31 maggio 2012
Gianluca De Rubertis, un esordio solista per gli amanti dell'estetica
Autoritratti con oggetti è il
primo album solista di Gianluca De Rubertis, musicista già ben conosciuto
soprattutto per la sua appartenenza al duo Il genio. L’album è uscito a fine
marzo per l’etichetta Niegazowana ed è distribuito da Venus. De Rubertis, nelle
sue esperienze precedenti con Il genio e ancora prima con gli Studiodavoli,
aveva già dato prova di ricercatezza nella sua proposta musicale, finora
coperta però da un lato eccentrico e modaiolo. Nell’album solista, il leccese
si è mostrato invece senza filtri, e senza paura di mettersi in mostra con un
album decisamente particolare. Il singolo Mariangela
preannuncia un pop cantautorale e melodico d’altri tempi, che richiama Julio
Iglesias e gli anni ’70, e non è un fuoco di paglia, poiché tutto l’album si
mantiene su quello stile. Uno stile che ad alcuni può piacere ma che corre
spesso il rischio di non piacere, anche per la presunzione, che spesso sfocia
in un pizzico di arroganza, che pervade tutto il disco a partire dalla
copertina. De Rubertis appare circondato da donne bellissime ed eleganti, su
sfondo nero, in un’istrionica posa che già preannuncia un album che si gioca
tutto sulla sensualità e sull’ostentazione di sé. Un album dal tocco
sapientemente vintage, romantico e romanzato. Lo stile musicale è quello della
chanson, della melodia, del cantautorato, del pop d’autore, con testi ricercati
ed un sapiente uso delle parole, declamate con voce profonda ed ispirata. Tornano
alla mente nientemeno che Charles Aznavour (Rimanere
male, La prima vera parola, Mazurka) e Fabrizio De André (Il valzer della sera, Parlorama, Io addio), il rock romantico ed internazionale dei Pulp di Jarvis
Cocker, a cui De Rubertis somiglia vocalmente ed anche fisicamente (La città e soprattutto Lilì, uno dei migliori brani dell’album),
Fred Buscaglione (Signorina e Hotel da fine, canzone nella quale la
voce di De Rubertis si fa ancora più profonda e cavernosa per sostenere
l’atmosfera noir). Ci sono poi momenti intimi di voce e pianoforte, in Amore colbacco, e in Singolare donna c’è spazio poi per un
duetto con Lucia Manca. Le sonorità dell’album sono sempre estremamente
raffinate e ci troviamo davanti ad un lavoro ottimamente prodotto. La lista dei
musicisti ospiti, poi, è lunghissima, basti citare Roberto Dell’Era e Rodrigo
D’Erasmo degli Afterhours, Enrico Gabrielli dei Mariposa e Calibro 35, Lorenzo
Corti delle Luci della centrale elettrica. Ci troviamo davanti ad un album che,
seppur non originale di per sé e spesso presuntuoso, risulta sorprendente per
lo stile musicale intrapreso, per la bravura nella scrittura dei testi, e per
l’estrema cura ed attenzione per i suoni e la produzione. Un album che a molti
non piacerà ma che gli amanti dell’estetica musicale sapranno apprezzare. Marco Maresca
23 maggio 2012
Il Triangolo e la moda dei sixty: un'accoppiata folgorante
Se è vero che tutto torna, gli Anni Sessanta sono stati degnamente rispolverati e reinterpretati da Il Triangolo, sorprendente band made in Luino, acchiappata da Ghost record.
Hanno un innato pregio: ascoltarli non può lasciare indifferenti, questo capita soprattutto dal vivo - cosa che mi è successa per caso qualche giorno fa a Gavirate - ma anche nel sorprendente esordio discografico, Tutte le canzoni.
Sul palco sono fantastici, hanno un'invidiabile attitudine punk e un look che abbina uno stile seventies ad una (mi auguro per loro) minuziosamente costruita immagine da nerd. Il trio è composto da Marco Ulcigrai, voce e chitarra, Thomas Paganini al basso e Mauro Campoleoni alla batteria: propongono una miscela che partendo dalle sonorità tipiche degli Anni Sessanta affronta temi attualissimi anche ai giorni nostri come la giovinezza (Giurami), l'amore (La primavera), lo sfruttamento della prostituzione (Le forbici).
