Avrà anche cinquant'anni suonati, ma Giorgio Canali pare non curarsene eccessivamente. Sopravvissuto agli ultimi vent'anni di militanza nella scena rock italiana, Giorgio, ormai giunto al quinto album con i Rossofuoco, non ha mai rinunciato alla sua visione esistenziale decadente e nichilista che in questo disco trova ancora una volta espressione, forse con un senso di frustrazione ancor più accentuato che in passato.
Accantonate le derive intimiste di Nostra signora della dinamite (2009), Giorgio torna a buttare benzina sul fuoco della rivolta nei momenti migliori e più tirati del disco (“Regola #1”, “Carmagnola #3” e “Risoluzione Strategica #6”), senza dubbio all'altezza del suo glorioso passato, tra sanpietrini, incitamenti a sfasciare tutto e un pizzico di buon senso comune (“e ricordate: il Papa veste Prada”). Muovendosi tra Rolling Stones e Bob Dylan (cui rimanda l'esaltante “Ci sarà” con le sue armoniche brillanti) Canali si trova perfettamente a proprio agio a sbraitare con la sua voce sghemba e sgraziata le sue ciniche invettive; se però i Rossofuoco se la cavano egregiamente coi ritmi sostenuti, stessa cosa non si può dire quando si avventurano nelle ballads, inaspettatamente sottotono e stanche, a cominciare dal duetto con Angela Baraldi “La solita tempesta” o la retorica facile di “Controvento”. Qui il desiderio di accogliere e collocarsi all'interno del cantautorato tradizionale italiano (De Gregori pare l'ispirazione primaria) riesce a metà e ciò è un peccato, perchè la debolezza dei momenti più distesi va a discapito della godibilità dell'intero album.
Ma probabilmente da Canali non c'è da aspettarsi né più né meno di quanto si trova in questo disco, che tutto sommato è perfettamente collocabile all'interno del suo modus musicandi e non deluderà i (molti) fan del chitarrista disturbato. D'altronde, se a cinquant'anni arrivassimo tutti così incazzati allora sì, che cambieremmo il mondo. Fabio Gasperini
Accantonate le derive intimiste di Nostra signora della dinamite (2009), Giorgio torna a buttare benzina sul fuoco della rivolta nei momenti migliori e più tirati del disco (“Regola #1”, “Carmagnola #3” e “Risoluzione Strategica #6”), senza dubbio all'altezza del suo glorioso passato, tra sanpietrini, incitamenti a sfasciare tutto e un pizzico di buon senso comune (“e ricordate: il Papa veste Prada”). Muovendosi tra Rolling Stones e Bob Dylan (cui rimanda l'esaltante “Ci sarà” con le sue armoniche brillanti) Canali si trova perfettamente a proprio agio a sbraitare con la sua voce sghemba e sgraziata le sue ciniche invettive; se però i Rossofuoco se la cavano egregiamente coi ritmi sostenuti, stessa cosa non si può dire quando si avventurano nelle ballads, inaspettatamente sottotono e stanche, a cominciare dal duetto con Angela Baraldi “La solita tempesta” o la retorica facile di “Controvento”. Qui il desiderio di accogliere e collocarsi all'interno del cantautorato tradizionale italiano (De Gregori pare l'ispirazione primaria) riesce a metà e ciò è un peccato, perchè la debolezza dei momenti più distesi va a discapito della godibilità dell'intero album.
Ma probabilmente da Canali non c'è da aspettarsi né più né meno di quanto si trova in questo disco, che tutto sommato è perfettamente collocabile all'interno del suo modus musicandi e non deluderà i (molti) fan del chitarrista disturbato. D'altronde, se a cinquant'anni arrivassimo tutti così incazzati allora sì, che cambieremmo il mondo. Fabio Gasperini