31 dicembre 2011

Si chiude il 2011, un anno difficile musicalmente (e non solo)

Cari amici/cari lettori, 
si sta per concludere il 2011, un anno sicuramente "un po' nero" del quale mi fa piacere stilare un bilancio musicale e non solo dalle pagine di questa webzine che infondo considero, oltre che come sito di approfondimento musicale, uno spazio di libertà.





Roberto Vecchioni vince il festival di Sanremo facendosi precursore di quel vento di cambiamento politico del quale le canzoni del Festival sono inevitabilmente spia. Infatti alle elezioni politiche di primavera il centrosinistra torna a rialzare la testa, vincendo in città importanti come Napoli, con De Magistris sostenuto dall'inedita alleanza Italia dei valori/Comunisti, e a Milano dove Pisapia riesce nell'impresa di scalzare Letizia Moratti. Anche a Novara, la nostra città, dopo anni di dominio leghista si affaccia sulla scena politica un centrosinistra di ispirazione marcatamente democristiana.

L'Italia unita compie 150 anni, è l'occasione per riscoprire lo spirito di appartenenza e di unità nazionale. Anche musicalmente non mancano gli eventi in questa direzione: moltissimi festival estivi optano (anche con la premessa di budget sempre più fragili) su cast completamente made in Italy.

Nel mese di luglio viene ritrovato il corpo morto di Amy Winehouse stroncata da un cocktail di alcol e farmaci: diventerà l'ultima icona di una scena musicale internazionale sempre più povera di riferimenti di un certo peso. I suoi dischi restano in classifica per mesi.

Scoppia il fenomeno Adele, mentre a livello globale si parla ancora di P.J. Harvey e dei Radiohead i cui fasti però sono inequivocabilmente il ricordo del tempo che fu. Va citata Lady Gaga, diva per tutto tranne che per la musica. I Kasabian sono stati una splendida conferma, ma hanno convinto più in Italia che altrove. I Rem si sciolgono: speriamo evitino una di quelle reunion che fanno bene solo al portafogli.

Nel nostro BelPaese il panorama musicale appare sempre più polverizzato e, duole dirlo, il disco di maggior successo è ancora una volta di uno dei soliti noti, ovvero di Jovanotti.
Importante ricordare per i numeri che muovono a livello internazionale anche i ritorni di Laura Pausini e Tiziano Ferro, con copioso seguito ma senza squilli di tromba.
Disco migliore dell'anno, l'immenso (anche per lunghezza) Wow dei Verdena. Bene anche Vinicio Capossela (chiamato peraltro da Pisapia per il concerto di questa sera in piazza Duomo).
Il sistema della major è brutto dirlo ma è ancora quello che garantisce ai pochi superstiti di avere spalancate le porte di radio e promozione. Le indipendenti (come detto polverizzate in un dispersivo microcosmo) continuano a muovere numeri lillipuziani. Nota lieta, un passo indietro dei talent.

Da segnalare nuovi nomi che hanno riscontrato (non sempre a ragione) un certo gradimento di pubblico: è il caso dell'ottimo Dario Brunori, dei Ministri, di Dente, da molti paragonato al nuovo Battisti (per la serie evviva la novità).

Tra gli esordienti, sembra mettere tutti d'accordo Anna Calvi. Non mi sono dispiaciuti nemmeno I Cani. E se lo possiamo considerare un esordio anche il progetto strumentale dei Pineda.

Sul fronte dei dischi indipendenti ho trovato particolarmente piacevoli "Frontiera" dei Bancale, che a suo modo raccoglie il testimone da gruppi come Massimo Volume, Madrigali Magri e altri.
Se dovessi scommettere su qualche novità, non avrei dubbi puntando sugli Aim, che soprattutto dal vivo sanno offrire momenti di ottima suggestione e avvolgente psichedelia.

A livello personale non posso che rallegrarmi per la reunion di una band storica della mia adolescenza, quegli Shandon che hanno lasciato un vuoto nella scena punk-hard core italiana e i cui ben oltre 50 concerti, dal mio punto di vista, hanno sicuramente lasciato significativa traccia.

Il 2011 sarà ricordato anche come l'anno dello spread, della caduta del Governo Berlusconi e della significativa e ancora decisamente sottovalutata migrazione di tanti giovani verso nuovi e lontanissimi Paesi come l'Australia o il Brasile, dove la nostra povera Italia non è più solo additata di essere la patria della mafia e della pizza, ma ora anche del bunga bunga, che - per restare in tema musicale - è diventato anche una divertente parodia del sempre geniale Elio. Ascoltandola, paradossalmente, molti italiani rimpiangono la "leggerezza" del berlusconismo, rispetto al periodo di lacrime e sangue di queste ultime settimane del 2011 caratterizzate dal rigore e dalle nuove tasse imposte dal Governo dei professori guidato da Mario Monti.

Divagazione: Proprio Monti e i suoi propongono, tra l'altro, l'abrogazione dell'albo dei giornalisti pubblicisti (che conta 80mila iscritti) lasciando in vigore unicamente quello dei giornalisti professionisti che ne conta poco più di 20mila. Il nodo della questione diventa "salvare" quei 15-20 mila pubblicisti (tra cui ci sono anche io) che solo per questioni di contratto non vengono iscritti nei professionisti, ma che svolgono regolarmente la professione, a differenza di molti altri che pur iscritti all'albo lavorano occasionalmente e non versano i contributi!

L'anno che volge al termine ha fatto registrare un boom dei siti web di informazione, anche a livello locale. Il sistema complessivo dei media ne risulta a mio avviso fortemente impoverito nella qualità dei contenuti e ancor di più a livello economico, con notizie pagate pochi centesimi di euro a colleghi che "pur di fare" non esitano ad appropriarsi (pur con piccolissime modifiche) del lavoro altrui. Forse, alla fine, è scomparsa solo la capacità critica (ma già si sapeva), portandosi dietro un rotolare di confusione mentale.
Speriamo che il 2012 ci riporti almeno le firme, sottratte dalla "redazione web" del mio giornale... Alleluja. Fine divagazione


Per chi ha ancora la pazienza di leggere, scrivo che il 2011 per Asap è stato un anno nonostante tutto gratificante: pur con piccoli passi, abbiamo sempre più lettori, affezionatissimi. Siamo anche più persone scriventi, e questo non può essere che bellissimo, visto che nessuno di noi è pagato per farlo su queste pagine virtuali!

Abbiamo anche aperto ai gruppi locali: prima non ne avevamo quasi mai scritto. Ora ci proviamo con delle micro interviste che almeno ci sollevano da un giudizio critico che non sempre sarebbe stato positivo... Forza ragazzi, è ora di sfoderare qualcosa di musicalmente nuovo che abbia davvero qualcosa da dire!

C'è poi la quarta edizione di Provincia cronica, il nostro premio letterario, realizzato sempre con l'aiuto di Balla coi cinghiali e con il Comune di Cerano che con ammirevole lungimiranza ha creduto in noi e ci ha sostenuto. E' doveroso ringraziare Alessandro Raina degli Amor Fou e Andrea Scarabelli per averci onorato di far parte della giuria!

Concludendo, per il 2012 non so cosa aspettarmi, o cosa augurarmi.
Il mondo gira, ma come e verso dove non si riesce ancora a sapere.


Grazie per aver letto fino a questo punto. 
Cordialmente vostro, Roberto Conti

29 dicembre 2011

Sono i Bancale la nostra rivelazione del 2011


Bancale – Frontiera  ****
(Ribèss Rec. - 2011)


Si erano già fatti notare nel 2009, ai tempi dell'omonimo EP d'esordio, ed a riconfermare le ottime impressioni suscitate allora ecco questo “Frontiera” a fugare i (pochi) dubbi sulla validità del progetto Bancale. La quantità (e qualità) di carne al fuoco è decisamente elevata, a cominciare dalle conclamate influenze di Massimo Volume e Bachi da Pietra, di cui il trio (voce/chitarra/batteria) riprende la forza declamatoria (un brano su tutti: “Catrame”), alla sezione ritmica industrial debitrice degli Einstürzende Neubauten, passando per le atmosfere oniriche dei Low - senza tralasciare i ricchi riferimenti letterari dei testi (Pavese su tutti). Il trio bergamasco vuole scarnificare le strutture tradizionali del blues riducendo la propria espressione all'essenziale, secondo un percorso che mi riporta alla mente addirittura i seminali Starfuckers/Sinistri, giungendo ad esiti ugualmente interessanti, se pur musicalmente differenti dagli ultimi citati: stupisce come, partendo da un assetto strumentale minimale, le trame sonore riescano a vivere della stessa atmosfera e al contempo non risultare mai scontate o ripetitive, complice il lirismo evocativo della voce di Barachetti, in più momenti da pelle d'oca (la monumentale “Megattera”). Se ci aggiungiamo la presenza di Xabier Iriondo, personaggio senza bisogno di presentazioni, in veste di produttore nonché quarto membro aggiunto in più brani del disco, possiamo senza ombra di dubbio concludere che questo è uno dei dischi da non farsi assolutamente scappare di questo 2011 pur ricco di proposte. Fabio Gasparini

