Quando lo scorso anno debuttò con l'omonimo album, Anna Calvi fu salutata come una novità in grado di imporsi a livello internazionale. Figlia di genitori italianissimi, la filiforme e fascinosa ventinovenne ha saputo conquistare dapprima i palati più raffinati, i cosiddetti intenditori, poi man mano che la sua musica si diffondeva, un pubblico sempre più ampio e trasversale, facendosi apprezzare tanto in ambiente indie quanto in quello dei grandi numeri.
Lei, precisiamolo, non è una cantante da milioni di copie, ma è audace, originale, motivata. "Volevo creare con voce e chitarra un suono che fosse un'estensione di me, che non assomigliasse a nessun altro. Insomma, avevo in mente il disco meno commerciale della storia del rock", ha dichiarato alcuni mesi fa prima delle sue comparsate in Italia (a Torino e a Milano. Tra qualche giorno sarà invece a Roma per il Vintage festival). Sul palcoscenico si presenta in trio o come solista: "Davanti al pubblico mi sento un'altra, una posseduta. Provo sensazioni che nella vita di tutti i giorni non conosco. Solo lì riesco a passare con disinvoltura attraverso tutte le personalità che ho dentro. Mi sono sentita onorata quando Nick Cave, che è uno degli artisti che amo di più, tenebroso e affascinante, è venuto nel mio camerino a congratularsi. Anche le parole di Brian Eno mi hanno sorpreso. Quando l'ho incontrato di persona mi ha davvero adulato". Diciamo pure che la definizione di Brian Eno che l'ha bollata come "la nuova Patti Smith" è stato un lancio super efficace, ma il primo disco della cantautrice inglese è un vero gioiello in grado di stupire davvero: 10 tracce su marchio Domino Records in cui sonorità rock alla Nick Cave si mescolano a testi evocativi, atmosfere noir e a una dichiarata passione per Debussy e Ravel ben espressa nel tentativo di far suonare la chitarra come un'orchestra. Brani come Desire, Susan and I o Blackout sono diventati in breve tempo canzoni simbolo e ai suoi concerti il pubblico le canta come fossero Because the night. Ai live ci sono davvero tutti: l'appassionato quatantenne che pende dalle sue rossissime labbra come la lesbica che la identifica come nuova sexyicona, l'indie bolognese come il milanese aggiornatissimo su tutte le ultime novità, ci sono anche i vetusti critici musicali che sanno sempre tutto, battono il piede mentre chiacchierano gozzovigliano salatini e sorseggiano analcolici aperitivi. Piano piano Anna ha conquistato anche l'impenetrabile Italia, con una proposta originale, bella e soprattutto nuova. Nel resto d'Europa se ne sono accorti da tempo (tanto tempo fa), soprattutto oltralpe, dove Anna è conosciutissima, complice anche il primo singolo Jezebel, un omaggio a quella Edith Piaf che l'ha resa immediatamente empatica ai francesi. Roberto Conti
29 giugno 2012
Following sea, ecco i nuovi dEUS
A un anno di distanza dal convincente Keep you close, è uscito Following sea, il nuovo album dei dEUS.
La indie rock band belga è sulla scena musicale da diversi anni nel corso dei quali si è contraddistinta per il suo incisivo alternative rock. Il tempo sembra aver in parte trasformato il loro modo di suonare e cantare, meno aggressivo rispetto a Roses, ma si tratta sempre di rock di ottima fattura che come alcune cose può cambiare e anche migliorare col passare degli anni.
Con i dieci brani dell'album, il quintetto non si fa mancare niente, dai pezzi quasi narrati su sonorità elettroniche che fanno venire in mente interpreti storici del rock, Hidden wounds e The give up
Gene, a pezzi di più pura tradizione alternative rock Girls keep drinking, fino ad arrivare a ballate elettrorock come Crazy about you e The soft fall la cui dolcezza fa pensare a una doppia personalità dei dEUS che in fondo ci piace.
Buone emozioni da Sirens e poi Barman con Nothings ci conduce in altre dimensioni su sapienti note romanticamente pop rock.
Ultima cosa da segnalare il pezzo Quatre mains cantata/narrata in francese in modo brillante e fascinoso da Tom Barman su sonorità che vanno in crescendo con ritmi da colonna sonora di film d'azione (il video legato al brano ne è ulteriore conferma).
Nell'insieme un album non sorprendente, ma di facile e piacevole ascolto che conferma ancora una volta le capacità e il talento dei dEUS. Alessandra Terrone
Vecchioni e Sud Sound System sul palco del Librafestival. A Oleggio FreeTribe Shandon e Giorgio Canali
Giovedì prossimo, 5 luglio, sono ai nastri di partenza due importanti festival musicali che interessano Novarese e zone limitrofe. Stiamo parlando del Librafestival e di Free Tribe.
Roberto Vecchioni è l’artista di punta della nuova edizione del Libra Festival, che dal 5 luglio all’1 agosto proporrà 9 appuntamenti all’Anfiteatro di Sordevolo, nel Biellese. Iil debutto, il 5 luglio (ingresso gratuito), sarà affidato ai Discoinferno, e la chiusura, l’1 agosto, ai Divina. Fra gli appuntamenti, il 10 luglio il Teatro Musica Novecento presenterà l’operetta «La vedova allegra», mentre il 27 andrà in scena la danza con Il Balletto di Milano in uno spettacolo ispirato a Edith Piaf. E ancora il reggae italiano dei Sud Sound System (13 luglio), il folk-rock d’autore di Giovanni Lindo Ferretti (25 luglio) e l'omaggio alla tradizione popolare italiana del Salento con le tarantelle di Ambrogio Sparagna (28 luglio). Roberto Vecchioni salirà sul palco il 19 luglio. Il Festival quest’anno ha rischiato di non svolgersi a causa delle difficoltà economiche nel reperimento di fondi, nonostante questo è stato approntato un programma musicale di buona qualità.
A Oleggio, invece, dopo l'elezione dei vincitori del concorso Xtribe, ora è arrivata anche la scaletta definitiva del festival ai nastri di partenza giovedì sera. Alla pista di atletica di Oleggio si parte il 5 luglio con Andrea Fabiano, Bestbefore, Reparto numero 6 e Shandon, in una delle ultime date perima del definitivo scioglimento. Venerdì 7 è invece il turno di Karenina, Laika vendetta, Il disordine delle cose e Giorgio Canali & Rossofuoco, il cantautore ex Csi presenterà i brani dell’ultimo disco Rojo.
Sabato 8 salgono sul palco Underhouse, Officina finistere, Gianluca De Rubertis (ex Il Genio, ora in tour con un interessante progetto solista dalle sonorità cantautorali) e Mr T-Bone & The young lions icone della musica reggae. Domenica 9, ultima serata, con Le cose di cenere, Psichedahlia, Suite solaire e il collettivo Action 30. Ogni giorno anche tornei sportivi, un punto di ristoro e un concorso aperto ad aspiranti fotografi. Tutti gli eventi di Free Tribe sono ad ingresso libero.
