Nimoe *
Riceviamo ed ascoltiamo i Nimoe che ci propongono un singolo contenete due brani: Donna liquida e Immagine nel tempo. Questa band di Legnano suona musica curata, con una base rock piuttosto classica e corposa: due chitarre, basso batteria, voce e piano hammond. Qualche derivazione anni ottanta, molti assoli, sovrapposizioni di chitarra e testi in italiano: non c’è nulla di particolarmente originale da segnalare sotto il sole di Legnano, anche se la qualità e la passione ci sono decisamente non credo che questa band riuscirà a trovare una dimensione che vada molto al di là di una festa della birra, un po’ perché questo genere in questo periodo non tira, un po’ perché le sonorità sanno davvero di qualcosa già sentito più e più volte. Giovanna Oceania
Nembrot – La refurtiva del vile **
Riceviamo ed ascoltiamo i Nimoe che ci propongono un singolo contenete due brani: Donna liquida e Immagine nel tempo. Questa band di Legnano suona musica curata, con una base rock piuttosto classica e corposa: due chitarre, basso batteria, voce e piano hammond. Qualche derivazione anni ottanta, molti assoli, sovrapposizioni di chitarra e testi in italiano: non c’è nulla di particolarmente originale da segnalare sotto il sole di Legnano, anche se la qualità e la passione ci sono decisamente non credo che questa band riuscirà a trovare una dimensione che vada molto al di là di una festa della birra, un po’ perché questo genere in questo periodo non tira, un po’ perché le sonorità sanno davvero di qualcosa già sentito più e più volte. Giovanna Oceania
Nembrot – La refurtiva del vile **
Il futurismo fu una corrente artistica a 360° che nel suo nonsense influenzò notevolmente la cultura successiva. Nonostante questo in molti considerano il futurismo, in letteratura ad esempio, un insieme di simboli senza senso. Con le debite proporzioni, questo è l’approccio che si potrebbe utilizzare verso questa band campana, i Nembrot, che fa dello sperimentare il proprio cavallo di battaglia. Il loro suono è un misto di noise, ambient surreale, con una forte attrazione per quello che può essere definito suono industriale, e a sostegno di questo, troviamo l’utilizzo si strumenti non convenzionali, come lamiere, teglie, trapani e ferraglie varie, quelli che nella nota di presentazione del disco, vengono definiti “detriti della società post moderna”. La ricerca riveste un ruolo fondamentale per la band, che non trova stimoli nella classicità dei suoni e delle accordature, ma ricerca continuamente nuovi suoni, nuove soluzioni… dove conduce questa ricerca? Questa è la domanda che mi pongo ascoltando le tracce di questo disco, che fluiscono come le spire di una catena che si muove pesante. Potrebbe rappresentare un’espressione nuova, ma potrebbe nel contempo essere catalogato come un cd tanto ostico quanto privo di un suo senso.Di sicuro si tratta di un ascolto ostico, che può restituire più di un’emozione superficiale solamente ad un ascoltatore preparato che approcci questo lavoro così particolare nella maniera più corretta. Roberto Conti
Unmade bed – Loom ***
Unmade bed – Loom ***
Guardando dal buco della serratura può capitare di sbirciare in una stanza di marzapane abitata di personaggi fantastici e misteriosi, dove i suoni fanno muovere la ruota di un mulino color cachi e una voce surreale e fantastica ci racconta le avventure di una famiglia di coniglietti vampiri. Stiamo parlando di Loom il disco di Unmade bad, un progetto made in Toscana che ha il merito di crederci e di proporre un prodotto musicale insolito e distante dagli schemi più rituali della musica rock indipendente. Se qualche paragone lo si vuole trovare, possiamo affacciarci sul balcone dei Mercury Rev, ma le reminiscenze sonore sono ovunque e da nessuna parte. Questo Loom ha il merito di distrarre la mente e di portarla per qualche tempo in una casa incantata, le canzoni si susseguono come per farci visitare le differenzi stanze, tra antiche teiere e grammofoni polverosi che propongono parole inglesi che assomigliano talvolta ai versi di un animale, talvolta al richiamo di uno spirito. Fantastico. Roberto Conti
Nokeys – The regency ***