26 dicembre 2011

Come far nascere un fiore: cogliamo la raccolta delle Vibrazioni, prima che avvizzisca

Quando ancora si vendevano i dischi, c’erano due circostanze in cui una casa discografica decideva di pubblicare il “greatest hits” di un artista. Nel primo caso, quando questo era nel suo momento di maggior fortuna, la compilation serviva a sfruttare l’onda e fare un po’ di soldi facili. Il secondo caso si verificava quando la casa discografica decideva di dare il benservito a qualcuno finito da tempo nel dimenticatoio. Ora che i dischi non si vendono più, rimane soltanto il secondo caso, com’è recentemente successo alle Vibrazioni, senza che peraltro la band tentasse di nascondere il vero motivo di quest’ultimo tentativo discografico.
Ripercorriamo quindi la storia della band utilizzando come punti chiave le tracce contenute nella loro recente raccolta intitolata Come far nascere un fiore, pubblicata dalla Sony come atto conclusivo (con tutta probabilità) della discografia del gruppo rock milanese.
Il momento di gloria delle Vibrazioni era durato circa tre anni partendo dall’esordio. Un successo cercato a tutti i costi per molti anni e trovato nel 2003 dopo l’atto estremo di produrre dal nulla un video musicale che riuscì ad entrare nella storia, senza che ci fossero alle spalle né un vero contratto discografico né un album pronto. Il brano in questione si intitolava Dedicato a te, ed ancora oggi chi non ricorda la bella Giulia della porta accanto, e la sua famosa camminata lungo il Naviglio?
Grazie al successo inaspettato, al gruppo venne data la possibilità di sfornare un album, e per un periodo i quattro milanesi funzionarono bene, complice una massiccia e quasi eccessiva promozione radiofonica, televisiva e concertistica. A testimonianza del loro primo periodo di gloria, ci sono i singoli In una notte d’estate, Sono più sereno e soprattutto Vieni da me, tormentone melodico dell’estate 2003.
Nel 2005, nonostante qualche piccolo aggiustamento nel vestiario e nelle pettinature per andare incontro alle aspettative delle ragazzine, il secondo album iniziava già a mostrare un’impronta sonora psichedelica ed una tendenza a testi profondi e a volte perfino spirituali, caratteristiche che da sempre si accordano molto male con il mercato discografico italiano. Raggio di sole e Ogni giorno ad ogni ora sono stati comunque recepiti molto bene come singoli. Dello stesso periodo, nella raccolta è poi presente Ovunque andrò, brano sanremese a partire dal quale iniziò il declino dei quattro rockers milanesi un po’ romantici ed un po’ allucinati.
Officine meccaniche, terzo album, uscito nel 2006, fece praticamente sparire le ragazzine dal pubblico della band. Il cambio di sound era diventato ormai abbastanza radicale. Le canzoni erano sempre melodiose ma complesse, con forti richiami agli anni ’70, come nel singolo Se, con testi sempre più profondi ed interiori come in Dimmi e Portami via, oppure con venature un po’ troppo stoner rock, come in Drammaturgia, il cui video costò inutilmente un sacco di soldi.
Iniziando a presagire la fine del progetto, nel 2008 l’abile bassista Marco Castellani lasciò il posto ad un vecchio amico della band, Emanuele Gardossi, bassista di stampo completamente diverso, meno tecnico e funambolico ma fortemente innovativo. Da quel momento la band assunse una direzione precisa ed a suo modo originale, come testimoniato dal singolo Insolita. Un rock adulto di matrice sempre più internazionale (almeno nelle intenzioni). Ma quello fu anche il momento in cui si persero le tracce della band.
Le strade del tempo, quarto e finora ultimo album dei milanesi, uscito nel 2010, non ottenne alcuna promozione di alcun tipo. Respiro, primo singolo, fu avvistato pochissimo nel circuito dei video. Senza indugio, forse la canzone più bella mai scritta dalle Vibrazioni, è conosciuta solo da chi ha ascoltato l’album o è andato ai concerti (con Francesco Sarcina che puntualmente chiedeva se ci fosse qualche vergine nel locale). In un ultimo estremo tentativo di riproporsi al grande pubblico, nel maggio del 2010 le Vibrazioni ottennero di aprire il concerto italiano degli AC/DC. L’enorme quantità di insulti ricevuti e di bottiglie schivate fece capire a tutti che il momento di gloria del quartetto milanese era definitivamente finito, e con pochi rimpianti. Il colpo di coda si ebbe pochi mesi fa, ad ormai due anni dall’uscita dell’album, quando venne prodotto il futuristico video di Va così. Protagonisti addirittura gli azzurrissimi occhioni di Valeria Golino. Alzi la mano chi ha mai visto da qualche parte il video in questione. Peccato: per la terza volta di fila un singolo tanto maturo quanto fallimentare.
Nella loro raccolta, i quattro milanesi non mancano certo di denunciare pubblicamente il boicottaggio che la loro stessa casa discografica ha svolto nei loro confronti negli ultimi anni. Uno dei tre inediti, intitolato Il sangue e anche il resto, è l’amara constatazione del trattamento ricevuto. Il brano in questione, peraltro, è condito da parolacce (mascherate) e vari insulti finali (perfettamente udibili).
Per fortuna l’album si conclude con toni più pacati, con la strumentale Inno alla foresta, che ricalca la stessa melodia del singolo che dà nome all’album, intitolato per l’appunto Come far nascere un fiore. Tra parentesi, il brano in questione è accompagnato da un bel video che funge da epilogo alla storia del gruppo, e di per sé è un brano ottimamente prodotto che rispecchia pienamente la qualità e l’originalità che il gruppo milanese era riuscito ad ottenere nell’ultimo periodo.
Una band destinata a scomparire proprio quando stava iniziando a diventare interessante. Marco Maresca

'Ascolti emergenti' di dicembre

Davide Ferrario – F   ***
Davide Ferrario era il chitarrista di un gruppo chiamato FSC che partecipò a Sanremo qualche anno fa. Ultimamente ha lavorato con Franco Battiato e Gianna Nannini. Il suo primo album è stato pubblicato da Novunque. Non è un album prettamente chitarristico, come ci si aspetterebbe nel suo caso, anzi: le chitarre, quando ci sono, risultano molto minimali e solo in una canzone c’è un vero e proprio assolo. Davide Ferrario in alcuni momenti si affida all’elettronica ed in altri al pianoforte. Ne risulta un disco abbastanza complesso, come il suo autore, che in più occasioni all’interno del disco riesce a stupire per i testi molto intimisti ed una forte tendenza all’autoanalisi. Difficilmente inquadrabile in un genere, il disco è paragonabile in un certo senso all’album di qualche anno fa di Io, Carlo intitolato In perenne riserva, un album simile per attitudine elettronica e profondità dei testi ma forse un po’ più allegro rispetto a quello di Ferrario. Spiccano i brani Cercando un senso, scritta con Lele Battista, e Senza una ragione, che vede la partecipazione di Lorenzo Palmeri. Ottimamente realizzata e rifinita anche la traccia che apre l’album, intitolata Come ieri. Marco Maresca



The Perfect Guardaroba – Sometimes they come back   **


The Perfect Guardaroba è un gruppo punk rock di Senigallia, al suo secondo disco fieramente autoprodotto in pieno spirito punk. Il titolo dell’album è Sometimes they come back, che è anche il titolo di uno dei brani. Le canzoni sono tutte molto ritmate e dirette e già in studio sembrano mostrare una forte attitudine live. La forte attività live è infatti una prerogativa del gruppo, che in passato ha aperto i concerti di L.A. guns, Brakes, Tre allegri ragazzi morti, Hormonauts, Skiantos, Pornoriviste, One dimensional man e molti altri. I brani migliori sono la già citata Sometimes they come back e l’irresistibile cover di Rehab di Amy Winehouse reinterpretata in chiave punk rock. C’è poi un brano acustico particolarmente interessante intitolato Expecting to fly, una specie di ballata punk molto veloce. Il disco è complessivamente un buon biglietto da visita per una band che dal vivo si toglierà qualche soddisfazione. m.m.