Roberto Conti
Roberto Vecchioni è l’artista di punta della nuova edizione del Libra Festival, che dal 5 luglio all’1 agosto proporrà 9 appuntamenti all’Anfiteatro di Sordevolo, nel Biellese. Iil debutto, il 5 luglio (ingresso gratuito), sarà affidato ai Discoinferno, e la chiusura, l’1 agosto, ai Divina. Fra gli appuntamenti, il 10 luglio il Teatro Musica Novecento presenterà l’operetta «La vedova allegra», mentre il 27 andrà in scena la danza con Il Balletto di Milano in uno spettacolo ispirato a Edith Piaf. E ancora il reggae italiano dei Sud Sound System (13 luglio), il folk-rock d’autore di Giovanni Lindo Ferretti (25 luglio) e l'omaggio alla tradizione popolare italiana del Salento con le tarantelle di Ambrogio Sparagna (28 luglio). Roberto Vecchioni salirà sul palco il 19 luglio. Il Festival quest’anno ha rischiato di non svolgersi a causa delle difficoltà economiche nel reperimento di fondi, nonostante questo è stato approntato un programma musicale di buona qualità.
A Oleggio, invece, dopo l'elezione dei vincitori del concorso Xtribe, ora è arrivata anche la scaletta definitiva del festival ai nastri di partenza giovedì sera. Alla pista di atletica di Oleggio si parte il 5 luglio con Andrea Fabiano, Bestbefore, Reparto numero 6 e Shandon, in una delle ultime date perima del definitivo scioglimento. Venerdì 7 è invece il turno di Karenina, Laika vendetta, Il disordine delle cose e Giorgio Canali & Rossofuoco, il cantautore ex Csi presenterà i brani dell’ultimo disco Rojo.
Sabato 8 salgono sul palco Underhouse, Officina finistere, Gianluca De Rubertis (ex Il Genio, ora in tour con un interessante progetto solista dalle sonorità cantautorali) e Mr T-Bone & The young lions icone della musica reggae. Domenica 9, ultima serata, con Le cose di cenere, Psichedahlia, Suite solaire e il collettivo Action 30. Ogni giorno anche tornei sportivi, un punto di ristoro e un concorso aperto ad aspiranti fotografi. Tutti gli eventi di Free Tribe sono ad ingresso libero.
Roberto Conti
27 giugno 2012
Provincia cronica, ecco i vincitori!
Domenica 24 giugno si è svolta a Toirano, nel Savonese, la premiazione della quarta edizione del Premio letterario Provincia cronica, organizzato da AsapFanzine insieme all'Associazione Balla coi cinghiali e da quest'anno anche al Comune di Cerano.
La cerimonia è stata inserita all'interno di FestAfrica, una due giorni dedicata alla cultura africana organizzata nel borgo medievale del paese dell'entroterra ligure: in questo splendido contesto sono stati premiati i vincitori delle due sezioni ed è stata data lettura degli elaborati.
Nella sezione racconti il vincitore è Antonino Cervettini di Reggio Calabria con "Il bisogno di accettarla" un racconto dal ritmo incalzante, basato su un gioco di parole che si rivela solamente nel finale a sorpresa. Seguono Lorenzo Bianco di Vercelli con "Ho sonno" e Marco Maresca di Trecate (No) con "La terza Giulia". Nella sezione poesia la vittoria va invece a Tommaso Airoldi di Galliate (No) con "Verdi rimedi", una lirica dalla forte vena umoristica che unisce attualità politica, sentimento ed una efficace struttura metrica. Seguono Yuri Astolfi di Romentino (No) con "Miracolo raffinato" e la lirica di Stefania Dondi, di Cerano (No), terza classificata con "L'attrazione di fuoco" entrambe dedicate al tema dell'inquinamento.
Gli spunti per partecipare a Provincia cronica erano legati principalmente al mondo della musica: era possibile scegliere tra il periodo ipotetico (da una canzone degli Amor Fou) le labbra (da un disco di Paolo Benvegnù) fino alle memorie da toilette (ispirate ad un omonimo disco di Moltheni). Completava la scelta la traccia sull'inquinamento, dedicata alla non felice situazione dell'abitato di Cerano. I due primi classificati si sono aggiudicati un Kindle, l'e-book reader che sta rivoluzionando il mondo della lettura digitale. Secondo premio una selezione di vini tipici regionali; ai terzi classificati una selezione di libri offerti da Beltempo edizioni, la casa editrice nata in seno a Balla coi cinghiali e una maglietta del festival.
Alla premiazione, alla quale è stata data voce agli autori che hanno potuto raccontare la genesi delle rispettive opere e darne lettura nella splendida cornice della piazza medievale di Toirano, sono intervenuti gli organizzatori, Roberto Conti per AsapFanzine, Alice Loda per Balla coi cinghiali e Ilaria Cornalba, assessore alla Cultura del comune di Cerano che hanno ricordato come in quattro anni siano pervenuti al premio letterario circa 250 elaborati di autori di ogni angolo d'Italia e anche dall'estero,. L'edizione 2012 ha visto una 50ina di partecipanti, molti dei quali dal Novarese. Un secondo appuntamento con gli autori di Provincia cronica, è già stato programmato per l'autunno, sabato 6 ottobre a Cerano, dove vi aspetta una intera giornata dedicata a musica, letteratura e mostre d'arte.
Una carrellata di foto dell'evento è disponibile sulla pagina Facebook di AsapFanzine a questo link.
Nella sezione racconti il vincitore è Antonino Cervettini di Reggio Calabria con "Il bisogno di accettarla" un racconto dal ritmo incalzante, basato su un gioco di parole che si rivela solamente nel finale a sorpresa. Seguono Lorenzo Bianco di Vercelli con "Ho sonno" e Marco Maresca di Trecate (No) con "La terza Giulia". Nella sezione poesia la vittoria va invece a Tommaso Airoldi di Galliate (No) con "Verdi rimedi", una lirica dalla forte vena umoristica che unisce attualità politica, sentimento ed una efficace struttura metrica. Seguono Yuri Astolfi di Romentino (No) con "Miracolo raffinato" e la lirica di Stefania Dondi, di Cerano (No), terza classificata con "L'attrazione di fuoco" entrambe dedicate al tema dell'inquinamento.
Gli spunti per partecipare a Provincia cronica erano legati principalmente al mondo della musica: era possibile scegliere tra il periodo ipotetico (da una canzone degli Amor Fou) le labbra (da un disco di Paolo Benvegnù) fino alle memorie da toilette (ispirate ad un omonimo disco di Moltheni). Completava la scelta la traccia sull'inquinamento, dedicata alla non felice situazione dell'abitato di Cerano. I due primi classificati si sono aggiudicati un Kindle, l'e-book reader che sta rivoluzionando il mondo della lettura digitale. Secondo premio una selezione di vini tipici regionali; ai terzi classificati una selezione di libri offerti da Beltempo edizioni, la casa editrice nata in seno a Balla coi cinghiali e una maglietta del festival.
Alla premiazione, alla quale è stata data voce agli autori che hanno potuto raccontare la genesi delle rispettive opere e darne lettura nella splendida cornice della piazza medievale di Toirano, sono intervenuti gli organizzatori, Roberto Conti per AsapFanzine, Alice Loda per Balla coi cinghiali e Ilaria Cornalba, assessore alla Cultura del comune di Cerano che hanno ricordato come in quattro anni siano pervenuti al premio letterario circa 250 elaborati di autori di ogni angolo d'Italia e anche dall'estero,
Una carrellata di foto dell'evento è disponibile sulla pagina Facebook di AsapFanzine a questo link.