Un altro dei pregi principali è quello di riuscire a raccontare storie, anche impegnative, con grande facilità e leggerezza: il segreto, ancora una volta, è costituito dalla forma-canzone, utilizzata come una sorta di melodramma. I riferimenti possono essere molteplici: dal migliore Adriano Celentano, ad uno scanzonato Morandi, fino all'Equipe 84, a Le Orme o ancora a un citatissimo Battisti, protagonista anche di una delle hit del disco dove è impossibile non battere le mani: "Tutti cantano Battisti/ tutti comprano i suoi dischi/ fammi fare quelle cose/ siamo a letto fra le rose"...
Canzoni ritmate, ritornelli che si appiccicano al primo colpo, una voce volutamente "trattenuta" e impostata che ha il pregio della riconoscibilità, una base ritmica effervescente e dal retrogusto punk. Un esordio folgorante e ben costruito, un omaggio agli Anni Sessanta riletti davvero con buon gusto. La ricetta ha quindi tutti gli ingredienti per funzionare e per trasformarsi in "moda" dal corposo seguito. Roberto Conti
Hanno un innato pregio: ascoltarli non può lasciare indifferenti, questo capita soprattutto dal vivo - cosa che mi è successa per caso qualche giorno fa a Gavirate - ma anche nel sorprendente esordio discografico, Tutte le canzoni.
Sul palco sono fantastici, hanno un'invidiabile attitudine punk e un look che abbina uno stile seventies ad una (mi auguro per loro) minuziosamente costruita immagine da nerd. Il trio è composto da Marco Ulcigrai, voce e chitarra, Thomas Paganini al basso e Mauro Campoleoni alla batteria: propongono una miscela che partendo dalle sonorità tipiche degli Anni Sessanta affronta temi attualissimi anche ai giorni nostri come la giovinezza (Giurami), l'amore (La primavera), lo sfruttamento della prostituzione (Le forbici).
Un altro dei pregi principali è quello di riuscire a raccontare storie, anche impegnative, con grande facilità e leggerezza: il segreto, ancora una volta, è costituito dalla forma-canzone, utilizzata come una sorta di melodramma. I riferimenti possono essere molteplici: dal migliore Adriano Celentano, ad uno scanzonato Morandi, fino all'Equipe 84, a Le Orme o ancora a un citatissimo Battisti, protagonista anche di una delle hit del disco dove è impossibile non battere le mani: "Tutti cantano Battisti/ tutti comprano i suoi dischi/ fammi fare quelle cose/ siamo a letto fra le rose"...
Canzoni ritmate, ritornelli che si appiccicano al primo colpo, una voce volutamente "trattenuta" e impostata che ha il pregio della riconoscibilità, una base ritmica effervescente e dal retrogusto punk. Un esordio folgorante e ben costruito, un omaggio agli Anni Sessanta riletti davvero con buon gusto. La ricetta ha quindi tutti gli ingredienti per funzionare e per trasformarsi in "moda" dal corposo seguito. Roberto Conti
22 maggio 2012
Dalla giacca alla T-shirt: ecco i nuovi Amor Fou
Gli Amor Fou spiazzano pubblico e critica con un disco elettronico e danzereccio, che abbandona l'immagine dandy e decadente che si erano mirabilmente costruiti con i due album precedenti, La stagione del cannibale e I Moralisti.
Un suicidio per una band che era riuscita meglio di altre a creare un ben determinato tipo di fascinazione? No, anzi. All'insegna del "cambiare è bello", Raina e soci decidono di raccontare storie molto differenti: ci sono le abitudini libertine dei figli degli immigrati iraniani a Berlino, echi della primavera araba, ma anche i figli dei precari di Milano o episodi di vita quotidiana come quello descritto ne I volantini di Scientology instancabilmente distribuiti in via Torino, in una Milanno che nel disco ricorre ben più frequentemente di quanto appaia.