Huno - Spessi muri di plastica ***
Huno è un progetto musicale composto da Giacomo Oro (voce, chitarra, pianoforte), Armando De Angelis (batteria, percussioni, voce) Andrea Ceraso (chitarre, Sinth, voci) e Alessandra Barbero (basso). Ci presentano questo ep di sei pezzi caratterizzato da molta energia rock. Il disco si apre con Spessi muri di plastica che dà anche il titolo al cd e che dà il benvenuto all’ascoltatore con un ottimo pezzo energico.
Si passa poi alla durissima Giorno grigio che mi ha ricordato gli Afterhours e i Negrita, poi arriva il mio pezzo preferito, Profonde tracce, bella ballad stile migliori Afterhours o anche Timoria. Davvero emozionante come pezzo con delle ottime chitarre. Anche il successivo, Pioverà, è molto intenso e dal sound molto grezzo, quasi grunge. Davvero un bell'esordio quello degli Huno che spaziano dal rock più duro fino a morbide ballate. Marco Colombo





Fulvio Spagnolo - Sono io lo storpio ***
Fulvio Spagnolo è un cantautore salentino che ha avuto un brutto incidente nel 2007 ed è rimasto in coma per diversi mesi. Grazie alla musica però Fulvio è tornato a suonare e cantare, regalandoci questo album (ditribuito dalla Edel) che pur non essendo una pietra miliare della musica, raccoglie pezzi che emozionano, forse perché parlano proprio anche di un dramma personale. L’album dal taglio molto pop, si apre con il pezzo Sono io lo storpio un pezzo rock molto autoironico, ma anche dolce ed emozionante, poi degni di nota sicuramente Dentro una culla, pezzo pop all'apparenza easy ma profondo, poi la mia preferita Dove vivono i sogni nella quale Fulvio graffia con la voce quasi fosse un Alberto dei Verdena, anche Una splendida di estate mi è piaciuta molto, quasi alla Coldplay. Davvero carino questo album di Spagnolo. Ripeto non un capolavoro, ma un album godibilissimo. m.c.



Andrea Ra - Nessun riferimento ***
Abbiamo ascoltato il nuovo disco del cantautore romano Andrea Ra, Nessun riferimento, prodotto dall’etichetta Modern Life e con distibuzione Audioglobe. 
Sembra quasi un concept album con ben 23 tracce, forse troppe, anche se si fanno ascoltare con piacere. Ci troviamo di fronte disco pop-rock con qualche sconfinamento anche nel crossover, molto orecchiabile.
Interessanti i testi che toccano diversi temi tra cui l’amore, il denaro (I soldi del pupazzo), l'arte, la letteratura (Nessun riferimento), il sogno (Mezzanotte), il dolore (Lo sapevi benissimo), la speranza (Domani partirò). Sempre in primo piano, negli arrangiamenti, il basso di Andrea Ra con ottime soluzioni anche per quanto riguarda gli altri strumenti il cui insieme propone quasi sempre ritmi e dinamiche strutturate.
Rimane comunque, a mio parere, un album troppo difficile per il mercato discografico italiano e quindi non so se potrà uscire dalla nicchia o dal novero di chi Andrea Ra (che già da oltre 10 anni batte il sottobosco della musica italiana) già lo conosce. m.c.

21 dicembre 2011

I Manic Street Preachers in un concerto-evento da 38 singoli a Londra - Ecco cosa ne pensa chi è volato in Uk dall'Italia apposta per loro

Il tempo per i Manic Street Preachers sembra non passare davvero mai, a giudicare dall'energia e passione che mettono in ogni cosa che fanno.
Questa volta sono volata a Londra per quello che sarà il loro ultimo concerto, almeno un paio d'anni (e poi chissà...). I tre gallesi hanno scelto l'enorme O2 Arena, 20.000 posti tutti esauriti, per celebrare i loro ventanni di carriera con un evento lungo 38 singoli: dagli esordi di Motown Junk al presente di Postcards from a young man e This is the day (cover dei The), eseguiti non in ordine cronologico e separati da un intervallo. Non un semplice concerto quindi, ma un vero e proprio evento che chiude una parte di storia della band e lascia tanti interrogativi sul suo futuro. Sono tantissimi i fan che indossano boa di piume, vestiti leopardati e coroncine, divise militari o magliette create con vernice spray, riprendendo i look che la band ha attraversato durante gli anni, una fanbase devota e molto variegata.
Quando l'enorme sipario argentato si apre, sul palco arrivano James Dean Bradfield, Sean Moore e Nicky Wire, volto e mente della band che durante la serata non risparmierà le sue storiche frecciate  “Mi sono sfasciato una spalla suonando Revol, forse dovrei fare un po' di yoga o pilates come fanno quei cazzo di Coldplay!”
In un evento di questa portata c'è posto anche per due ospiti d'eccezione: Nina Persson dei Cardigans e Gruff Rhys dei Super Furry Animals, che interpretano rispettivamente Your love alone is not enough e Let robeson sing. Anche quei brani raramente interpretati dal vivo dalla band come So Why so Sad o il singolo There by the grace of God sono stati accolti con entusiasmo.
Ad arricchire la serata, alcuni aneddoti raccontati dal cantante e dal bassista dei Manics, sulla genesi di canzoni come Suicide is painless, e naturalmente il “fantasma” di Richey Edwards che aleggia senza sosta. Il chitarrista e liricista scomparso nel 1995 e mai dimenticato dai suoi tre amici, è presente in rare immagini proposte su di un maxischermo, e nei ciliegi sul palco composti da luci rosa che nella cultura giapponese simboleggiano la fragilità della vita umana.
I pezzi più osannati sono naturalmente If you tolerate this your children will be next, Faster, Motown Junk, Motorcycle Emptiness. C'è anche posto per una frecciata a Silvio da parte del cantante James: “Berlusconi ci sarebbe stato proprio bene in questa canzone, vero?!” riferendosi a Revol, brano che descrive le difficoltà affettive e le depravazioni sessuali di famosi uomini politici. 
Come sempre i Manics chiudono con il meraviglioso inno alle loro radici proletarie, A Design for life, cantato in coro dal pubblico dell'arena, interamente in piedi per salutare la band. Come sempre i Manics non concedono alcun bis, ma Nicky Wire nella sua migliore tradizione distrugge il suo basso sul palco. Forse è semplicemente un arrivederci, forse è un addio. Diana Debord














8 dicembre 2011

Labbra, precarietà, inquinamento e ricordi: ecco i temi del premio letterario "Provincia cronica" 2012

Musica e letteratura sono legate a doppio filo? Secondo gli ideatori del premio “Provincia cronica” sì, tanto che per il quarto anno consecutivo hanno riproposto il contest letterario che partendo dai titoli e dai testi delle canzoni chiede agli autori di cimentarsi con la stesura di un racconto o di una poesia. Per l’edizione 2012 agli storici promotori – il magazine musicale AsapFanzine e l’associazione musico culturale Balla coi cinghiali – si è aggiunto anche l’assessorato alla Cultura del Comune di Cerano, in provincia di Novara, che ha creduto fortemente nell’iniziativa decidendo di supportarla e di promuovere ulteriormente la diffusione degli elaborati. Quest’anno sono ben quattro gli spunti proposti: si passa dalle labbra (titolo di un album di Paolo Benvegnù) che sicuramente sapranno ispirare racconti d’amore e non solo… fino al periodo ipotetico (uno dei brani più evocativi degli Amor Fou) spunto per parlare del difficile momento di precarietà sociale, ma anche nei rapporti, che stiamo attraversando.
Gli altri due temi sono “Toilette memoria” (titolo di un fortunato disco di Moltheni), un omaggio a una donna trovata cadavere in un bagno: immaginatela mentre stringeva una sua fotografia da giovane… ecco lo spunto perfetto per iniziare a raccontare… E “Inquinamento? No grazie”, un tema esplicitamente dedicato a situazioni come di Cerano, periodicamente ricoperto da una coltre nera della certo non salubre polvere oleosa proveniente dalla vicina raffineria.
Provincia cronica (il titolo del concorso è ispirato a sua volta a una canzone, “I provinciali” dei Baustelle) è aperto a tutti, senza limiti di età, per partecipare occorre inviare i racconti o le poesie alla redazione di AsapFanzine (via D’Enricis 17 – 28100 Novara). Senza dimenticare la scheda coi i dati personali e la simbolica tassa di lettura di 10 euro. Tutte le informazioni sono nel bando disponibile su www.asapfanzine.it e sui principali siti di concorsi letterari.
Il termine per partecipare è quello del 15 maggio 2012.
La premiazione dei vincitori (a cui andrà un’opera d’arte offerta dalla galleria Cloud Factory di Ceriale) si svolgerà all’interno del festival musicale Balla coi cinghiali, che si tiene a Bardineto (Savona) nella seconda metà del mese di agosto. Una selezione degli autori partecipanti sarà anche invitata ad una serata di approfondimento che si svolgerà a Cerano a settembre/ottobre 2012: un incontro-dibattito nel quale sarà data lettura degli elaborati, contestualmente ad interventi di altri autori, reading e spettacoli artistico-letterari. I migliori racconti potranno essere pubblicati (previa disponibilità di fondi) in un libro edito da Beltempo edizioni, la casa editrice di Balla coi cinghiali.
La giuria, presieduta dal poeta bardinetese Giannino Balbis, è composta da Alessandro Raina (frontman degli Amor Fou nonché giornalista e scrittore), Andrea Scarabelli (autore tra l’altro di “Suonare il paese prima che cada. Musica dagli anni zero”), Felice Rossello (docente universitario e autore televisivo), Milena Ferrante (docente universitaria e autrice di biografie musicali), Alessandra Beretta (editor), Alice Loda (referente attività letterarie Balla coi cinghiali/Beltempo edizioni), Ilaria Cornalba (assessore alla Cultura del Comune di Cerano), Roberto Conti (giornalista e direttore responsabile di AsapFanzine). g.oc.