Devo complimentarmi con i Nokeys (loro vorrebbero che il nome fosse scritto in minuscolo, ndr) perché non capita così spesso un disco con un packcaging così semplice ed elegante, semplice come la scheda di presentazione che ci mandano che descrive splendidamente cosa andremo ad ascoltare nel disco (senza quella miriade di informazioni inutili che la band tendono a raccontare, vedi ho suonato prima di questo e di quello… come se suonare prima di qualcuno rappresentasse un biglietto da visita significativo nella scena musicale odierna dove prima dei Cure ci fanno suonare pure Bugo – mi scuso per la divagazione -). I Nookies sono una band new wave con influenze che si avvicinano molto a Depeche Mode, Joy Division, Smiths e compagnia… The regency è un disco di dieci canzoni, otto delle quali in inglese, prodotto dallo svedese Stefan Boman che ha mixato e masterizzato il cd a Stoccolma. I brani in italiano appaiono nettamente inferiori rispetto a quelli in inglese, addirittura l’open track Rock’n’roll pistolero è talmente deludente che rischia di compromettere l’ascolto di un disco che invece si rivela assai piacevole e ricco di sorprese positive come The lads, Eyes of riot e Dolore dolcissimo (nonostante il testo non esaltante). Probabilmente dal vivo la band riesce ad esprimere sonorità che su disco sembrano in un certo qual modo imbrigliate, ma che non deluderanno gli amanti della new-wave con un pizzico di salsa italiana. Giovanna Oceania
Lorenzo Monni – Debris **
Partiamo dalle note negative: per un disco strumentale, undici tracce, alcune delle quali superiori ai sei minuti, sono davvero troppe da proporre ad un ascoltatore, le cui velleità vengono inevitabilmente fiaccate con il passare dei minuti.Anche per questo Debris del bravo polistrumentista sardo Lorenzo Monni, occorre interrogarsi sulle finalità del disco, così come spesso mi capita di fare quando approccio album solo musicali. Difficile leggerlo come un album da ascoltare così com’è, forse è più opportuno interpretarlo come saggio delle abilità dell’autore che farebbero la felicità di qualsiasi cantante o di numerosissime band, alle quali Lorenzo regalerebbe qualità a piene mani, impreziosendo di centinaia di strati e sfumature sonore. Il silicio del cd è come un foglio bianco che Lorenzo Monni dipinge con colori talvolta tenui, talvolta primari. In alcune tracce domina la tensione sonora (The big laugh), in altre la dolcezza (Gone), gironzolando qua e là tra le tracce ci si imbatte in angeli anormali e in demoni dall’animo buono. Bisogna soltanto avere la pazienza di ascoltare e cogliere le pregevoli sfumature che questo lavoro sa offrire. Giovanna Oceania
Nokeys – The regency ***
Devo complimentarmi con i Nokeys (loro vorrebbero che il nome fosse scritto in minuscolo, ndr) perché non capita così spesso un disco con un packcaging così semplice ed elegante, semplice come la scheda di presentazione che ci mandano che descrive splendidamente cosa andremo ad ascoltare nel disco (senza quella miriade di informazioni inutili che la band tendono a raccontare, vedi ho suonato prima di questo e di quello… come se suonare prima di qualcuno rappresentasse un biglietto da visita significativo nella scena musicale odierna dove prima dei Cure ci fanno suonare pure Bugo – mi scuso per la divagazione -). I Nookies sono una band new wave con influenze che si avvicinano molto a Depeche Mode, Joy Division, Smiths e compagnia… The regency è un disco di dieci canzoni, otto delle quali in inglese, prodotto dallo svedese Stefan Boman che ha mixato e masterizzato il cd a Stoccolma. I brani in italiano appaiono nettamente inferiori rispetto a quelli in inglese, addirittura l’open track Rock’n’roll pistolero è talmente deludente che rischia di compromettere l’ascolto di un disco che invece si rivela assai piacevole e ricco di sorprese positive come The lads, Eyes of riot e Dolore dolcissimo (nonostante il testo non esaltante). Probabilmente dal vivo la band riesce ad esprimere sonorità che su disco sembrano in un certo qual modo imbrigliate, ma che non deluderanno gli amanti della new-wave con un pizzico di salsa italiana. Giovanna Oceania
Lorenzo Monni – Debris **
Partiamo dalle note negative: per un disco strumentale, undici tracce, alcune delle quali superiori ai sei minuti, sono davvero troppe da proporre ad un ascoltatore, le cui velleità vengono inevitabilmente fiaccate con il passare dei minuti.Anche per questo Debris del bravo polistrumentista sardo Lorenzo Monni, occorre interrogarsi sulle finalità del disco, così come spesso mi capita di fare quando approccio album solo musicali. Difficile leggerlo come un album da ascoltare così com’è, forse è più opportuno interpretarlo come saggio delle abilità dell’autore che farebbero la felicità di qualsiasi cantante o di numerosissime band, alle quali Lorenzo regalerebbe qualità a piene mani, impreziosendo di centinaia di strati e sfumature sonore. Il silicio del cd è come un foglio bianco che Lorenzo Monni dipinge con colori talvolta tenui, talvolta primari. In alcune tracce domina la tensione sonora (The big laugh), in altre la dolcezza (Gone), gironzolando qua e là tra le tracce ci si imbatte in angeli anormali e in demoni dall’animo buono. Bisogna soltanto avere la pazienza di ascoltare e cogliere le pregevoli sfumature che questo lavoro sa offrire. Giovanna Oceania