Nei testi c'è molto sesso, parecchio desiderio di libertà, ma anche tanta attualità con episodi di cronaca o costume come i manifesti gay-friendly dell'Ikea che lo scaltro Alessandro Raina non dimentica di inserire qua e là rimandando ad uno spaccato molto attuale anche del nostro Paese.
Le canzoni sono immediate e hanno un respiro ampio: probabilmente risentono più che in passato delle esperienze e dei viaggi del frontman che in questo disco manda un messaggio positivo, di voglia di vivere, accantonando i malinconici ripiegamenti mitocondriali e le citazioni de I Moralisti o i periodi angosciantemente ipotetici (peccato, mi piacevano molto) della Stagione del cannibale.
Infondo - come la stessa band ammette - per fare un disco ci vuole un suono e anche se questa volta gli Amor Fou hanno scelto un'elettronica un po' paracula, le canzoni restano di ottima bellezza formale: semplicemente il baricentro si è spostato dal testo al ritmo, lasciando inalterato il risultato e la forza comunicativa complessiva. Per l'ascolto, iniziate pure dal singolo Ali, un ottimo punto di partenza...
Il disco (uscito per Universal) è impreziosito da due collaborazioni: Alessandro Baronciani degli Altro, voce in Radiante e Davide Autelitano dei Ministri voce (poco udibile) in La Primavera araba.
Due parole sono d'obbligo anche sul lancio, affidato ad un collettivo, Sterven Jonger, che ha scelto di promuovere il disco già prima della sua uscita con una serie di gif animate: basta un'idea semplice per far presa nello sconquassato sistema dei media che si occupano di musica. Bravi!
Roberto Conti
Un suicidio per una band che era riuscita meglio di altre a creare un ben determinato tipo di fascinazione? No, anzi. All'insegna del "cambiare è bello", Raina e soci decidono di raccontare storie molto differenti: ci sono le abitudini libertine dei figli degli immigrati iraniani a Berlino, echi della primavera araba, ma anche i figli dei precari di Milano o episodi di vita quotidiana come quello descritto ne I volantini di Scientology instancabilmente distribuiti in via Torino, in una Milanno che nel disco ricorre ben più frequentemente di quanto appaia.
Nei testi c'è molto sesso, parecchio desiderio di libertà, ma anche tanta attualità con episodi di cronaca o costume come i manifesti gay-friendly dell'Ikea che lo scaltro Alessandro Raina non dimentica di inserire qua e là rimandando ad uno spaccato molto attuale anche del nostro Paese.
Le canzoni sono immediate e hanno un respiro ampio: probabilmente risentono più che in passato delle esperienze e dei viaggi del frontman che in questo disco manda un messaggio positivo, di voglia di vivere, accantonando i malinconici ripiegamenti mitocondriali e le citazioni de I Moralisti o i periodi angosciantemente ipotetici (peccato, mi piacevano molto) della Stagione del cannibale.
Infondo - come la stessa band ammette - per fare un disco ci vuole un suono e anche se questa volta gli Amor Fou hanno scelto un'elettronica un po' paracula, le canzoni restano di ottima bellezza formale: semplicemente il baricentro si è spostato dal testo al ritmo, lasciando inalterato il risultato e la forza comunicativa complessiva. Per l'ascolto, iniziate pure dal singolo Ali, un ottimo punto di partenza...
Il disco (uscito per Universal) è impreziosito da due collaborazioni: Alessandro Baronciani degli Altro, voce in Radiante e Davide Autelitano dei Ministri voce (poco udibile) in La Primavera araba.
Due parole sono d'obbligo anche sul lancio, affidato ad un collettivo, Sterven Jonger, che ha scelto di promuovere il disco già prima della sua uscita con una serie di gif animate: basta un'idea semplice per far presa nello sconquassato sistema dei media che si occupano di musica. Bravi!