Link agli aggiornamenti del premio http://www.asapfanzine.it/premio_provincia_cronica_2012.htm

3 dicembre 2011

Smashing Pumpkins ad Assago: Il coraggio di proporre ancora novità!

In Italia gli Smashing Pumpkins sono stati una moda passeggera che si è sviluppata unicamente intorno all’anno 2000. Per la platea musicale italiana, l’iconografia classica di tale gruppo è rappresentata da un cantante alto, pelato e con la testa grossa, di nome Billy Corgan, che saliva sul palco conciato come un vampiro, accompagnato da un chitarrista dal muso giallo, un batterista bravo ma drogato, e la bassista delle Hole. Sembra che il loro concerto del 2000 sia stato un evento obbligatorio per i giovanotti dell’epoca. Quando i miei amici, colleghi e conoscenti vari hanno appreso che sarei andato al concerto degli Smashing Pumpkins, il commento unanime è stato pressoché il seguente: “Ah, che figata, il gruppo dove suonava Melissa delle Hole! Io sono andato/a a vederli nel 2000, erano bravi ma erano vestiti in modo strano”.
Ciò che invece risulta strano, per me che li ascolto da una vita, è constatare che per i miei conoscenti gli Smashing Pumpkins siano il gruppo di Melissa delle Hole. Soprattutto perché quest’ultima non ha mai inciso alcun disco con Billy Corgan. Ha solo partecipato a quel maledettissimo tour che sembra l’unico motivo per cui gli italioti hanno memoria del gruppo americano che nel resto del mondo è considerato tra i fondamentali degli anni ’90.
Questa lunga premessa mi serve per evitare di spiegare nel dettaglio l’atmosfera in cui si è svolto nel Mediolanum Forum di Assago (MI) il concerto di quella che è, diciamolo chiaramente, la mia band preferita attuale. “The other side of the Kaleidyscope” è il nome del tour che sta portando in giro per il mondo il gruppo di Chicago. D’altronde, chi passa dall’altra parte del caleidoscopio, non ha bisogno di spiegare come funziona il meccanismo. E così è stato per Billy Corgan, che è salito sul palco, ha imbracciato la sua Stratocaster, e non l’ha più mollata o zittita per le restanti due ore e un quarto (se non per sostituirla con il mellotron per cinque minuti).
Nessuna parola di troppo. Solo musica suonata e cantata. Non particolarmente urlata, come Billy faceva ai vecchi tempi, ma interpretata con una presenza scenica che non ha eguali. Billy Corgan riesce ad essere rockstar senza fare praticamente nulla di ciò che è tipico delle rockstar. Non provoca, non fa proclami, non si lancia sul pubblico. Semplicemente sale sul palco, inizia a suonare la sua chitarra come un vero guitar hero, e non smette più.
Avendo visto dal vivo il gruppo americano più volte in passato, sapevo che il punto debole poteva essere la scelta di canzoni non particolarmente legate tra loro, e di conseguenza alcuni momenti di grande picco emotivo alternati ad alcune fasi più calanti. Billy però ha risolto una volta per tutte questo problema, complice l’entusiasmo di una band completamente nuova (a parte il chitarrista Jeff Schroeder già visto nel tour precedente, che evidentemente è felice del suo status di perfetto gregario). Al basso continua la tradizione di ragazze belle e brave che si sono alternate dopo l’abbandono della storica D’arcy Wretzky. Stavolta c’è Nicole Fiorentino, con una minigonna che ha reso felici tutti i maschi presenti. Ma la novità assoluta è un batterista classe 1990. Un fenomeno di anni ventuno che in alcuni momenti tenta di emulare il suo predecessore Jimmy Chamberlin, ma che ha talmente tanta classe (seppur ancora grezza) da non farlo rimpiangere. Impresa considerata impossibile da tutti i vecchi fans, eppure in molti si sono dovuti ricredere.
Il concerto si apre con due canzoni (Quasar e Panopticon) assolutamente nuove, perfino per il pubblico di internet, abituato ad andare mensilmente alla ricerca di nuove canzoni sfornate da Billy e soci, i quali avevano deciso di percorrere la strada della pubblicazione via web prima di tornare sui loro passi e progettare un disco, Oceania, che dovrebbe uscire a marzo del 2012 (l’unica cosa che Billy ha proclamato durante il concerto). Seguono vari brani tratti da Gish (tra cui Window paine che non suonavano da secoli), Siamese Dream (Silverfuck suonata in modo sconvolgente) e Pisces Iscariot (memorabile l’esecuzione di Starla, con un lunghissimo assolo in stile Jimy Hendrix da parte di Billy). La scelta delle canzoni sembra effettuata in modo che a gruppi di tre o quattro possano fondersi l’una con l’altra, legate da un unico filo conduttore. Solo ogni tanto le luci si spengono ed intervengono campionamenti di rumori surreali e strani suoni celestiali a creare delle piccole pause in cui i musicisti cambiano gli strumenti, in un’atmosfera psichedelica.
Da Mellon Collie and the Infinite Sadness, storico album anni ’90, i Pumpkins tirano fuori Muzzle (la canzone preferita di Corgan). Poi il concerto raggiunge il suo picco più alto con Oceania, canzone completamente nuova, lunghissima ma di una maturità impressionante. Un taglio pop adulto che si fa contaminare dal progressive anni ’70 e addirittura dal prog metal, con fraseggi di chitarre che si intersecano e creano atmosfere sognanti e straordinarie. Un solo momento di respiro con un paio di brani nuovi un po’ lenti e folkeggianti, e poi il gran finale, con Tonight, tonight eseguita con grande trasporto emotivo, come se Billy l’avesse scritta la sera stessa.
Le luci si spengono ma la band in poco tempo torna sul palco per il gran finale con For Martha, brano dedicato alla madre scomparsa, e la degna conclusione con i pezzi storici Zero e Bullet with butterfly wings. Quattro anni fa questi stessi brani venivano eseguiti solo per accontentare il pubblico. Ora Billy e i suoi nuovi soci sono talmente a proprio agio sul palco, che i grandi classici risultano emozionanti come ai tempi d’oro e forse di più. O forse sono proprio questi i tempi d’oro degli Smashing Pumpkins, almeno dal vivo.
Il concerto scorre via velocemente in uno stato allucinatorio dovuto anche alla bellissima scenografia rappresentante il meccanismo interno di un caleidoscopio. I nuovi membri della band hanno saputo rivitalizzare con grande entusiasmo i brani vecchi, e Billy è stato bravo a scegliere quei pezzi magari meno conosciuti ma che si fondono bene con le canzoni nuove. Il coraggio di proporre una moltitudine di brani innovativi ad una platea rimasta ferma all’anno 2000 è assolutamente da premiare. Billy Corgan avrà sicuramente scontentato qualcuno, ma ha deciso di far vincere la Musica, quell’arte che gli permette di esprimersi con le sue canzoni e con la sua chitarra in modo unico. Sono più di vent’anni ormai. La prima volta che il testone pelato e mancino ha imbracciato una chitarra (da destro) su un palco, il suo attuale batterista non era ancora nato. Marco Maresca

Scaletta: Quasar, Panopticon, Starla, Geek U.S.A., Muzzle, Lightning strikes, Soma, Siva, Oceania, Frail and Bedazzled, Silverfuck / Superchrist, Pinwheels, Pale horse, Thru the eyes of Ruby, Cherub rock, Tonight, tonight. For Martha, Zero, Bullet with butterfly wings.