Ascolti emergenti: Mug, Van Houtens, Eusebio Martinelli, Flexus, Iceberg
I Van Houtens sono una misteriosa band di Verbania che
quattro anni fa, sconosciuta, fu contattata da McDonald’s che voleva a tutti i
costi utilizzare una loro canzone per la pubblicità dei suoi panini. Una storia
singolare quanto vera. Dopo quattro anni è finalmente uscito il primo album
della band, intitolato in modo scaramantico Flop,
pubblicato per Facelikeafrog records e distribuito da Venus. L’album contiene
la già citata canzone, intitolata (It’s
a) beautiful day, e altri freschi brani estivi cantati principalmente in
inglese ma contenenti, all’occorrenza, da qualche vocabolo nostrano. Lo stile
richiama vagamente i Libertines. I ritmi sono un po’ quelli del surf rock, un
po’ quelli del reggae, il tutto miscelato in un lo-fi il cui basso profilo è
volutamente ricercato, perché in realtà la produzione dell’album è
maniacalmente curata. La leggerezza e la faccia tosta che accompagna la
carriera dei Van Houtens pervade il loro disco d’esordio, regalandoci una
piacevole colonna sonora per l’estate ormai alle porte. Marco Maresca
Elettrici
e rumorosi al punto giusto, i MUG (Medium under groove) sorprendono con il loro
disco d’esordio, Lost transmission, su
etichetta La grande onda e distribuzione Audioglobe. I MUG scavano nel rock e
nel più profondo noise elettronico, alla ricerca della colonna sonora di un
nuovo mondo privo di parole nel quale i quattro ragazzi si ritrovano disillusi,
increduli, frenetici e disincantati. Il mondo dei MUG a volte svanisce, quasi
fosse un segnale smarrito, un segnale che però desiderano fortemente
ripristinare e riattivare. I brani sono privi di testi: la band si affida a
chitarre sempre molto efficaci e voluminose, e a basi elettroniche
sapientemente programmate, per indirizzarci verso atmosfere a volte
claustrofobiche, altre volte sognanti. In molti momenti dell’album, tra cui il
brano Disco pulp, lo sperimentale mix
di chitarre e sintetizzatori raggiunge risultati notevoli. m.m.
Eusebio Martinelli - Gazpacho ***
Eusebio Martinelli è un noto trombettista che ha collaborato con artisti del calibro di Vinicio Capossela, Marc Ribot, Roy Paci e Calexico, tanto per citarne alcuni. Ci presenta questo album dal titolo curioso, Gazpacho che prende il nome da una zuppa fredda tipica dell'Andalusia. L'album che vede la collaborazione di diversi strumentisti italiani e stranieri, riuniti sotto il nome di Gipsy Abath Orkestar. Il genere è un folk dal timbro zigano e balcanico con puntate anche al gipsy.
Martinelli suona sia la tromba che il sousaphone e il flugelhom dando prova della sua bravura come strumentista sia in brani noti riarrangiati sia in suoi brani inediti. L’ascolto dell album mi ha fatto venire voglia di ballare, anche se non sono un amante particolare del genere, i suoni risultano trascinanti e piacevoli. Tra i miei brani preferiti a firma Martinelli Gazpacho e Migrant slow train. Marco Colombo
Eusebio Martinelli è un noto trombettista che ha collaborato con artisti del calibro di Vinicio Capossela, Marc Ribot, Roy Paci e Calexico, tanto per citarne alcuni. Ci presenta questo album dal titolo curioso, Gazpacho che prende il nome da una zuppa fredda tipica dell'Andalusia. L'album che vede la collaborazione di diversi strumentisti italiani e stranieri, riuniti sotto il nome di Gipsy Abath Orkestar. Il genere è un folk dal timbro zigano e balcanico con puntate anche al gipsy.
Martinelli suona sia la tromba che il sousaphone e il flugelhom dando prova della sua bravura come strumentista sia in brani noti riarrangiati sia in suoi brani inediti. L’ascolto dell album mi ha fatto venire voglia di ballare, anche se non sono un amante particolare del genere, i suoni risultano trascinanti e piacevoli. Tra i miei brani preferiti a firma Martinelli Gazpacho e Migrant slow train. Marco Colombo
Satelliti inversi è un album di 11 tracce che spaziano dal pop al rock registrato tra il 2010 e il 2011 dai carpigiani Flexus. E' un lavoro ricco di collaborazioni e di strumenti orchestrali, da Deborah Walker in un trio virtuale di violoncelli nel brano O, rage!, scritto a quattro mani insieme alla scrittrice Chiara Carminati, alla cantante Verdiana Zangaro nel brano Sospeso a metà, al Coro delle Mondine di Novi nel brano Se otto ore, bellissima canzone popolare dai tratti marcatamente rock.
L’album è un lavoro prettamente pop con canzoni scritte in italiano che lasciano scoprire ottimi episodi autorali. Le canzoni parlano di temi diversi, dagli incontri tra persone come nel brano Satelliti inversi che mi ha ricordato per certi versi un ispirato Luciano Ligabue, a storie di passione come in O, rage dove l’utilizzo dei violini addolcisce notevolmente la melodia, fino a storie di amori finiti come nella romantica Cosa facciamo adesso. Il disco nel suo complesso mi è piaciuto perché è composto da brani pop e di facile fruizione, ma allo stesso tempo interessanti per quanto riguarda melodie e arrangiamenti, grazie agli archi e alla fisarmonica. Tra i miei brani preferiti Cosa facciamo adesso e Amanda sceglimi che mi ha ricordato il miglior Baccini. Da segnalare, infine, la scrittura dei testi, curata da Gianluca Magnani, particolarmente matura e lineare. m.c.
Iceberg - Caro tornado */
Gli Iceberg sono una giovane band pavese, attiva nel circuito indipendente dal 2008 e con questo cd, al loro primo lavoro in italiano. Caro tornado è stato registrato in presa diretta - volutamente - dalla band per arrivare più immediato all’ascoltatore. La scelta di utilizzare chitarre distorte e volumi altissimi risulta tuttavia penalizzante propone un risultato troppo casalingo, all'interno del quale non si colgono particolari spunti creativi. Il genere è un rock di matrice classica, con varie sfumature per quanto riguarda i suoni, i testi invece hanno un'attitudine quasi punk. Tra i miei pezzi preferiti il rock and roll di Nagasaki blues e la ballata In piena. Purtroppo in questo disco fa difetto l'originalità: essere giovani e volenterosi purtroppo oggi non basta per avere anche qualcosa di interessante da dire... m.c.
Gli Iceberg sono una giovane band pavese, attiva nel circuito indipendente dal 2008 e con questo cd, al loro primo lavoro in italiano. Caro tornado è stato registrato in presa diretta - volutamente - dalla band per arrivare più immediato all’ascoltatore. La scelta di utilizzare chitarre distorte e volumi altissimi risulta tuttavia penalizzante propone un risultato troppo casalingo, all'interno del quale non si colgono particolari spunti creativi. Il genere è un rock di matrice classica, con varie sfumature per quanto riguarda i suoni, i testi invece hanno un'attitudine quasi punk. Tra i miei pezzi preferiti il rock and roll di Nagasaki blues e la ballata In piena. Purtroppo in questo disco fa difetto l'originalità: essere giovani e volenterosi purtroppo oggi non basta per avere anche qualcosa di interessante da dire... m.c.