Se Cento giorni da oggi tra qualche mese venisse ripubblicato con un arrangiamento "classico" alla "Amor Fou" sarebbe un colpo da maestro, anche alle macerie del giornalismo musicale oltre che nei confronti di chi ha accusato la band di aver "raschiato il fondo del barile" rincorrendo sonorità all'ultima moda. Ma questo, forse, è un desiderio solo di chi scrive. Per ora, a chi legge questa recensione, posso limitarmi a consigliare di acquistare un disco bello e piacevole.
Roberto Conti
19 maggio 2012
Herself fa resuscitare Nick Drake per guardare la luna insieme
Herself festeggia dieci anni di carriera con un nuovo disco, che segna a suo modo una svolta nella carriere di Gioele Valenti, azionista di maggioranza del progetto che dalla Sicilia in questi anni ha guardato molto anche oltre confine. Nello scorso mese di aprile ha infatti visto l'uscita il quarto album, Herself, per DeAmbula Records, lavoro maggiormente band-oriented rispetto ai precedenti, con un suono caratterizzato dalla presenza di Amaury Cambuzat, leader degli Ulan Bator, che oltre ad aver suonato sul disco, ne ha curato anche il mastering. Herself con questo album riesce con eleganza e discrezione a fondere momenti tipicamente folk-Lo Fi ad episodi sognanti che non fanno rimpiangere i migliori Mercury Rev o gli Yuppie Flu più delicati e ispirati.
Gioele sembra aver colto tutto il meglio dai tanti ascolti maturati in anni di ricerca ed evidente piacere nel portare avanti un suono che non porta riscontri immediati. Sento echi di Egle Sommacal e del suo amato fingerpicking proposto copiosamente nei dischi solisti come nel bel Legno, ma anche una punta di psichedelica malinconia tipica dei live-set di Moltheni di Splendore terrore. Le esperienze sono davvero tante, ma nessuna prevale la personalità di Herself che in questo disco è emersa in tutta la sua delicata virulenza.
E così Nick Drake sembra resuscitare e migrare dalla Gran Bretagna ad un'altra isola, la Sicilia, dove fare musica non è facile, ma proprio per questo chi riesce ad arrivare a noi poveri ascoltatori del nord ha probabilmente fatto una gavetta solida e non è il solito raccomandato milanese o il paraculato di RockIt di turno... Complimenti a Gioele e complimenti alla DeAmbula, questo è un disco da 10 e lode! Uno dei migliori del 2012.
Roberto Conti
15 maggio 2012
'La testa indipendente' - Quattro chiacchiere con le band del territorio: Artemista
Gli
Artemista nascono a Novara nel 2002. Da allora la formazione piemontese ha
cercato di sigillare il proprio sound, sperimentando diverse contaminazioni fra
cui il rock, il pop e dolci venature elettroniche. Nel 2005 esce il loro primo
EP, “Aria” al quale fa seguito, quattro anni più tardi, “Decriptazinoe 36%” dal
quale viene estratto il singolo “Come Oro Nelle Mani”, brano che si
aggiudicherà il Nokia Trends Lab. La grande attività live degli Artemista trova
l’apogeo all’ Heineken Jammin Festival, nel luglio del 2010. Un anno più tardi
si ritrovano in studio per registrare il loro primo full lenght, “Vivere
Immobile”, un componimento che offre quattordici brani inediti di rock cangiante
e orecchiabile. Scopriamo più da vicino gli Artemista.
Come prendono vita gli
Artemista?
Nasciamo
ormai quasi 10 anni fa e subito indirizziamo i nostri sforzi nella creazione di
pezzi nostri in italiano. Poi nel corso degli anni ci siamo evoluti, sia nella
line up che nel genere, fino ad arrivare alla forma attuale.
Il vostro sound offre
molte sfaccettature, da cosa siete influenzati maggiormente?
I
nostri ascolti sono molto eterogenei, e questo è forse la causa della nostra
scrittura. Ascoltiamo dal jazz al crossover americano, passando per la musica
elettronica e senza dimenticare i grandi classici che hanno fatto la storia
della musica.
Raccontateci
dell’esperienza del video del primo singolo “Fanstama”.
