
1. Join us
2. The
circus never stops
3. Escaped
whisper
4. Tell me
5. Sweet
colors
6. Afraid
to forget you
7. Before
8. The
story of how I lost my face
9.
Realitink
10. Under a
Varazze sun
Aemaet - Human Quasar - Rec. in 10 parole
l’uomo e il quasar, due elementi agli antipodi dello spazio e del tempo, quanto esista di più vicino e di più lontano. Rappresentano anche e soprattutto i due lati opposti in cui è diviso il loro album: materia bianca e materia oscura.
Recensione in 10 parole: Dark (questo aspetto alla Depeche Mode è presente ad esempio nel brano Andy the mothman), bianco (il lato A, dove tutto è tangibile), oscuro (il lato B dove invece l’ignoto è impersonato dal pezzo Slumber of god), verità (il termine ebraico Aemaet significa verità, i temi dei brani rimandano ad una realtà cruda ed inesorabile), iconoclastico (nel brano The iconoclasts dal sound un po’ Soundgarden un po’ Pearl Jam si parla appunto di iconoclastia), new wave (se pur a far da padrone è il rock, anche il sound della “nuova onda” si sente), melodico (come nel brano A boy called Hermes, unica canzone a parlare d’amore), oscuro (il lato B denominato Materia Nera, con i brani The Hangman, Shadow, Paradoxical sleep e A shelter From a dreams), onirico (il viaggio è uno dei lati caratterizzanti di questo album), infine emozionale (poiché il mix di rock, prog, alt rock, dark e new wave riesce a toccare tutte le corde del cuore). Marco Colombo
Voto: ***
Tracklist:
Vetus Ordo Seclorum
The Iconosclasts
A boy called Hermes
Demons of dawn
Andy the Mothman
Slumber
The Hangman
Shadow
Paradoxical sleep
A shelter from dreams
Officina Finistere - Il Guscio - Rec. in 10 parole
Il guscio è
l'esordio discografico, autoprodotto, di un'interessante folk band che sta tra
Novara e Vercelli, chiamata Officina Finistere.
Recensione in 10
parole: premessa (se pensate che i gruppi con cui abbiamo affinità geografiche
ricevano da noi un trattamento privilegiato, ascoltatevi questo cd e vedrete
che sono bravi per davvero), combat folk elettrificato (non originalissimo ma
suonato in maniera convinta e consapevole), testi (Urgenza, Luglio e anche
tanti altri brani sono vere e proprie poesie), ricchezza compositiva (ci sono
brani veramente solidi, tra i quali l'iniziale La sinistra paura), arpa celtica (un vero valore aggiunto),
chitarra (ottima e abbondante, a volte perfino sovrabbondante). Marco Maresca
Voto: ***/
Tracklist:
1. La sinistra paura
3. Il guscio
5. La scarica
7. La vertigine
8. Luglio
9. I miei occhi ti fanno da scudo
10. Il rogo
11. Hai gli occhi e son pietre di vetro
12. Balkan officina
4 luglio 2013
Miscellanea Beat - Within The Beatles - Rec. in 10 parole
I Miscellanea Beat sono un duo formatosi nel 2011, composto da Gionata Costa, violoncellista, già membro fondatore dei Quintorigo, e Massimo Marches, chitarristadelle Officine Pan. Within The Beatles, primo disco della band, rivisita alcune famose canzoni dei Beatles in versione elettro-acustica: un risultato originale e stuzzicante, tra jazz, elettronica e pop. Il packaging del disco include un fumetto a tema dell'illustratore Massimo Modula in cui Ringo Starr e Paul McCartney sono svegliati in piena notte da una musica familiare proveniente dal tetto: “Maybe we’re still dreaming”, dice Paul.