21 giugno 2012
Gli Smashing tornano con Oceania: due recensioni a confronto
Oceania (Martha’s
Music/EMI) è l’ottavo album degli Smashing pumpkins. Fa parte di un progetto
musicale più ampio, intitolato Teargarden
by kaleidyscope, avviato nel 2009 e comprendente quarantaquattro brani. Molti
di essi, con tutta probabilità, per ora esistono solo nella mente di Billy
Corgan. L’eclettico cantante e chitarrista, ormai rimasto l’unico elemento
della band originaria, aveva infatti deciso, tre anni fa, di non pubblicare più
canzoni nel classico formato di album. Ora, però, dev’essersi accorto che le
sue ultime canzoni, pubblicate gratuitamente, non avevano riscosso il successo
sperato. E così è tornato al formato classico, minacciando il ritiro dalla
scena musicale qualora il nuovo album non riscuota il successo sperato. Ma il
pelato chitarrista non è nuovo né ai cambi di idea né alle dichiarazioni un po’
forti. “Sui Radiohead ci piscio sopra”, aveva fieramente dichiarato qualche
giorno fa, probabilmente col solo scopo di attirarsi addosso un po’ di
attenzione, oltre che ulteriori aspettative sull’uscita dell’album. Come se non
bastasse dichiarare che il nuovo disco è “il migliore dai tempi di Mellon Collie”. Affermazione forte, ma
sarà vero?
Oceania, pur non
discostandosi molto dalle ultime pubblicazioni della band di Chicago, ha il
pregio di risultare in tutto e per tutto un album musicale e non una semplice
accozzaglia di canzoni. Il disco parte benissimo da subito, con Quasar, una sorta di invocazione e
preghiera quasi monocorde sostenuta da un delirio rock di chitarre pesantemente
distorte e dal furioso drumming del giovanissimo Mike Byrne, classe 1990 (un
applauso per questo ragazzo, che è veramente superlativo). Chi conosce la
discografia degli Smashing pumpkins troverà parecchie analogie tra
l’inizio di questo nuovo capitolo della band e il mitico Siamese dream del 1993. Segue Panopticon,
che prosegue nel lirismo del brano precedente, e i giri di basso fantasiosi e
melodici ricordano gli esordi di Gish,
del 1991. “Ciò che amo di questo disco è che ha quel sound familiare dei vecchi
Pumpkins, con una svolta moderna”, afferma Nicole Fiorentino, la nuova bassista
della band, aggiungendo che Oceania è
uno dei pochissimi album del gruppo ad essere stato composto collettivamente. I
nuovi Pumpkins ci tengono a mostrare di essere molto più che semplici
strumentisti assoldati da Billy Corgan, e spesso ci riescono. Dalla terza
traccia in poi, però, chi si aspettava un disco rock ricco di orchestrazioni di
chitarre distorte rimarrà deluso, mentre chi è amante delle emozionanti ballate
sarà soddisfatto. The celestials, Violet rays e la splendida My love is winter (con un magico assolo
di chitarra) sono infatti brani lenti ed introspettivi. “In questo periodo ed
in questa epoca, con ciò che sta succedendo politicamente e socialmente, è
giusto suonare qualcosa che sia più fantasioso e sognante”, afferma il
chitarrista Jeff Schroeder. One diamond, one heart è un brano luminoso che ricorda la breve parentesi
degli Zwan, la band in cui Corgan ha militato per un periodo. In questo brano e
in Pinwheels trovano spazio alcune
tastiere così acide e ruvide da fare quasi a gara con le chitarre, come non si
sentiva dagli anni ’80 e dai tempi della new wave. Forse è questa la vera
novità dei Pumpkins odierni. Una novità che però risulta apprezzabile più dal
vivo che su album. Segue la title-track, Oceania,
un progressive rock di oltre nove minuti, che mischia un po’ di tutto e termina
in un epico assolo di chitarre sovrapposte, di stampo Iron Maiden, distorto a
livelli disumani, che sfuma nel suo momento migliore (mentre dal vivo prosegue
ad oltranza). Questo sì che è davvero uno dei migliori momenti dei Pumpkins. Pale Horse è un potenziale singolo pienamente
degno dei tempi di Adore. Segue The chimera, un altro solare brano da
Zwan in cui la fanno da padrone le armonie di chitarre. Glissandra, una malinconica ma vibrante canzone sul tema del passato,
è l’ennesimo momento emotivo ed emozionante dell’album, prima di lasciare
spazio alla tranquilla Inkless ed al
notturno epilogo affidato a Wildflower.
I tempi di Siamese dream e di Mellon Collie non torneranno più, perché
nel frattempo è cambiata la musica, è cambiato il mondo, sono cambiati i
giovani (dei quali Billy Corgan per sopraggiunti limiti d’età non può certo
essere il testimone odierno). Ma non per questo gli Smashing pumpkins
dovrebbero ritirarsi dalle scene musicali. Dopotutto, nonostante gli anni che
passano per tutti, anche questa nuova uscita discografica è intrisa della magia
e dell’atmosfera sognante che ha da sempre accompagnato la band di Billy
Corgan. E la chitarra del pelato non è mai stata così in forma. Marco Maresca“Se saremo ancora capaci di catalizzare l'interesse dei fan e di farli venire ai nostri concerti immagino che i prossimi tre o quattro anni saranno davvero interessanti per la band. Se invece Oceania dovesse sbattere contro lo stesso muro di disinteresse contro il quale si sono scontrati altri nostri lavori più recenti, allora credo sia il caso di fare un passo indietro e rimettere in discussione il gruppo e i progetti per il futuro”. Queste sono le clamorose dichiarazioni rilasciate da Billy Corgan a ‘Bilboard’ a novembre, proprio quando era prevista l’uscita iniziale di “Oceania”, lavoro in studio numero dieci degli Smashing Pumpkins che giunge a tre anni dal doppio ep Teargarden by Kaleidyscope a cinque da Zeitgeist, ultimo disco effettivo della band di Chicago. Dopo aver assistito al live delle “zucche” a Milano lo scorso 26 novembre possiamo dire che l’affetto e l’interesse del pubblico per Billy e soci comunque non mancherebbe, ma questo aspetto è dovuto più ai vecchi fasti che alle nuove proposte. Oceania è un lavoro che cerca di ricalcare lo stile degli SP che abbiamo conosciuto ai tempi di Siamese dream, Mellon Collie e Adore, dove il power rock chitarristico si miscela col progressive anni ’70, molto presente all’interno di questo disco. Ma la cattiveria di quegli anni d’oro sembra effettivamente svanita: già cinque anni fa, quando la band è tornata in scena dopo lo scioglimento con Zeitgeist, si intravedeva la strada verso il declino artistico. Oceania è un'ulteriore conferma che Billy Corgan sta cercando affannosamente di proporre qualcosa di appetibile e di affascinante (come la suite nella title-track e l’ipnotica Pinwheels) pur avendo perso lo smalto degli anni d’oro. D’altronde sono passati ormai quindici anni… Descrivendo l’album in sé, la partenza è affidata alla potente ma monotona Quasar (che sembra una brutta copia dei pezzi di Siamese dream) e all’altrettanto devastante (ma decisamente più bella) Panoptycon. Si fa rispettare la ballata The Celestials, primo singolo in cui chitarra acustica e basso new wave fanno da protagonisti. My Love Is Winter e One Diamond, One Heart scivolano via innocue prima di giungere a Pinwheels, uno dei momenti migliori di Oceania: l’apertura affidata a un synth in loop è degna dei Rush da cui si assiste un continuo cambio di espressività tra un passaggio e l’altro. Oceania è una suite di nove minuti composta da tre mini-tracce ipnotiche e affascinanti, adattissima a presentare gli SP dell’ultima decade. Pale Horse è l’ultima gemma dove Billy canta in modo sofferto (una delle poche canzoni in cui il leader maximo dà ottima prova di sé in un lavoro dove delude a livello vocale), prima dell’ennesimo tentativo (malriuscito) di riprendere quanto fatto agli albori della carriera (The Chimera e Inkless). Cala il sipario con Wildflower, ninna-nanna al mellotron che cerca di addolcire il finale di un lavoro che fa storcere il naso. Molti deja-vù, qualche esperimento poco riuscito in un album che tende più ad arrancare che a spingere, nonostante gli SP abbiano tutt’altre intenzioni. Billy Corgan sta lentamente smarrendo la creatività e la cattiveria che lo hanno reso star assoluta nel panorama del rock alternativo. Inoltre il “deus ex machina” non sembra più imprimere pathos quando canta, risultando monocorde e affaticato. “Oceania” è un lavoro stanco che vive solo di qualche fiammata che ravviva il quadro complessivo. Ma sono micce che non bastano ad infiammare né chi segue gli SP da sempre, né tantomeno chi li ha scoperti negli ultimi tempi. A quanto pare e con molto rammarico, le zucche sono quasi cotte… Marco Pagliari
20 giugno 2012
Scommesse: l'ottimo esordio dei Sycamore Age
Nel marzo scorso è uscito il primo album dei Sycamore Age che porta il loro stesso nome. Questa giovane band toscana, nata solo un paio di anni fa, è tra le più promettenti del panorama underground italiano, si tratta di una vera e propria orchestra composta da musicisti virtuosi e appassionati.