È
stato molto stimolante, ci siamo relazionati con un team giovane e molto
creativo (iVisionaria –Franz Collinelli e Morgan Silvestri-) e con una casa di
produzione (Monkey Factory) piccola ma molto valida. Abbiamo lavorato al
concept del video tutti insieme ed è stato molto bello vedere come piano piano
prendeva vita l’idea. Siamo stati molto soddisfatti del risultato e il buon
riscontro che abbiamo avuto sul web è stata la conferma che abbiamo lavorato
tutti bene.
Avete suonato sul
prestigioso palco dell’ Heineken Jammin Festival. Ce ne parlate?
Beh,
certamente per noi è stata un’esperienza fantastica. È stato bello perché
abbiamo assaggiato il professionismo, siamo stati trattati ottimamente (e non
ringrazieremo mai abbastanza lo staff) e abbiamo potuto vedere da vicino come
funziona un grosso festival. È stata una bellissima possibilità di crescita ed
un notevole stimolo a migliorarci.
A febbraio del 2012 è
uscito il vostro primo album, Vivere Immobile. Ce lo descrivete?
Per
noi è molto importante perché è il nostro primo disco full lenght. Siamo molto
orgogliosi del fatto che sia completamente autoprodotto e nel processo creativo
abbiamo potuto rivestire tutti i ruoli: dalla produzione artistica alla
grafica. Rispetto al passato abbiamo dedicato maggiore attenzione ai testi
cercando un filo conduttore: uno sguardo
sulla situazione sociale e sul comune sentire del nostro tempo nel nostro
paese.
Prossimi progetti degli
Artemista?
La
nostra priorità in questo momento è quella di portare la nostra musica in giro,
far sentire il nostro disco e raggiungere le persone. Purtroppo non è un
momento d’oro per suonare nei locali: ci sono molte band e pochi spazi, la
gente sta un po’ perdendo il gusto di andare a sentire della musica live. Paolo Pavone
3 maggio 2012
I Manics a Zurigo per la penultima data del tour europeo... aspettando una data in Italia (14 anni dopo)
Poco tempo dopo il maestoso concerto alla O2 Arena di Londra e l'annuncio che i Manic Street Preachers non avrebbero suonato nel Regno Unito per almeno due anni, eccoli partire per un tour europeo che li ha portati in Germania, Olanda, Spagna, Danimarca, Austria, Repubblica Ceca e Svizzera.
Scommetto che qualsiasi fan o sostenitore della band residente in Italia abbia imprecato per l'ennesima volta all'annuncio delle tour dates: il nostro paese viene infatti accuratamente evitato da 14 anni...
Perciò, ancora una volta, facciamo i bagagli e partiamo alla volta di Zurigo per assistere alla penultima data del tour, quella che si tiene all'X-Tra. Da subito colpisce la quantità di italiani presenti, non solo dal vicino Nord Italia ma anche dalla Sardegna, Abruzzo, Sicilia. Le prime file del concerto sono costituite praticamente da italiani che ormai da anni viaggiano per assistere ad un concerto del trio, quasi tutti facenti parte della Community Italiana: http://manicstreetpreachersitalia.blogspot.it/
Scommetto che qualsiasi fan o sostenitore della band residente in Italia abbia imprecato per l'ennesima volta all'annuncio delle tour dates: il nostro paese viene infatti accuratamente evitato da 14 anni...
Perciò, ancora una volta, facciamo i bagagli e partiamo alla volta di Zurigo per assistere alla penultima data del tour, quella che si tiene all'X-Tra. Da subito colpisce la quantità di italiani presenti, non solo dal vicino Nord Italia ma anche dalla Sardegna, Abruzzo, Sicilia. Le prime file del concerto sono costituite praticamente da italiani che ormai da anni viaggiano per assistere ad un concerto del trio, quasi tutti facenti parte della Community Italiana: http://manicstreetpreachersitalia.blogspot.it/
Questo è il tour di National Treasures, doppio album che raccoglie i singoli della band dagli esordi fino al recente Postcards from a young man, perciò le 23 canzoni in scaletta non possono deludere nessuno.