Voto: ****
Tracklist:
You've got to hyde your love away
Wait
Norwegian wood
Things we said today
I've just seen a face
If I fell a hard day's night
She's leaving home
You won't see me
For no one
We can work it
Strawberry fields
Michelle
Ticket to ride
In my life
Come together
Wait
Norwegian wood
Things we said today
I've just seen a face
If I fell a hard day's night
She's leaving home
You won't see me
For no one
We can work it
Strawberry fields
Michelle
Ticket to ride
In my life
Come together
3 luglio 2013
Dawn to the clouds - Far ep - Rec. in 10 parole
Recensione in 10 parole: compatto (il suono è diretto e aggressivo e ti colpisce al cuore), elettric pop (chitarre distorte su idee di elettronica), viaggio (perché questi diciassette minuti ci potrebbero accompagnare in macchina su una strada deserta in un continuo loop sonoro), ipnotico (perché la voce a volte sortisce questo effetto e i suoni non sono da meno), internazionale (in quanto ricorda colleghi ben più illustri come Smashing Pumpkins e Foo Fighter, pur mantenendo comunque una sua originalità), ritmico (On your lips e Loneliness ne sono un bell’esempio), sporco (i suoni distorti “sporcano” le quattro tracce rendendo tutto il lavoro davvero diretto), curiosità (perché personalmente sono molto curioso di sentirli anche dal vivo) ed infine tre stelle (che sono quelle che assegno ai bravi Dawn to the clouds). Marco Colombo
Voto: ***
Track list:
1. On Your Lips
2. Florence (Be Forest Cover)
3. Sunday
4. Loneliness
Track list:
1. On Your Lips
2. Florence (Be Forest Cover)
3. Sunday
4. Loneliness
1 luglio 2013
The Earth cries blood, l'oscuro e sofferto nuovo album del progetto The child of a creek
The child of a creek è un
progetto musicale dietro al quale c'è il compositore livornese Lorenzo
Bracaloni. Il primo lavoro musicale di Lorenzo risale a quasi dieci anni fa. Di
album in album, la sua musica si è evoluta e ci troviamo ora davanti al nuovo
disco intitolato The Earth cries blood.
In un certo senso, The Earth cries blood
è una parte di un lavoro più ampio: gli altri brani finiranno su Quiet swamps, un altro album ancora in
fase di pubblicazione. L'etichetta è Seahorse recordings, che con Audioglobe in
Italia si occupa anche della distribuzione del disco, ma la cosa interessante è
che l'album verrà distribuito anche in Inghilterra e addirittura negli USA (da
due diverse etichette). A testimonianza che il genere musicale di The child of
a creek, per quanto insolito in Italia, può avere estimatori in mercati
discografici diversi dal nostro. Ma veniamo alla particolarità di The Earth cries blood: l'oscurità, la
sofferenza. Afferma l'autore: “Ho scritto e composto The Earth cries blood in un periodo difficile della mia vita. E’ un
disco molto autobiografico dove la mia persona è messa a nudo come mai prima
d’ora. Il disco racconta ricordi, sensazioni, sogni vividi, disperazione,
peccati, speranza, colori, vita, morte, gioventù, deterioramento. Registrato in
un angolo della casa, in disparte, con lo sguardo lucido rivolto alla finestra
fredda, questo lavoro esprime un parallelo oggi più che mai necessario: quello
tra le sofferenze dell’Uomo, solitario e diffidente, e le sofferenze della
Madre Terra, sempre più lacerata ed incattivita. Così, l’Uomo piange sangue, la
Terra piange sangue in un circolo unico ed indissolubile". In effetti, nei
brani emerge un sanguigno rapporto con la terra ma anche con l'oscurità. E' un
disco per certi versi (e ovviamente con le dovute distanze) tecnicamente simile
al mitico Ommadawn di Mike Oldfield,
per la moltitudine di strumenti utilizzati: chitarre di tutti i tipi, flauto,
piano, piano elettrico, organo, arrangiamenti d'archi e sintetizzatori. Le
atmosfere, come detto, sono cupe, e lo diventano ancora di più verso la fine,
con Don't cry to the Moon, brano in
cui alla voce dà il suo contributo Andria Degens, in arte Pantaleimon, artista
che già collaborò coi Current 93, altro progetto noto per la mistica
spiritualità dei propri album. I ripetuti e ripetitivi giri di chitarra sui
quali si sviluppano le canzoni di The
Earth cries blood, e gli strati sonori che si intrecciano come le fronde
degli alberi, vengono superati dalla cristallina voce di Lorenzo (splendidamente
in inglese) che porta tutto su un livello alto e mistico. Un album che, per
quanto complesso e sofferto, in realtà giunge subito all'ascoltatore e al
contrario di quanto potrebbe sembrare non richiede molti ascolti per essere
compreso, poiché il messaggio è di qualità e non è soltanto un esercizio
musicale di composizione e di progressioni. Anche se le ambizioni sono elevate,
forse anche un po' troppo, per i mezzi a disposizione. Sicuramente un lavoro da
premiare, cosa che prontamente facciamo quando ci arrivano dischi così diversi
dal solito. Marco Maresca
Tracklist:
1. Morning
comes
2. Remembrances
3. Journeys
of solitude and loss
4. Leaving
this place
5. Black
storms fly high
6.