1 dicembre 2011

Noel Gallagher Live @ Alcatraz 28/11/2011

Sono le 21 in punto e… si, “(It’s good) to be free”. Lo sa bene Noel Gallagher quanto sia bello essere liberi, non essere più schiavi del clichè Oasis ed essere semplicemente Noel Gallagher.
C’è una schiera di fans invidiabile, un tifo da stadio e si respira una grande attesa. L’esordio solista del più grande dei fratelli Gallagher è andato bene, sia come vendite che come critiche ma chi è qui stasera vuole rendere omaggio a un’icona del rock che ancora oggi alimenta i sogni di giovanissimi e non.
Poco spazio a convenevoli e romanticismi e scorrendo quasi tutto il fortunato album “Noel Gallagher's High Flying Birds” che dal vivio fa un’ottima figura, non mancano i richiami dell’ingombrante passato Oasis , ma c’è voglia di guardare oltre e così ecco “Freaky Teeth” pezzo nuovo nuovo presentato per l’occasione.
C’è grande sinergia tra chi è sul palco e chi invece assiste a uno show scarno per gli occhi ma di gran gusto per le orecchie e per il cuore. Poche luci e pochi movimenti sul palco ma tanta energia e passione, e a tratti la voce di Noel sparisce coperta da quella del pubblico.
Novanta minuti privi della frenesia che potrebbe darti un live, c’è un ambiente intimo e accogliente che sembra di essere a casa, è una grande serata e …“it's never too late to be who you might have been”. Daniele Bertozzi


Setlist:

1. (It’s Good) To Be Free
2. Mucky Fingers
3. Everybody’s on the Run
4. Dream On
5. If I Had a Gun…
6. The Good Rebel
7. The Death of You and Me
8. Freaky Teeth
9. Wonderwall
10. Supersonic
11. (I Wanna Live in a Dream in My) Record Machine
12. AKA… What a Life!
13. Talk Tonight
14. Soldier Boys and Jesus Freaks
15. AKA… Broken Arrow
16. Half The World Away
17. (Stranded On) The Wrong Beach

Encore:

18. Little By Little
19. The Importance of Being Idle
20. Don’t Look Back In Anger

28 novembre 2011

'La testa indipendente' quattro chiacchiere con le band del territorio: The Kor

Nel lontano 2003, quando tutto ebbe inizio, si facevano chiamare Keep on Ready, oggi a distanza di 8 anni per la formazione novarese molte cose sono cambiate a partire dal nome. Una band che sin dall’inizio ha mostrato la facciata più ruvida del rock nostrano, proponendo un background nutrito dalle derivazioni prettamente di stampo americano. Fraseggi di chitarra ruvidi come pietra si contrappongono alla vocalità suadente ed aggressiva della singer Sonia Rocco (la formazione attuale presenta Elvis Giudici alla chitarra, Dario Piovani al basso ed Eric Giudici alla batteria) donando all’intera cornice un connubio stilisticamente impeccabile. Nel gennaio del 2011 i quattro musicisti novaresi firmano un contratto con l’etichetta indipendente After-Life, cambiando nome in The K.O.R, e si mettono al lavoro per incidere il loro primo full lenght che uscirà nella primavera del 2012. Il primo singolo estratto, I’m Not A Bitch, è un’anteprima che mette in luce le stesse attitudini di sempre:un rock genuino e trascinante che fa eco ad un leggero, e quanto mai orecchiabile, sospiro pop. Incontriamo i ragazzi per addentrarci maggiormente nelle dinamiche di questa formazione.

Come nasce la musica dei The K.O.R?
I nostri brani nascono sicuramente dalla voglia di creare o far rivivere, a chi ci ascolta, un tempo passato che ritorna, suoni non troppo elaborati ma con giri musicali e parole che rimangono in testa.

Avete un album in uscita, ce ne parlate un po’?
Beh che dire?! Bad Influence, questo è il titolo del nostro disco, nasce proprio da questa voglia di emergere, dal fatto che dopo tanti anni finalmente abbiamo trovato una formazione tale da portarci a pensare di fare quel passo in più, su cui forse prima non avremmo mai pensato. Un titolo non a caso, tutto collegato ai nostri brani, chi non è o ha avuto una "cattiva influenza" nella propria vita? Un uomo o una donna che ci han fatto soffrire, il mondo che ci circonda che scuote tutto, la scuola, la musica (vista in senso buono del termine),questo noi vogliamo raccontarlo in 10 brani.
Grazie alla collaborazione con Marco Germani, direttore artistico e produttore per After Life, ci auguriamo che l'uscita del nostro disco ci possa portare ancora più in alto.

Quali sono le difficoltà maggiori per un musicista del nostro territorio?
Il fatto che il piccolo mondo della musica emergente è diventato chiuso, i locali prediligono forse di più proporre gruppi cover e tributi, piuttosto che qualcuno che propone qualcosa di nuovo, anche per colpa della cultura musicale del paese che si accontenta dei soliti grandi successi. Pochi sono rimasti i locali che lo fanno fare, ma a volte neanche quello, non tanto per la non voglia del gestore, ma anche per le spese da sostenere per mantenere i live.

Cantare in inglese è una scelta commerciale o tecnica?
Non c'è un perchè di questa scelta, forse musicalmente ci piace di più interpretare ciò che sentiamo in lingua inglese ma non è sempre così, abbiamo in repertorio anche brani in italiano, sia cover che nostri e uno di questi sarà presente nell'album.

Come si vedono i The K.O.R fra dieci anni?
La forza di questo gruppo è quella di raggiungere le mete e porsene delle altre più ambiziose, nel 2003 sognavamo solo un palco mentre ora stiamo addirittura incidendo un disco ufficiale, quindi possiamo tranquillamente dire che se la magia continua, saremo sicuramente almeno un gradino più in alto, una meta ambita sarebbe conquistare l'estero.

Paolo Pavone

24 novembre 2011

La regina è morta, ma l’impero esiste ancora: il ricordo indelebile di Freddie Mercury a 20 anni dalla scomparsa

Era il 24 novembre 1991 quando si spense Farrokh Bulsara, conosciuto al mondo come Freddie Mercury, leader dei Queen, rockstar affermata e una delle più grandi voci di tutti i tempi. A vent’anni dalla morte lo ricordiamo calorosamente come tanti fan della “Regina” perché il suo personaggio è semplicemente un’icona incancellabile. Il vuoto lasciato dal frontman della band inglese è inevitabile, ma il suo carisma ha lasciato il segno: questo perché molte rockstar lo hanno emulato (per loro stessa ammissione) e, soprattutto, la gente oggi lo conosce quanto John Lennon, altra icona del Pop moderno.
Persona schiva e timida, Mercury sul palco si trasformava nell’entertainer perfetto per le platee e, dal punto di vista musicale, ha lasciato in eredità un vero e proprio impero di idee e di ricordi. I Queen dei giorni nostri (di cui sono rimasti solo Brian May e Roger Taylor) hanno ben poco da dire, ma basti pensare al successo del musical “We Will Rock You” per comprendere quanto le loro hit siano entrate dentro i cuori e le menti della gente. Canzoni come Bohemian Rhapsody, Somebody To Love, We Will Rock You, We Are The Champions e via dicendo non hanno solo scritto la storia del rock, ma hanno creato un proselitismo per cui ancora oggi è impossibile non considerare i Queen come un gruppo cult.
E il successo di massa lo devono specialmente alla loro voce: anima del gruppo, fornitore di idee (assieme a Brian May), frontman statuario. Mercury però non è il classico cantante Rock con venature shouter: la sua influenza tenorile-classica gli ha permesso di essere versatile il più possibile (ad esempio, pensate alla disco di Another One Bites The Dust e mettetela a confronto con la fase crooner anni ’50 della cover di The Great Pretender: due mondi distantissimi. E questa sua duttilità non può lasciare indifferente l’ascoltatore. Una voce pulita con un’estensione vocale spaventosa che ha unito le masse (ma non sempre la critica) che ancora oggi idolatrano l’artista nato a Stole Town, nello Zanzibar, 65 anni fa.
Uno stile, quello del frontman dei Queen, che ha trovato diversi eredi pronti a raccoglierne l’eredità. George Michael è quello con il tono di voce più simile, Justin Hawkins (leader dei Darkness) è l’imitatore maniacale di Mercury, Brandon Flowers (dei Killers) prende molti spunti dalle sue idee compositive e dalla sua tecnica tenorile. Quello che si avvicina di più a Freddie per quanto riguarda l’approccio sul palco è probabilmente Robbie Williams, che per sua stessa ammissione (la cover di We Will Rock You ne è la testimonianza) è cresciuto con le hit dei Queen. E – udite, udite – persino Serj Tankjan, l’uomo di spicco dei System Of A Down, ha dichiarato qualche anno fa di essere un appassionato della ‘Regina’ e di essere stato molto influenzato da Mercury.A vent’anni di distanza lo spirito di Freddie, la regina del Rock, è ancora vivo ed è destinato a non andarsene. “I still love you”: questo canta in These Are The Days Of Our Lives, il cui video ritrae il cantante dei Queen con un volto scavato, poco tempo prima che si spegnesse in quel tragico 24 novembre 1991. E noi lo amiamo ancora. Marco Pagliari