Ad aprire il concerto un classico del gruppo, il singolo uscito nel 1992 Motorcyle Emptiness, subito seguito dal recente Your Love Alone is not Enough, estratto dall'ultimo album e dalle sonorità più pop.
Tra i picchi emotivi della serata c'è sicuramente la meravigliosa The Everlasting, eseguita senza sbavature dal cantante James Dean Bradfield, capace di passare senza difficoltà da pezzi delicati ad altri più punk come Slash and Burn o Stay Beautiful.
Little Baby Nothing e There by the Grace of God invece, risentono positivamente del migliorato arrangiamento senza l'intervento delle tastiere. La formazione live per il tour europeo comprende infatti, oltre ai tre Manics, soltanto il secondo chitarrista Wayne Murray.
A chiudere, il singolo che nel 1998 li ha consacrati anche al pubblico italiano: If You Tolerate This Your Children Will Be Next.
Anche questa volta riesco a scambiare qualche parola con Nicky Wire, e dopo il concerto qualcuno gli fa notare che una data a Milano sarebbe l'ideale, vista la gran quantità di italiani presenti. Un paio di giorni dopo sul twitter del gruppo www.twitter.com/ManicsPostcards appaiono messaggi che lasciano presagire l'intenzione della band di fissare delle date per l'anno prossimo “How about—rotterdam-milan-madrid-geneva-xx”.
Che i Manic Street Preachers questa volta ci vogliano premiare per la nostra fedeltà?
Ad aprire il concerto un classico del gruppo, il singolo uscito nel 1992 Motorcyle Emptiness, subito seguito dal recente Your Love Alone is not Enough, estratto dall'ultimo album e dalle sonorità più pop.
Tra i picchi emotivi della serata c'è sicuramente la meravigliosa The Everlasting, eseguita senza sbavature dal cantante James Dean Bradfield, capace di passare senza difficoltà da pezzi delicati ad altri più punk come Slash and Burn o Stay Beautiful.
Little Baby Nothing e There by the Grace of God invece, risentono positivamente del migliorato arrangiamento senza l'intervento delle tastiere. La formazione live per il tour europeo comprende infatti, oltre ai tre Manics, soltanto il secondo chitarrista Wayne Murray.
A chiudere, il singolo che nel 1998 li ha consacrati anche al pubblico italiano: If You Tolerate This Your Children Will Be Next.
Anche questa volta riesco a scambiare qualche parola con Nicky Wire, e dopo il concerto qualcuno gli fa notare che una data a Milano sarebbe l'ideale, vista la gran quantità di italiani presenti. Un paio di giorni dopo sul twitter del gruppo www.twitter.com/ManicsPostcards appaiono messaggi che lasciano presagire l'intenzione della band di fissare delle date per l'anno prossimo “How about—rotterdam-milan-madrid-geneva-xx”.
Che i Manic Street Preachers questa volta ci vogliano premiare per la nostra fedeltà?
Recensione e foto di Diana Debord
altre foto su www.debored.it
2 maggio 2012
Band novaresi, le audio-interviste dei quattro giorni al Lebowski
PRIMA SERATA Quasi mille persone hanno assistito alla quattro giorni del
“Festival delle band novaresi”, l’evento organizzato dal 27 al 30 aprile dal
circolo Big Lebowski di Novara. Proponiamo le audiointerviste (si caricano dopo alcuni secondi) a tutti i gruppi e un report fotografico realizzato grazie alla collaborazione di Claudio Asile.
Le quattro serate, tutte con inizio alle
ore 21, hanno affrontato generi musicali differenti: venerdì si è fatto
particolarmente apprezzare il cantautorato di Fabrizio Coppola che ha proposto
con chitarra e voce i brani del suo fortunato album Waterloo, un disco di
impegno politico e sociale particolarmente apprezzato da critica e pubblico che
ha confermato Coppola come una delle voci più stimate del nuovo cantautorato
italiano. Anche gli Artemista hanno presentato per la prima volta in città le
canzoni del nuovo disco Vivere immobile. Prima di loro due progetti
solisti, come quello di Brian Finatti, in arte Morning Courier, e quello di Federico Vergagni, aka Howling Wood Project.