Il loro è un elettro rock orientato a tratti su un inconsapevole progressive. Un'ottima band piena di sorprendenti e piacevoli sonorità mai noiose o stucchevoli.
Insieme all'albero del sicomoro, le farfalle che volano e si riuniscono a formare un fiore sulla copertina dell'album sono il tema ricorrente in questo lavoro notevole. Tra i brani, tutti da ascoltare, ricordiamo How to hunt a giant butterfly in cui l'uso delle voci è una carezza che arriva da lontano (Pink Floyd) e che non stanca mai. In At the biggest tree, Francesco Chimenti dimostra che può davvero fare ciò che vuole con la voce, strumento che si aggiunge a tanto altro (violini, contrabbassi, fiati).
My bifid sirens ci fa finire in un vortice in cui sembra aleggi lo spirito del Jeff Buckley di Grace. Assolutamente degno di nota anche il nuovo video della band Happy, in cui un uomo lontano dai canoni estetici che ci ossessionano ogni giorno, imbrattato di vernice e carta straccia, apre gli occhi destandosi all'improvviso e ipnotizza lo "spettatore" iniziando a saltare su un crescendo di accordi elettrorock finchè non riesce a sbarazzarsi di tutti i fardelli inutili. Non si può smettere di guardare perchè lui non smette di saltare (come solo i bambini riescono a fare) cercando la felicità a tutti i costi, nonostante tutto.
Questo è un disco interamente da ascoltare e riascoltare. I Sycamore sono capaci di polarizzare l'attenzione
con le loro sonorità che sembrano sgorgare dall'anima come l'acqua di una sorgente.
Alessandra Terrone
Il loro è un elettro rock orientato a tratti su un inconsapevole progressive. Un'ottima band piena di sorprendenti e piacevoli sonorità mai noiose o stucchevoli.
Insieme all'albero del sicomoro, le farfalle che volano e si riuniscono a formare un fiore sulla copertina dell'album sono il tema ricorrente in questo lavoro notevole. Tra i brani, tutti da ascoltare, ricordiamo How to hunt a giant butterfly in cui l'uso delle voci è una carezza che arriva da lontano (Pink Floyd) e che non stanca mai. In At the biggest tree, Francesco Chimenti dimostra che può davvero fare ciò che vuole con la voce, strumento che si aggiunge a tanto altro (violini, contrabbassi, fiati).
My bifid sirens ci fa finire in un vortice in cui sembra aleggi lo spirito del Jeff Buckley di Grace. Assolutamente degno di nota anche il nuovo video della band Happy, in cui un uomo lontano dai canoni estetici che ci ossessionano ogni giorno, imbrattato di vernice e carta straccia, apre gli occhi destandosi all'improvviso e ipnotizza lo "spettatore" iniziando a saltare su un crescendo di accordi elettrorock finchè non riesce a sbarazzarsi di tutti i fardelli inutili. Non si può smettere di guardare perchè lui non smette di saltare (come solo i bambini riescono a fare) cercando la felicità a tutti i costi, nonostante tutto.
Questo è un disco interamente da ascoltare e riascoltare. I Sycamore sono capaci di polarizzare l'attenzione
con le loro sonorità che sembrano sgorgare dall'anima come l'acqua di una sorgente.
Alessandra Terrone
19 giugno 2012
Ascolti emergenti: Masoko, Formanta!, Carmelo Amenta, Nu Bohemièn
Le
vostre speranze non saranno deluse è il terzo album dei Masoko. Esce
per l’etichetta Modern life ed è distribuito da Audioglobe. Undici brani a
spiegare un presagio, ad incarnare una visione apocalittica cinica ed
impertinente, pur mantenendo una vena leggera ed ironica. I Masoko vestono di musica
lo scenario generale del crollo, che si tratti di torri, di borse o di stati
d’animo, ma sempre con la speranza di un mutamento improvviso e radicale. Nel
suo terzo album, il quartetto romano prende di mira con vena sarcastica l’arrendevolezza
di uno scenario che di ottimista ha apparentemente ben poco. Il contesto
musicale è quello di un pop ritmato ed elettronico, cantato in italiano, con
una leggerezza di fondo che pervade quasi tutti i brani e con testi che tentano
di sembrare scanzonati anche trattando tematiche difficili. La prima parte
dell’album, dai ritmi piacevoli ed impreziosita da un fine uso
dell’elettronica, merita più che un ascolto. A mio parere, il brano migliore è
però la ballata Tirati un po’ su, tra
i pochi brani dell’album in cui trova spazio un filo di tristezza. Particolarmente
elegante l’uso della voce, lungo tutto l’album ma soprattutto nei brani finali.
Marco Maresca
L’album
d’esordio dei romani Formanta!, su etichetta Seahorse recordings e distribuito
da Audioglobe, perfeziona il sound del precedente EP, costruendo solidi brani
di stampo rock classico (sullo stile di R.E.M. e Wilco) con giri di basso quasi
solisti e numerose chitarre (baritone, elettriche, acustiche) che ricamano riff
in perfetto stile Smiths. Il cantato è in inglese, con voce femminile. Inserti
di archi, trombe ed ottoni riempiono ed impreziosiscono il suono. L’album
mostra un’attitudine sempre leggera ed ispirata, e curiosamente il lavoro dei
Formanta! acquisisce consistenza non da subito ma sulla distanza. Se i due
brani d’apertura sembrano abbastanza piatti e mostrano qualche imprecisione
vocale, le canzoni che seguono sanno stupire piacevolmente. Something left, Down in here e Sugar cane
sorprendono per personalità e leggerezza. Ottima anche la ballata Little girl. I giri di basso nella
seconda parte dell’album si avvicinano maggiormente all’alternative rock e i
ritmi aumentano di velocità ma senza mai perdere in accessibilità. I brani
finali sono più rilassati e sognanti. Non ci sono momenti di noia, le canzoni funzionano
bene quasi dalla prima all’ultima, e c’è ancora spazio per migliorarsi: caratteristiche
importanti per fare bene anche in futuro. m.m.