Kasabian live@Alcatraz - Milano 20 novembre 2011

Diciotto brani, novanta minuti di adrenalinico e potente set, una fila impressionante di singoli sparati uno dietro l’altro.
Quello che subito colpisce è l’inizio del concerto con cinque fortunatissimi singoli uno di seguito all’altro! Si capisce subito che i Kasabian sono in serata, la scena è tutta per Serge Pizzorno e Tom Meighan, si perché sono comunque loro la vera anima della band mentre gli altri sotto fanno suono (e che suono) si lanciano cenni di intesa si scambiano battute.Una grande band in grande forma e un grande pubblico che salta, balla, canta e non si ferma nemmeno un momento in piena sintonia con chi è sul palco.
Solo due momenti un po’ più delicati, “La Fee Verte” e Goodbye Kiss”, in mezzo a un mix micidiale tra elettronica, psichedelica e una Fast Fuse con tanto ci citazione “tarantiniana”.
Ma il meglio deve ancora venire perché dopo che LSF chiude la prima parte, c’è un encore strepitoso con una botta di elettronica che fa tremare lo stomaco e muovere la gambe.
Scorrendo quattro album i Kasabian hanno ormai una scaletta da fare invidia a chiunque e se “Velocirator!” non si è confermato come disco definitivo è sicuramente quello della svolta, perché siamo di fronte a una band che ha davvero fatto il salto di qualità. Daniele Bertozzi

Setlist: Days Are Forgotten, Shoot The Runner, Velociraptor!, Underdog, Where Did All The Love Go?, I.D., I Hear Voices, Take Aim, Club Foot, Re-wired, Empire, La Fée Verte, Fast Fuse, Pulp Fiction Theme, Goodbye Kiss, L.S.F. (Lost Souls Forever), Switchblade Smiles, Vlad The Impaler, Fire.

18 novembre 2011

Hurley: per i Weezer un album interlocutorio

Quasi un anno fa era uscito, senza molto clamore, l’ottavo album dei Weezer, intitolato Hurley. Sulla copertina, senza scritte e fronzoli vari, era raffigurato per l’appunto Hurley, un personaggio della serie televisiva Lost. L’uscita discografica era passata abbastanza inosservata, anche perché i Weezer erano appena passati dalla Geffen alla Epitaph, piccola etichetta che però ha dato ai quattro californiani la possibilità di comporre la musica che volevano, senza pressioni discografiche particolari.
L’album era uscito in quello che per i Weezer non era certo un momento di gran forma: Rivers Cuomo, il leader della band, era reduce da una lunga convalescenza per un grave incidente stradale, e il disco risulta malinconico e di basso profilo nonostante voglia sembrare un album festoso e ben prodotto. C’è però un altro recente evento, anch’esso tragico, che ha fatto nuovamente parlare dei Weezer e di Hurley. L’ex bassista della band, Mikey Welsh, a fine settembre, aveva scritto su Twitter di un sogno riguardante la sua morte a Chicago la settimana successiva per un attacco cardiaco. E purtroppo, per quanto folle e macabra possa sembrare questa storia, è esattamente ciò che è successo ad ottobre. L’inquietante evento ha quindi involontariamente fatto da traino per l’album uscito ormai da un anno. Un disco che già dalla copertina non si capisce in che direzione voglia andare.
Forse i Weezer vorrebbero solo tornare a quei bei tempi in cui facevano casino con i loro strumenti senza essere sfiorati dalle grandi tragedie della vita. Purtroppo, però, il quartetto californiano risulta parecchio fuori età per incarnare i valori alternativi di cui vorrebbe ancora essere portavoce. Lo si capisce già dall’iniziale Memories, che non è male, ha un buon ritmo, è ben prodotta, ha un po’ di elettronica che ricorda i Kasabian, però parla della nostalgia della band per il proprio passato. Anche nel secondo brano, Ruling me, ci sono richiami ai bei momenti che furono. Stavolta nel bellissimo ritornello, molto melodioso, che ricorda addirittura il primo album. Una delle tracce migliori dell’album, ancora fresca nonostante siano passati vent’anni dall’esordio. Bello anche il ritornello di Unspoken: è in momenti come questo che la band sembra ancora viva ed attuale.
Where’s my sex? è stato scritto appositamente per essere il brano di punta dell’album. Una canzone punk rock che gioca sui doppi sensi e ha come punto di forza una serie di cambi di tempo che ricordano Jesus of Suburbia dei Green Day e The Decline dei NOFX. Sullo stesso genere è abbastanza allegra e trascinante anche Smart girls.
Uno dei lati negativi dell’album è costituito da un paio di brani, come Run away e Hang on, situati a metà album, che non sanno bene che direzione prendere. Altri brani non pienamente convincenti sono Trainwrecks e Brave new world, classiche canzonette emo di ultima generazione (i Weezer forse non ricordano di essere stati considerati emo, tanti anni fa, quando questo non era ancora totalmente un insulto). Il disco chiude sugli stessi toni con cui era iniziato, cioè parlando di malinconia, stavolta con Time flies, un brano acustico, praticamente folk. Per quanto riguarda le bonus tracks, All my friends are insect non è male ed è un brano surf rock abbastanza originale, mentre I want to be something è una ballata acustica molto semplice; c’è poi un remix di Represent, allegra canzone che Cuomo aveva scritto per accompagnare la nazionale USA agli scorsi mondiali di calcio, ed una strana (nel senso di inaspettata e abbastanza inutile) cover di Viva la vida dei Coldplay.
In definitiva, Hurley non è né un buon lavoro né un cattivo lavoro. E’ un disco in cui molte scelte sono difficili da capire (partendo dalla copertina per arrivare all’accostamento di brani che non c’entrano molto tra di loro e per finire con la cover dei Coldplay che di senso ne ha veramente poco). E’ anche un album con forti richiami al passato, che in più di un occasione può indurre l’ascoltatore ad ascoltare tutta la discografia dei Weezer alla ricerca delle perle che il gruppo californiano aveva prodotto in passato. Non può considerarsi un ottimo album, invece, per chi dai Weezer cerca qualcosa di bello ed innovativo nel presente. Marco Maresca

16 novembre 2011

'La testa indipendente' quattro chiacchiere con le band del territorio: I Mauve

I Mauve nascono nel 2005 a Verbania dall’incontro tra la batterista Elda Belfanti e il cantante-chitarrista Carlo Tosi (la formazione al completo presenta una seconda chitarra curata da Alberto Corsi ed una parte ritmica affidata a Matteo Frova). Contraddistinti da un’anima ruvida e prettamente underground, i Mauve si muovono da subito alla ricerca di una dimensione sonora che possa risultare grintosa e slegata, uno step che si concretizza nel 2007 con l’uscita del loro primo full lenght Kitchen Love. Emergono subito aspetti profondamente indie rock contaminati da riverberi new wave con un’attitudine shoegaze che ne completa l’intelaiatura timbrica. Sospinti dagli ottimi riscontri i quattro musicisti piemontesi iniziano un’intensa attività live che li vede impegnati a solcare numerosi palcoscenici italiani. Nel 2010 si chiudono in studio per registrare il loro secondo disco, The Night All Crickets Died, pubblicato dalla giovane etichetta piemontese Face Like a Frog Records. Il nuovo lavoro presenta una maggiore disinvoltura che sposa perfettamente la tensione creativa che si respira nei suoni dei Mauve, un’energia che sa trascinare senza dare troppi strattoni. Cerchiamo di entrare maggiormente nel dettaglio incontrando la band.

La vostra formazione si rifà molto a realtà non proprio italiane, chi vi ha ispirato maggiormente?
ELDA: Una domanda scomoda per iniziare col piede giusto. Potrei citare la triade Mogwai-Giardini-Sonic Youth, ma come vedi qualcosa di italiano c'è. Triade a parte, le influenze per ognuno di noi sono molte e spesso molto diverse. Prendi il Frova che osanna Frusciante, Alberto ultimamente in fissa con i vecchi successi Red Hot, Carlo con i suoi mille gruppi sconosciuti ed io che vago nelle cose un po' più cattive senza dimenticare l'indie italico.
ALBERTO: Abbiamo sempre ascoltato anche gruppi italiani, anzi, forse inizialmente ci accostavamo maggiormente all’indie italiano anni novanta rispetto ad ora. Anche se ci sono ancora gruppi interessanti, non dobbiamo per forza cercarli oltremanica. O oltreoceano.

Nel vostro ultimo disco, nella parte testuale, si respira un’aria quasi fiabesca.
FROVA: Sì lo penso anch’io, specie nelle parti di Elda. Da piccolo niente mi terrorizzava più di Biancaneve!
ELDA: Non era nelle mie intenzioni...il testo crudo e senza giri di parole di Grasshopper mi rispecchia di più. I grilli che passano a miglior vita con il gelo dell'inverno, i pavoni che ghignano altezzosi ed i draghi che bevono il thè come signore eleganti sono tutta metafora, non fatevi ingannare.