SECONDA SERATA - Sabato spazio al rock più duro con il noise degli Eva’s
Milk, headliner della serata, il pop-rock dei Suite Solaire che arricchiscono
alcune delle loro canzoni da un piacevole flauto traverso e la rivelazione
della serata: i bravissimi Rumor, da Borgomanero, hanno vent’anni ma
un’attitudine e un’esperienza invidiabili. In apertura di serata il grindcore
degli Eronel a loro volta
giovanissimi e alla prima data con questa formazione.
TERZA SERATA - Domenica, per la terza serata, hanno suonato gli Psichedalia.
Dopo di loro il cantautore Ignazio Manzari accompagnato dai “Cocci suoi” e Le
Cose di Cenere. Gran finale con ospiti gli In
Vino Veritas, altra apprezzata band milanese.
QUARTA SERATA - Lunedì gran finale con un mix di generi molto diversi: prima è
toccato al cantautorato dei promettenti Martìn, poi al punk dei Birra2O per
arrivare al rock dei Porno Varsavia (ex Carpet Beaters) con un’anteprima del cd
nel cassetto. In chiusura Il Duello e le loro sonorità che spaziano
1 maggio 2012
Il ritorno del Pan del diavolo con Piombo, polvere e carbone
Piombo, polvere e carbone è il secondo
disco del duo siciliano Il pan del diavolo. Il disco,
pubblicato come il precedente dalla Tempesta e distribuito da Venus, è un
viaggio potentissimo imbevuto di onirismo e maledizioni, psichedelia e rhythm
and blues in cui l'ascoltatore non subisce passivamente un racconto ma
costruisce la propria storia attraverso l'associazione mentale. Un progressivo
distacco dai sensi e dalla ragione per raggiungere
la perdita dell'io nell'immaginazione e nell'irrazionale. Ed è fondamentalmente
un album folk elettroacustico, in cui Pietro Alessandro Alosi canta e suona
chitarra e grancassa e Gianluca Bartolo suona la chitarra a dodici corde. Per
realizzare questo disco Il pan del diavolo ha lavorato con Antonio Gramentieri
e Diego Sapignoli (Sacricuori, Hugo Race, Marc Ribot). Hanno inoltre
collaborato: Nicola Manzan per gli archi di Fermare
il tempo, Massimiliano UFO Schiavelli al basso rezophonico di Libero, Davide Barbatosta per i fiati in
reverse di La differenza fra essere
svegli e dormire e Luca Macaluso per l'armonica in Dolce far niente.
Si
inizia con Elettrica, che lancia
prepotentemente l’ascoltatore in una spirale sognante. Il duo siciliano non
rinuncia al confronto con le altre realtà folkeggianti che si stanno
sviluppando in Italia in questo periodo: è riconoscibile infatti l’influenza di
Brunori nel secondo brano, Scimmia
urlatore. Potente ed evocativo il folk dei brani seguenti, Donna dell’Italia e La velocità. Piombo, polvere
e carbone, il brano che dà il titolo all’album, è tra tutte la canzone più
urlata ed infuocata. Un altro richiamo a Brunori (e di conseguenza anche a Rino
Gaetano) lo si trova in Dolce far niente.
Con Vento fortissimo e Libero si passa poi ad un’ispirata atmosfera
western. E’ poi il momento della ballata Fermare
il tempo, che allenta la tensione degli infuocati brani precedenti. La viliore è un brano particolarmente
ispirato, rabbioso ed onirico. La conclusione dell’album è affidata all’allucinogena
ed acida La differenza fra essere svegli
e dormire.
Il
duo siciliano colpisce ancora, le emozioni si nascondono dietro ogni cambio
d'accordi, in ogni parola. Il pan del
diavolo non propone il suo folk indipendentemente da ciò che accade
intorno, anzi, subisce le contaminazioni degli artisti più ispirati nella scena
underground italiana, ma trova comunque un sound completamente originale e si
avvale di una forza espressiva sempre intatta. Marco Maresca
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