Terrestre
7. The long
way out
8. Birds on
the way home
9. Don't
cry to the Moon
10. My will
to live
11. The
Earth cries blood
Droning maud - Our secret code - Rec. in 10 parole
Secondo lavoro per i laziali Droning maud. Registrato agli Acme Studios, master di Paolo Messere, con la produzione di Amaury Cambuzat (Ulan Bator), Our secret code è un bell'esempio di post rock ed elettronica.
Recensione in 10 parole: mantra (perché i pezzi presentano un tema musicale ricorrente), novanta (perché in brani come Now it fades now it’s gone troviamo le sonorità di quegli anni, tipo Mogway e June77), armonico dissonante (si alternano passaggi molto easy-listening per poi tornare ad atmosfere più cupe), elettronico (perché l’elettronica è naturalmente presente senza però essere troppa invasiva), pop (alcuni brani, come Sun Jar e Oh Lord! la composizione si fa popolare), originale (perché pur ricordando band come Sigur Ros, Radiohead e i già citati Mogwai, mantiene una sua struttura di lavoro originale ben prodotto ed arrangiato), strumentale (nei pezzi Ghost e I’m not sleeping la parte musicale è quella che prevale nettamente), convivenza (sì perché come in Kill The skyscraper e Led Lights la parte melodica e quella più prettamente elettronica riesco a convivere e a convincere), infine avanguardia (perché Our secret code è anche un bell'esempio di avant rock). Marco Colombo
Voto: ***
Tracklist:
1. Sun Jar
2. Ghost
3. Nimbus
4. Kill the Skyscraper
5. Inside Out
6. Now It Fades Now It’s Gone
7. I’m Not Sleeping
8. Led Lights
9. The Great Divide
10. Oh Lord!
Recensione in 10 parole: mantra (perché i pezzi presentano un tema musicale ricorrente), novanta (perché in brani come Now it fades now it’s gone troviamo le sonorità di quegli anni, tipo Mogway e June77), armonico dissonante (si alternano passaggi molto easy-listening per poi tornare ad atmosfere più cupe), elettronico (perché l’elettronica è naturalmente presente senza però essere troppa invasiva), pop (alcuni brani, come Sun Jar e Oh Lord! la composizione si fa popolare), originale (perché pur ricordando band come Sigur Ros, Radiohead e i già citati Mogwai, mantiene una sua struttura di lavoro originale ben prodotto ed arrangiato), strumentale (nei pezzi Ghost e I’m not sleeping la parte musicale è quella che prevale nettamente), convivenza (sì perché come in Kill The skyscraper e Led Lights la parte melodica e quella più prettamente elettronica riesco a convivere e a convincere), infine avanguardia (perché Our secret code è anche un bell'esempio di avant rock). Marco Colombo
Voto: ***
Tracklist:
1. Sun Jar
2. Ghost
3. Nimbus
4. Kill the Skyscraper
5. Inside Out
6. Now It Fades Now It’s Gone
7. I’m Not Sleeping
8. Led Lights
9. The Great Divide
10. Oh Lord!
I Muse incantano Torino con un concerto fin troppo maestoso
Dopo la lunga egemonia di San Siro tocca all’Olimpico di
Torino prendersi il ruolo di teatro ospitante per i concerti di massa. Dopo le
date di Vasco Rossi, ecco i Muse che si fermano nel capoluogo piemontese per la
seconda volta di fila dopo l’estate del 2009. A mesi di distanza dall’ultimo
riuscito lavoro The 2nd Law, Matthew Bellamy, Chris Wolfstenholme e Dominic
Howard fanno visita in Italia durante il loro nuovo megalomane ed ambizioso
tour.
Palco imponente con figure di ogni tipo proiettate sul megaschermo,
botti e fiamme, un robot gigante e tanti effetti scenici di canzone in canzone.
Il trio inglese tende a dare sempre più un’immagine “tamarra” e spettacolare di
sè, una visione nemmeno lontana parente dei primi anni di carriera in cui
venivano considerati i nuovi alfieri dell’indie-rock. Come maestosità il loro
live si avvicina parecchio a quello degli U2 delle ultime due decadi e, per
almeno per quanto riguarda lo spettacolo, non delude assolutamente
nessuno.
Per documentare l’evento abbiamo assistito alla prima data
del "2nd Law Tour” in programma proprio all’Olimpico di Torino. I due gruppi
spalla – i garage-indie Arcane Roots e i banalotti pop-punk We Are The Ocean –
non convincono granché. Attendiamo le 9 e mezza in modo che vada via un po’ di
luce del sole, mentre il mega-robot ha fatto il suo ingresso sul palco
vociferando Unsustainable.
Il via è affidato a
Supremacy, in cui i nostri fanno il proprio ingresso tra le fiamme che
esplodono. In seguito ecco Panic station,
in cui si nota sul megaschermo un simpatico balletto delle personalità più
imponenti del pianeta. Il pubblico torinese esplode di gioia al momento di Plug in baby, l’unico momento in cui i
britannici rivisitano i primissimi anni della carriera (ma alla seconda data
all’Olimpico si sono esibiti con chicche come Bliss, New Born e Sunburn!).
L’esibizione si concentra particolarmente sull’ultimo disco,
da cui vengono estratte ben dieci tracce. Un po’ troppe considerando il fatto
che alcune non si dimostrano particolarmente adatte per un concerto di massa.
Ad esempio avremmo evitato la pur toccante Explorers
e Liquid State, cantata dal
bassista Wolfstenholme. Ma per il resto il concerto è assolutamente memorabile,
con attori dei mini-clip che fanno il loro ingresso sul palco (come nel caso di
Animals e Feelin’ Good), effetti scenici spettacolari (i paesaggi
space-western in Kinghts of Cydonia,
le tv sovrapposte in Stockholm syndrome
e vari effetti specchi multipli in Uprising)
e qualche intermezzo cover riuscito (Dracula
Mountain, Monty Jam, Freedom).
Ovviamente non mancano i successoni Time is running out, Undisclosed
desires, Follow me e Starlight, che conclude l’esibizione tra
l’Olimpico in estasi. In altre parole il concerto dei Muse è puro spettacolo
hi-tech che lascia a bocca aperta i fan, che comunque hanno accettato e
condiviso il loro passaggio a band mainstream di massa. In quanto ad effetti
scenici non possiamo che consigliare di andare almeno una volta ad un live di
Bellamy & co. che, nonostante siano in tre con un solo tastierista
aggiunto, riescono a tenere più che dignitosamente il palco. Forse troppo
commerciali, forse hanno un repertorio costruito troppo sui loro singoli, ma
una “serata da stadio” con i Muse va assolutamente vissuta. Marco Pagliari
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