Per una formazione giovane come la vostra quali sono le priorità?
ALBERTO: Suonare il più possibile ovviamente, cercando di farsi conoscere ma allo stesso tempo cercando di conoscere nuove realtà e nuovi gruppi, magari giovani come noi. Fare musica propria e produrla oggi, è sempre più difficile, ma resta sicuramente la nostra priorità.

Un tempo si facevano le tournèe per promuovere il disco, oggi per poterlo produrre. Penalizza le dinamiche di una band?
FROVA: l’autoproduzione è una realtà, l’autofinanziamento una conseguenza necessaria. Se questo penalizzi le dinamiche non lo so…forse per certi versi le valorizza, nel senso che la necessità di fare cassa ci fa suonare dappertutto! Naturalmente scherzo, suonare è una passione, per cui più date abbiamo e meglio è a prescindere da questioni economiche. In definitiva non so risponderti, dovrei pensarci.
ALBERTO: Non credo, o per promuovere, o per produrre un disco, in ogni caso suonare resta una necessità a cui non si può rinunciare.

I prossimi progetti dei Mauve?
FROVA: Un nuovo video, il secondo tratto dal nuovo disco. È ancora tutto in via di definizione, ma ci sono già ottime idee.
ELDA: Siamo già alle prese con nuovi pezzi. Abbiamo molto materiale con cui cimentarci.
ALBERTO: Il cammino di Santiago. Naturalmente suonando ogni sera in ostello.

Paolo Pavone

15 novembre 2011

Chissenefrega con chi sta Roberta!

Commento brevemente il concerto dei Verdena dell'11 novembre scorso al Leonkavallo di Milano.
Premessa, sono andato al concerto da solo perchè proprio avevo voglia di ascoltare un "lungo e noioso" , riporto le parole di altri naturalmente, loro concerto visto che ne ero in astinenza da tre mesi. Poi in apertura c'erano i Bancale che proprio non potevo perdere ... peccato per la ricerca del posteggio che mi ha fatto ritardare. Vabbè eccomi in coda.
Il pubblico del Leonkavallo non ha nulla di alternativo ed è mooolto uniformato in tutto, dall'abbigliamento (per gli uomini, ad esempio, sono molto in voga camicie a quadrettoni scozzesi di una particolare tipologia di azzurro, cuffie di lana un po' larghe di una particolare tonalità di verde - pazienza se al Leonkavallo si muore di caldo - grossi occhialoni da snob, rigorosamente neri...; per le donne c'è qualche possibilità in più nel vestiario, ma gli occhiali sono irrinunciabili) alle acconciature. Pace.
Gironzolo, come di consueto, e mi guardo in giro. Incontro anche gente conosciuta che mi invita a fermarmi con loro. Bene. Sono anche pressochè in prima fila.
Il concerto inizia. Ci sono decine di fotografi che non smettono mai di fare foto. Due ore di concerto, due ore di foto. Sul palco, sotto al palco, nascosti dietro gli amplificatori, accanto alla cassa della batteria. Perchè?
Il set è lungo e bellissimo. Purtroppo non c'è quasi nessun pezzo da "Il suicidio dei samurai", e nemmeno da "Solo un grande sasso", i miei dischi preferiti, ma ci sono delle chicche interessanti e golose come "Stenuo", ripescata da "Valvonauta ep" e molte altre.
Lo show purtroppo è rovinato dai commenti dei miei vicini di spazio, che non perdono occasione per esaminare una vasta gamma di cose: dall'abbigliamento dei quattro sul palco, fino ai gossip sulle frequentazioni amorose, lo stato di famiglia, il reddito, il numero di peli del naso dei poveri Verdena. E meno male che sul palco parlano poco, altrimenti chi so io scriverebbe pagine di esegesi di ogni parola. In particolare mi ha stupito - negativamente ovvio - l'informazione sui love affairs di Roberta di cui, a quanto pare, sono uno dei pochi preseti a non essere al corrente. Chissenefrega. Tolta la musica, che poi è il motivo per cui sono qui, sembrava di essere a un concerto dei Dari. Con tutto il rispetto per i Dari e senza voler metterla giù dura a tutti i costi.
Naturalmente non ho fatto foto nè video... lo hanno fatto molti altri. Quindi vi posto uno dei pezzi a mio avviso più riusciti della serata "Angie".
Per stasera è tutto. Il gatto sta bene e vi saluta. Cordialmente vostro.
Roberto Conti

14 novembre 2011

Cade il Governo Berlusconi? Fabrizio Coppola festeggia regalando una canzone...

Milano, 14 novembre 2001 - "Respirare lavorare, continuare a costruire, perdere e ricominciare, distruggere e ricostruire". Così cita il ritornello del brano di Fabrizio Coppola, che mai fu più legato all'attualità del paese come ora. Una canzone politica, adottata dal candidato Stefano Boeri per le amministrative milanesi dello scorso giugno, racconta della necessità di azzerare tutto per ripartire da zero. Ora che il Governo Berlusconi è caduto, Fabrizio Coppola desidera regalare questo brano dal proprio sito, per festeggiare con tutti quelli che hanno voglia di farlo, la possibilità di ripartire dopo 15 anni in cui le migliori intelligenze e i migliori talenti sono stati esclusi dalla vita pubblica del Paese. "Respirare lavorare è un’assunzione di responsabilità, una chiamata alle armi dell’intelligenza e dell’impegno. È per questo che sarei contento se anche altri artisti aderissero ad iniziative simili, perché è arrivato finalmente il momento di liberare tutte le energie del nostro paese". Cosi Fabrizio Coppola, che dal suo sito continua: "Oggi è un giorno importante. Siamo solo all’inizio, ma è bello poter pensare che si inizia a risalire. Per festeggiare la fine della fine insieme a voi, da oggi e per una settimana il mio nuovo singolo Respirare lavorare e il relativo video saranno in free download". "Respirare Lavorare" è in free download dal sito www.fabrizio-coppola.net fino a domenica 20 novembre. r.co.

I Wilco si mettono in proprio e continuano l'evoluzione musicale con The Whole Love

Ottavo album per i Wilco, band di Chicago con ormai quasi vent’anni di attitvità alle spalle. “The Whole Love”, che succede a due anni di distanza a “Wilco (The Album)” rappresenta un altro passo nell’evoluzione artistica nella carriera di Jeff Tweedy e soci, nonché il primo prodotto dalla propria etichetta, la dBpm.
Art of Almost è l’ipnotico pezzo che introduce il disco: un synth in loop precede l’alienata voce di Tweedy: il tutto prima che la mini-suite si chiuda in un rumorismi di chitarra e tastiere degne dei King Crimson più sperimentali. Una scelta tanto coraggiosa quanto lodevole. In I Might, Damned On Me e Standing O si sentono echi beat anni ’60 (vedi Kinks e primi Who), oltre che i Wilco vecchio stile. In Sunloathe la chitarra slide e il piano fanno da padrone in una lenta elegia. Non manca pure lo swing da club d’elite (Capitol City), oltre che gioielli acustici per fare respirare un album a 360°. Degli esempi? Black Moon, accompagnata da archi a mo’ di “White Album” dei Beatles, e la lunga e dolce One Sunday Morning, final track in cui c’è un evidente citazione nella musica e nelle liriche di “Sunday Morning” dei Velvet Underground.
Tutto questo in un lavoro molto tattico in cui il sound prima accelera, poi rallenta, come se fosse un lungo allenamento al parco in cui la band testa tutte le sue capacità. Nonostante sia sempre rimasto un gruppo di nicchia è incredibile come nei Wilco si possa intravedere un “trait d’union” tra il rock indie che fu (R.E.M.) e che è ora (gli Arcade Fire devono qualcosa anche a Tweedy e soci, basta sentire Born Alone per capire). Le diverse sfumature che si colgono nell’album sono l’ennesima conferma che i chicaghesi raramente sbagliano un colpo. Sicuramente “Yankee Hotel Foxtrot” resta una vetta irrangiungibile, ma “The Whole Love” non lascerà delusi sia i fan dei Wilco, sia nuovi ascoltatori alla ricerca di indie rock di ottima fattura.
Marco Pagliari

10 novembre 2011

Christian Frascella racconta "La sfuriata di Bet" e come è difficile essere scrittori a Torino (audiointervista)

Christian Frascella è intervenuto alla MelBookstore di Novara per presentare il suo ultimo romanzo La sfuriata di Bet (Einaudi) lo scorso 13 ottobre. Con il taglio ironico e sferzante che aveva contraddistinto il suo ottimo libro d’esordio, Mia sorella è una foca monaca, lo scrittore torinese percorre ancora una volta i temi dell’adolescenza, scegliendo di raccontare le gesta rabbiose di una teenager dalle idee un po’ confuse. A moderare il critico letterario Roberto Carnero. r.co.

