12 dicembre 2006

Ion - Madre pròtegenos: le alchimie acustiche di un ex ‘Anathema’

Non è certo un artista 'emergente’ Duncan Patterson, musicista inglese (di Liverpool) trapiantato in Irlanda, e noto ai più per essere stato lo storico bassista dei primi Anathema (band con la quale ha collaborato fino ad Alternative 4, uscito nel 1998), e poi co-fondatore degli Antimatter gruppo sperimentale autore di un paio di dischi in bilico tra rock d’avanguardia e musica atmosferica... Ora Duncan torna a far parlare di sé sotto una luce completamente nuova con questo nuovo cd (e nuovissimo progetto a nome ‘Ion’), con ogni probabilità il progetto più ambizioso che il musicista inglese abbia mai partorito. Uscito per la portoghese Equilibrium Music lo scorso dicembre, Madre Protegenòs è infatti un disco che segna un nuovo e personalissimo percorso musicale nella carriera musicale di Patterson; un cd molto intimista e completamente acustico dove al suono della sua chitarra si sommano quelli di una infinità di altri strumenti ad arco e fiati (flauti, arpa, clarinetti e percussioni varie), con vocals quasi esclusivamente femminili (e quasi tutti appannaggio della bravissima cantante russa Emily Saanen). Numerosi e di diversa nazionalità (tra di loro anche l’italiana Valentina Buroni) i musicisti che si alternano al fianco dell’ex Anathema lungo i 9 brani del cd; dall’iniziale title-track (brano lentissimo ed evocativo, quasi doom nelle atmosfere, caratterizzato da un lento arpeggio di chitarra e da varie voci che, alternandosi, declamano in varie lingue il titolo del brano) alla bellissima Learpholl in cui si respira aria di folk popolare irlandese, per proseguire con l’algida Believe e la ballad per solo voce – con accompagnamento in sottofondo – di Goodbye Johnny dear (canzone della tradizione popolare irlandese, in cui i richiami al folk di cui sopra sono quanto mai evidenti e qui interpretata, magistralmente, dalla soave Emily Saaenen), ‘Madre, protegenòs’ si rivela un ascolto altamente emozionante ed intenso, a dispetto delle musica il più delle volte soffusa, quasi sussurrata. A guardar bene in effetti, gli unici legami con il passato musicale del nostro si possono riscontrare nel titolo del quarto brano, Anathema maranatha, ma è davvero lo spazio di un attimo. Nell'insieme un disco ottimamente prodotto (e suonato) e che risulta sicuramente accattivante, anche se magari non molto vario; un mix di suoni, influenze e, perché no, anche culture musicali differenti che convivono dando luogo ad un autentico pout-pourrì sonoro di sicuro valore ed interesse, in grado di farsi largo anche al di fuori della ristretta cerchia della cosiddetta ‘world music’. Luca Rancati