I Nu bohemièn sono tre ventenni del basso veneto che hanno realizzato un
disco fresco e personale, cogliendo la quotidianità del provincialismo da cui
provengono e la banalità del senso comune che li circonda. Hanno congelato ed
incasellato il tutto dentro undici tracce dai toni elettroacustici, connotati
da una marcata attitudine punk che si estende fino a rimbalzare tra sonorità
indie rock e new wave. Figli dei classici inglesi e americani, e influenzati
dai gruppi indie dell’ultimo decennio italiano, i Nu bohemièn hanno mostrato
fin dalle prime battute un’eccellente personalità. In questo disco, pubblicato
per Infecta suoni&affini / Face like a frog e distribuito da Venus, c’è
un’impalcatura stabile di suoni che sorregge un architrave di voci e chitarre
che stridono e urlano testi diretti. I brani L’individualismo vi farà morire soli e I pezzi di merda non muoiono mai sono esempi delle potenzialità dei
Nu bohemièn quando funzionano al meglio. Da migliorare i testi: si può
risultare incisivi e sorprendere anche senza abbondare nel linguaggio scurrile.
Inoltre le storie di provincia che pervadono l’album sono spesso narrate in
tono troppo discorsivo e poco poetico. A parte ciò, questo lavoro è una bella
sorpresa, e fa sperare siano di più i giovanissimi in grado di emergere in
tempi rapidi. m.m.
Carmelo Amenta - I gatti se ne fanno un cazzo della trippa **Di Carmelo Amenta si era parlato molto bene in occasione del suo primo lavoro L'erba cattiva. Cantautore di origine siciliana, ha fatto parte di varie band prima di diventare solista. Il 24 maggio scorso è uscito il suo secondo lavoro, I gatti se ne fanno un cazzo della trippa.
Album di difficile definizione, vicino al cantautorato più d'ispirazione d'oltreoceano che di casa nostra, al folk-rock con contaminazioni di vecchio buon blues.
Tra i pezzi dell'album segnalo quelli che più mi sono piaciuti per sonorità e per il modo in cui Carmelo riesce a parlare di argomenti anche seri senza sfociare nella solita retorica. Primo fra tutti, il brano che dà il titolo all'album, caratterizzato da ritmi folk rock, tamburelli tipici della taranta e con un testo di accusa verso una società intrisa di differenze tra i soliti ricchi e i troppi poveri a cui non restano neanche le briciole e parafrasando il testo "non sanno che farsene della trippa".
Elettronoise e narrazione sulle note di Lo spettacolo, apprezzabile ma nulla di particolarmente innovativo.
Ancora tanta contestazione e accusa a chi abita il nostro mondo in Per i vermi siamo tutti uguali, dedicata agli avidi di soldi e di potere. In Ciuf ciuf buone sonorità sulle quali Carmelo parla e canta facendo apprezzare la sua voce interessante. Ancora da segnalare Frammenti, poesia cantata con molta ispirazione su una base elettropop. Nell'insieme un disco di buon livello, ma che non sempre trasmette emozioni particolari, sinceramente non credo lo riascolterò. Alessandra Terrone
12 giugno 2012
Melodici ed emozionanti, ritornano i Maximo Park con The national health
A
tre anni di distanza da Quicken the earth riecco i Maximo Park con The national health, il loro quarto lavoro in studio. Un concept album dal titolo
programmatico costruito attorno al tema
“di riprendersi il controllo della propria vita e di avere la forza di cambiare
la propria vita in un periodo di recessione”, come giustamente sottolinea il
leader Paul Smith a ‘Nme.com’.
Ma
chi sono i Maximo Park? Sono una band di Newcastle attiva da una decina d’anni
(si sono formati nel 2001) il cui sound è una miscela azzeccata tra il rock
d’autore e i suoni sintetici degli anni ’80. Si rifanno molto al mod dei Jam e
all’indie-rock dei primi R.E.M. e in questo ultimo disco si trovano tracce di
electro-pop alla Depeche Mode, presenti soprattutto nel primo, tenebroso
singolo Hips and lips.
The national health rappresenta l’evoluzione continua degli MP, che confermano
quanto di buono fatto sentire nei primi due album (Apply some pressure e il
bellissimo “Our Earthly Pleasures”) con l’aggiunta di melodie più ricercate ma
non per questo meno melodiche. L’intro intimistico When I was wild è il preludio alla title track, esemplare per
descrivere lo stile del complesso britannico: ritmi martellanti e decisi con
una tastiera che fa da protagonista.
The undercorrents, quarto pezzo dell’album, è
probabilmente il momento più intenso di The national health: la chitarra
arpeggia in stile R.E.M. e la voce carica di pathos di Paul Smith fa il resto. Write this down, costruita su un tappeto
sintetico di tastiere è la canzone che i Franz Ferdinand devono ancora
scrivere. Poi è il turno di Reclutant love, che ribadisce le linee melodiche più procacciate dagli MP, sempre
ritmate e “easy” pur senza risultare banali.
Until the earth would open è un’altra accelerata a
metà tra gli Strokes e i R.E.M. in cui la riconoscibilissima chitarra
Rickenbacker di Duncan Lloyd ispira tutti gli altri compagni di squadra. Più
cupa Banlieu, dove la voce di Smith
diventa bassissima (così come nel singolo Hips and lips), a testimoniare che il frontman ha trovato uno stile molto più
versatile rispetto al passato.
Il
mod anni ’60 dei primi Who si ritrova in Take me home, prima della ballata solo voce-chitarra-violoncello Unfamiliar places, unico vero momento di
respiro in una corsa a cento all’ora. A chiudere il disco la scarica elettrica
di Waves of fear, ottima conclusione
di poco più di 40 minuti ascoltati tutti d’un fiato che restano sigillati nella
mente.