(l'audio impiega alcuni secondi a caricarsi)





Alcune battute della presentazione:

Ho voluto dare un ritratto di una generazione di giovani con cui mi sono confrontato in prima persona

Ho lavorato in fabbrica facendo i turni, poi ho venduto assicurazioni al telefono, facevo il “temporeggiatore”. Ho fatto un po’ di tutto insomma. Quello che ho sempre voluto fare è scrivere

Se a Torino vuoi vivere di scrittura ma non sei uno che vende 100milioni di copie devi avere per forza a che fare con la scuola Holden. Mi hanno proposto un facile test di ingresso e poi parlai con uno dei direttori, Alessandro Baricco, che nel 1997 mi chiese 15 milioni (allora di lire). Mi hanno respinto come allievo, ma curiosamente quando ho pubblicato “Mia sorella è una foca monaca” mi hanno chiamato come docente per tenere un corso di scrittura creativa. Naturalmente ho rifiutato

Gli omini del rock di Fausto Gilberti (audiointervista)

Fausto Gilberti è stato ospite alla libreria MelBookstrore di Novara per presentare il libro Rockstars (Corraini edizioni). Intervistato dal giornalista Roberto Conti ne è venuta fuori un'interessante chiacchierata che ha ripercorso la genesi del libro: Gilberti ha rappresentato tutti i musicisti che appartengono alla storia del rock, dagli Anni 50 ad oggi, da lui più apprezzati ed amati.

(l'audio impiega alcuni secondi a caricarsi)



Qualche citazione dall'incontro:

Bruce Springsteen è rimasto fuori dalla raccolta perchè proprio non mi piaceva

In Italia non ci sono vere rock star. Vasco Rossi, ne è un esempio: oltre Chiasso non lo conosce nessuno

Da quando mi hanno rubato l'I-pod ho recuperato un giradischi e ho ricominciato ad ascoltare musica dai vinili

Se avessi dovuto includere nella raccolta altre band italiane avrei inserito la PFM

Ho realizzato altri libri, tra questi Mr Dildo, un volume di illustrazioni pornografiche in cui i testi sono stati tratti da siti porno e completati con miei disegni

Ho realizzato la copertina del disco dei Bancale. Me lo hanno chiesto loro: li ho ascoltati e mi sono sembrati un gruppo interessante e nuovo

7 novembre 2011

'Ascolti emergenti' di novembre

Fraulein Rottenmeier - Elettronica maccheronica **
I Fraulein Rottenmeier sono Giorgio Laini alla voce, Mauro Comelli al basso e Franco Bruna alla batteria, programmazione beat e synth. L’album si intitola Elettronica maccheronica ed effettivamente è un divertente misto tra dance, pop e punk. I testi sono rigorosamente in italiano, ho trovato qualche spunto interessante di pop e dance alla Depeche Mode anche se non mi hanno convinto in tutti i brani. Sul palco si presentano vestiti da pagliacci decadenti e metropolitani, così come sulla copertina del disco, portando in scena uno spettacolo coinvolgente e teatrale per cui mi piacerebbe appunto vederli dal vivo. Tra i brani che mi sono piaciuti di più ci sono Dancefloor e La conoscenza. Marco Colombo


Luca Lastilla - A casa da te **/
Luca Lastilla è un cantautore e ci presenta questo A casa da te, album composto da 12 pezzi, distribuito da Warner Bros Italy. Il disco è ben suonato ed arrangiato, e si sente; il genere è un pop molto commerciale ed orecchiabile con le classiche sonorità italiane degli ultimi anni. A casa da te non è altro che la versione in italiano del brano Home di Michael Bublè e che lo stesso Lastilla ha così commentato: “Ci sono tanti motivi per cui un cantante decide di interpretare un brano creato da altri... ma penso che il motivo principale sia comunque l'emozione che quel determinato brano riesce a suscitare nelle corde dell'anima di un artista”. Evviva la fantasia! Brani sicuramente radiofonici anche se di Lastilla non abbiamo sentito parlare molto ultimamente. Forse proprio perché le canzoni pur essendo molto orecchiabili mancano di quell’originalità che potrebbe fare la differenza. Tra i miei brani preferiti Briciole sulla pelle e Tutto inutile, le più convincenti a mio modesto parere. Marco Colombo


Underdose - A Mara dolce **
Gli Underdose sono Sergio Guida alla voce, Roberto Premazzi al basso, Fabio Zago alla batteria, Andrea Cribioli alla chitarra, Paolo Bottini alle tastire. Nascono nel 2009 e incidono questo primo disco che suona un po’ crossover un po’ rock e a volte con qualche puntatina a un pop commerciale senza mai convincermi. Eppure gli Underdose sono stati uno dei 21 gruppi semifinalisti del tour Music Fest 2010 con i brani Edera e Polvere. Tra i pezzi che mi sono piaciuti di più spiccano Neve su marte, molto radiofonica e Sara. m.c.

Sperimentare nel pop di massa? Ci provano i Coldplay

Mylo Xyloto? C’è qualcosa di fresco in quel titolo, che non ha nessun significato recondito. Siamo una band con parecchia storia alle spalle e penso che sia bello aver pensato a un nome che invece non ha nessuna storia. Abbiamo avuto quel titolo scritto su una lavagna per circa due anni. Altri erano più significativi, ma a noi piaceva questo, è tutto ciò che possiamo dire per difenderlo”. Queste le parole del leader del Coldplay, Chris Martin, rilasciate al tabloid inglese ‘The Sun’, che così spiega la scelta del titolo del quinto album in studio della band londinese.
Mylo Xyloto succede a Viva la vida, del 2008, rinnovando ancora la collaborazione con Brian Eno: un aspetto che li riconduce sempre più agli U2, di cui si sentono echi ricorrenti in tutti i dischi da A Rush of Blood ad oggi. Un synth apre la title-track (idea tratta da Where the streets no name? Chissà), poi via con lo speed-pop di Hurts like Heaven. Subito dopo ecco il singolo Paradise, uno dei brani più intensi del disco: apre un’orchestra epica che intona una melodia celtica, poi ecco la voce baritonale di Martin accompagnante piano e batteria ("Quando era solo una ragazza / si aspettava che il mondo / ma volò via dalla sua portata / e corse nel suo sonno / sognando il paradiso”) che precede il ritornello corale perfetto per le elegia da stadio. La naturale evoluzione di The Scientist, a livello globale.
Charlie Brown è un brano con un testo tanto beffardo (“Tutti i ragazzi / tutte le ragazze / tutto ciò che conta nel mondo / Tutti i ragazzi, tutte le ragazze / Tutta la follia che si manifesta / Tutti gli alti, tutti i bassi / Come la stanza gira, oh / Correremo selvaggi / Noi cresceremo nel buio”) che però ben si sposa al rock epico sincopato in cui la chitarra delay di Buckland (sempre più The Edge) fa da padrone in un fitto accompagnamento strumentistico (batteria, basso, piano e glockenspiel). I momenti di respiro Us against the world e U.F.O. fanno da cornice all’altro singolo Every tear is a waterfall (in cui la melodia celtica del ritornello aumenta il pathos di un’altra canzone fatta per essere intonata dalle masse) e a Major minus (il brano più aggressivo dell’album, in cui si sentono addirittura richiami al grunge e al funk).
Glissiamo su Princess of China, commercialata che fa perdere punti a un Mylo Xyloto fin lì impeccabile: il duetto con Rihanna si sposa con un testo tanto favolistico quanto banalotto. Una canzone perfetta per diventare un tormentone. Il blues di Up in flames è il preludio all’ennesimo spunto epico-romantico dell’album: Don’t let it break your heart è il manifesto di quello che i Coldpay sono oggi, sia nella musica (piano, chitarra e synth che giocano di intensità), sia nel testo (“Quando sei stanca di puntare le tue frecce/ ancora non hai mai colpito nel segno / e anche se i tuoi obiettivi sono ombre / ancora non se ne stanno andando via / andiamo, baby / Non lasciare che ti spezzi il tuo cuore”). Chiude Up with the birds, dove piano, synth e mellotron aprono alla marcia con cui Martin & co. salutano tutti con un sorriso (“Un semplice piano, ma so che un giorno / le cose belle ci verranno incontro”).Mylo Xyloto è un album ben riuscito, in cui i Coldplay hanno raggiunto la piena consapevolezza di essere una band di primo livello. Questa consapevolezza comporta due rischi: la sperimentazione, che troviamo negli intro di synth tra un pezzo e l’altro, è indubbiamente apprezzabile; meno il voler insistere allo sfinimento sulla via melodica e commerciale che li ha portati a vendere oltre 50 milioni di copie con i loro dischi (Princess of China e Every tear is a waterfall ne sono l’esempio). Non sappiamo se Mylo Xyloto è il Joshua Tree dei Coldplay, ma di certo è un segno di grande maturità acquisita nel tempo. Marco Pagliari