E’ per
questo che va premiato The national health, che permette ai Maximo Park di
raggiungere standard altissimi dopo aver fatto molto bene nei lavori
precedenti. Poche le note stonate (solo il singolo Hips and lips non convince fino in fondo) in un disco ben
costruito, ben suonato e ben indirizzato. Peccato che nel loro tour non ci sia
neanche una data italiana: farebbe felici gli ascoltatori, oltre che far
conoscere gli MP alla gran parte del pubblico nostrano. Marco Pagliari
11 giugno 2012
Ascolti emergenti: Huno, Sunset, Post, Moseek, Noise under dreaming, Maniacs, Gattamolesta, Les Enfants, Violassenzio
Noise under dreaming - In mine ***
In mine è il secondo full album del progetto Noise under dreaming, nato a Milano nel 2006. E’ un album sperimentale tra ambient, soundtrack music, elettronica e field recordings. Gli strumenti acustici si distinguono e si muovono all’interno di field indistinti, elementi elettronici, drum machine e percussioni che si confondono, linee vocali che spaziano da sussurri filiformi a caldi blues, passando per disperati richiami inascoltati. Il materiale è ottimo e si sente che i brani sono vissuti in maniera molto interiore dai due musicisti, Michele Ricciardi e Matteo Chiamenti. Una emozionante colonna sonora di ricordi livellati dal tempo. L’unico limite dell’album è una scarsa coesione tra le atmosfere dei vari brani. E’ un album forse troppo poco omogeneo, ma il risultato è comunque piacevole. Particolarmente meritevole il brano Noise under my wish, un po’ sullo stile dei Mogwai. Marco Maresca
In mine è il secondo full album del progetto Noise under dreaming, nato a Milano nel 2006. E’ un album sperimentale tra ambient, soundtrack music, elettronica e field recordings. Gli strumenti acustici si distinguono e si muovono all’interno di field indistinti, elementi elettronici, drum machine e percussioni che si confondono, linee vocali che spaziano da sussurri filiformi a caldi blues, passando per disperati richiami inascoltati. Il materiale è ottimo e si sente che i brani sono vissuti in maniera molto interiore dai due musicisti, Michele Ricciardi e Matteo Chiamenti. Una emozionante colonna sonora di ricordi livellati dal tempo. L’unico limite dell’album è una scarsa coesione tra le atmosfere dei vari brani. E’ un album forse troppo poco omogeneo, ma il risultato è comunque piacevole. Particolarmente meritevole il brano Noise under my wish, un po’ sullo stile dei Mogwai. Marco Maresca
I Post sono una band torinese che esiste discograficamente
dal 2004. Sono cresciuti con la new wave, il post punk ed il rock alternativo
degli U2 e dei R.E.M. Inizialmente avevano imboccato la strada del rock cantato
in italiano, e recentemente si sono convertiti al cantato in inglese. Il loro
ultimo album, Fakes from another place,
pubblicato per l’etichetta La voce del gregge e distribuito da New model label,
è un disco di rock alternativo con velleità internazionali ma che, come si
evince dal titolo, è stato realizzato da artisti che fingono di appartenere ad
un posto che non è il loro, con esiti inevitabilmente incerti. E’ un disco che
a mio parere ha il grosso limite di non mostrare convinzione, né una scelta
musicale ben precisa, e quindi si porta avanti galleggiando fino alla fine, con
alcuni momenti particolarmente evitabili (Unheard),
verso il finale. Si discosta un po’ dal resto dell’album solo la finale Non mi confondere che, guarda caso, è
l’unico brano cantato in italiano. m.m.
Tornano i Moseek, già ascoltati da AsapFanzine lo scorso
aprile. Yes, week-end, il secondo
album della band capitolina, recentemente pubblicato per l’etichetta Labelpot, ci
è arrivato accompagnato da un molto apprezzato messaggio manoscritto ed
autografato. Anche stavolta la band ha dimostrato grande cura nel modo di
presentarsi (l’altra volta era stata dedicata una grande attenzione al package,
molto particolare). Il nuovo album mostra miglioramenti rispetto al predecessore:
l’atmosfera è più allegra e solare mantenendo comunque un pizzico di
malinconia. Qualche miglioramento nell’uso della voce, stavolta più personale,
ed una decisa e gradita svolta sull’uso dell’elettronica, non più marginale ma
ormai fondamentale. Rimane la scelta di cantare in inglese: il tempo saprà
dirci se è giusta oppure no. Particolarmente incalzante il singolo Pills, accompagnato da videoclip.
Notevole la reinterpretazione di Come
together dei Beatles: riuscire a mostrare personalità in una cover senza
soffocarla né stravolgerla non è da tutti. m.m.
L’EP dei cuneesi Huno, intitolato Spessi muri di plastica, era già stato recensito da AsapFanzine lo
scorso dicembre. Abbiamo ricevuto nuovamente una copia dell’EP, e quindi gli
Huno ricevono un nuovo ascolto, stavolta da un orecchio diverso. Confermo in
parte ciò che su di loro era già stato scritto: un alternative rock cantato in
italiano, che in qualche momento risulta particolarmente convincente. La band
non si lascia imprigionare dalla classica forma canzone, ma privilegia altre
strutture. La non eccessiva attenzione per lo sviluppo dei brani, però, a mio
parere è spesso fonte di monotonia. Ci sono ottime idee, che mostrano una
grande personalità, ma non son quasi mai sviluppate in modo estroso. La
splendida ballata intitolata Profonde
tracce, però, mostra che gli Huno posseggono le potenzialità per fare cose
ottime in futuro. m.m.
Viaggio libero, il
primo full album dei novaresi Sunset, è un’escursione senza confini tra rock
italiano diretto e sanguigno, momenti hard, influenze americane ed aperture
pop. Il grande pregio dell’album è la tecnica musicale, che unita al buon gusto
negli arrangiamenti e ad un songwriting particolarmente ispirato, dà luogo a
brani come El Frago, immediatamente memorizzabili
anche dopo un singolo ascolto. Come dice il titolo, ci troviamo di fronte ad un
album da viaggio, che parla di itinerari da scoprire e di libertà da ricercarsi
altrove. In questa prerogativa, e nelle sonorità, i Sunset richiamano
abbastanza apertamente i Negrita, ed in particolare il loro periodo degli album
Reset e Radio zombie. Il richiamo ai Negrita è forte anche per quanto
riguarda la vocalità. L’album è per certi versi ottimo se non fosse proprio per
la mancanza di coraggio di proporre qualcosa di nuovo e la tendenza, quindi, a
ricadere nell’emulazione di classici del rock italiano, seppur eccellenti. m.m.
Les Enfants - Les Enfants ep ***
Folgorante ed emozionale l'esordio dei Les Enfants, un omonimo ep composto da quattro brani, prodotti dagli stessi Les Enfants e mixati da Manuel Santilli e Marco Manini, sotto l'eccellente supervisione di Federico Dragogna dei Ministri. E’ un disco essenziale, quasi low fi, ben registrato ma parecchio scarno. Nonostante questo i Les Enfants riescono a mio parere ad arrivare al cuore dell ascoltatore attraverso testi sussurrati che sfociano in ritornelli convincenti che parlano di speranza, come in Canzone nuova: “Dagli abissi degl’inferi ci ribelliamo/ neanche la morte ci toglierà la speranza”, oppure di concetti semplici ma immediati, come in Io voglio bene ai miei amici che riesce ad esprimere pienamente il concetto espresso dal titolo; fino ad arrivare alla bellissima (e mia preferita) Piovono cieli che brilla di un pop particolarmente intenso. Consludo citando Questa crisi finirà dove la crisi è forse quella del cuore. Davvero interessanti questi giovani ragazzi che attraverso sonorità rock molto semplici ed essenziali riescono ad emozionarci. Li attendiamo alla prova in LP. Marco Colombo
Folgorante ed emozionale l'esordio dei Les Enfants, un omonimo ep composto da quattro brani, prodotti dagli stessi Les Enfants e mixati da Manuel Santilli e Marco Manini, sotto l'eccellente supervisione di Federico Dragogna dei Ministri. E’ un disco essenziale, quasi low fi, ben registrato ma parecchio scarno. Nonostante questo i Les Enfants riescono a mio parere ad arrivare al cuore dell ascoltatore attraverso testi sussurrati che sfociano in ritornelli convincenti che parlano di speranza, come in Canzone nuova: “Dagli abissi degl’inferi ci ribelliamo/ neanche la morte ci toglierà la speranza”, oppure di concetti semplici ma immediati, come in Io voglio bene ai miei amici che riesce ad esprimere pienamente il concetto espresso dal titolo; fino ad arrivare alla bellissima (e mia preferita) Piovono cieli che brilla di un pop particolarmente intenso. Consludo citando Questa crisi finirà dove la crisi è forse quella del cuore. Davvero interessanti questi giovani ragazzi che attraverso sonorità rock molto semplici ed essenziali riescono ad emozionarci. Li attendiamo alla prova in LP. Marco Colombo
I Maniacs presentano Cattive madri, in uscita per l’etichetta Atar e distribuito da Believe. L'intensa attività live si sente parecchio in questo album, sicuramente ben suonato, dove nalla base pop-rock si intercettano venature e richiami che riconducono a gruppi blasonati come come Verdena e Ministri. Questo power trio presenta un sound abbastanza originale che però devo dire non mi ha convinto al cento per cento. I testi sono abbastanza poetici ed onirici: tra i miei pezzi preferiti Aria tipicamente verdeniana, Scivoli via dalla struttura musicale particolarmente compatta. Da citare ancora la titletrack Le cattive madri e Odio. m.c.
Gattamolesta - Vecchio mondo ***
Vecchio mondo dei Gattamolesta è un album godibile e scanzonato cantato in italiano, che mescola sonorità diverse che spaziano dal folk al punk e richiama sicuramente gruppi come i noti Gogol Bordello ma anche i nostrani Ratti della Sabina o Modena City Ramblers. Un disco divertente, fatto di canzoni nelle quali si alternano i ritmi più disparati, dal flamenco ai violini tzigani e dove i testi a volte surreali a volte impegnati ci portano in destinazioni diverse. Le canzoni, composte dall’ispirato frontman Andrea Gatta, sono più ricche di sfumature e con tematiche più varie rispetto al disco d’esordio Czeleste: quello che sorprende davvero è il meltingpop musicale, un mix tra coinvolgimento danzereccio e una poetica particolarmente ispirata nei contenuti, anche se talvolta un po’ surreale.
Come ospiti nell’album, e spesso anche nei debordanti live, ci sono il trombettista Stefano Sceriffo Serafini, il trombonista Marcello Jandu Detti, la violinista Mayumi Suzuki ed il clarinettista Stefano Bertozzi. Tra i brani che mi sono piaciuti di più, L’uomo travolto e il Fantasma di Portopalo. m.c.
Violassenzio - Nel dominio ****
Come ospiti nell’album, e spesso anche nei debordanti live, ci sono il trombettista Stefano Sceriffo Serafini, il trombonista Marcello Jandu Detti, la violinista Mayumi Suzuki ed il clarinettista Stefano Bertozzi. Tra i brani che mi sono piaciuti di più, L’uomo travolto e il Fantasma di Portopalo. m.c.
Violassenzio - Nel dominio ****
Il secondo lavoro dei Violassenzio, di cui avevamo già recensito l’esordio Andrà tutto bene”, si intitola Nel dominio” ed è un album di 14 brani molto convincenti che ci è piaciuto fin dal primo ascolto. Abbiamo iniziato dal singolo Nelle fabbriche, un ottimo brano di presentazione che condensa gli elementi chiavi dell'album, melodie bel costruite, suoni ricercati e grande cura testuale: “Esiste una fabbrica in cui si producono i numeri. Chi controlla i numeri controlla invisibilmente la politica, la storia, l’economia, la scienza e anche le azioni quotidiane di ogni individuo”. L'interessante filo conduttore dei numeri lega tutti i brani in una sorta di concept nel quale vengono affrontati con occhio critico argomenti diversi: dal sociale fino alla politica. La musica invece è un impasto di pop-rock decisamente godibile, con alcune punte di psichedelia (Come un risveglio) e di progressive. Nel dominio è un disco ben prodotto, curato, suonato e registrato per i tipi di Alka record. Tra i miei brani preferiti Rinchiusi in una scatola, Amo chi sogna ed E’ un paese per vecchi dove viene criticata la nostra classe politica. Un secondo disco impegnativo, ma che proprio per questo è piacevole ascoltare. Prova pienamente superata! m.c.
5 giugno 2012
I concerti estivi al tempo della crisi - A Novara arrivano i Modena City Ramblers. Shandon a Oleggio, Derozer a Bogogno, Motel connection a Varallo Pombia... La vicina Vigevano porta Incobus, Garbage, Paul Weller e Lenny Kravitz
Anche i concerti estivi risentono più che mai del
periodo di crisi, quindi quest’anno gli amanti dei Festival e dei grandi nomi
resteranno sicuramente delusi. A Novara è ormai trapelato da alcuni giorni il
nome della band protagonista dell’Estate Novarese, ovvero i Modena City
Ramblers. Sul sito della band la data è fissata per il 12
luglio, in piazza Martiri. I Modena, ormai da anni orfani dello storico leader,
Cisco, riproporranno le atmosfere folkrock che li hanno resi celebri e con un
seguito vastissimo e decisamente trasversale.
La band inoltre torna nel Novarese, dopo che
questo inverno era stata ospite del Phenomenon di Fontaneto d’Agogna, facendo
peraltro registrare un’ottima affluenza di pubblico, nonostante l’ingresso a
pagamento.
Il “concertone” dell’Estate Novarese – il cui
programma lo ricordiamo non è ancora stato svelato – potrebbe quindi far
storcere il naso a qualcuno, abituato ad una proposta più pop e soprattutto più
mainstreem. Attendiamo dunque che il cartellone venga ufficializzato. Ma se
Novara sceglie il combat-folk dei Modena, il territorio va a sua volta in
direzione di una riscoperta dei ritmi punk e ska, che per qualche anno erano
decisamente finiti in oblio.
A Oleggio, Free Tribe si conferma come uno dei
festival che resistono alla crisi: per ora tra le band confermate ci sono gli
Shandon, gruppo skacore protagonista di una reunion che negli scorsi mesi ha
fatto registrare sold out in grandi club di tutta Italia. Saranno sulla pista
di atletica di Oleggio, gratis, il 5 luglio. Ancora da definire il restante
cast, dove, unica cosa certa, ci saranno una miriade di band locali, già
impegnate in queste settimane nelle selezioni pre-festivaliere.
Anche Bogogno sceglie il punk, alla festa della
birra, tradizionale appuntamento con la musica dal vivo di qualità, arrivano i
Derozer, a loro volta protagonisti di una fortunata reunion. Appuntamento la
sera del 22 giugno al campo sportivo. Ingresso gratuito.
A Varallo Pombia, invece, l’evento di punta del
VaralloPop, altro crescente festival del territorio, sarà il concerto dei Motel
Connection, il side project dei Subsonica. Anche in questo caso la band è già
stata più volte ospite in manifestazioni del territorio, ma almeno non in tempi
recentissimi. Appuntamento il 13 luglio.
Ma se il Novarese non brilla per portata di
eventi, cosa succede nelle città limitrofe? Piangono i Biellesi, dove lo
storico Libra Festival quest’anno non si svolgerà, complice la Passione di
Cristo che occupa l’anfiteatro di Sordevolo, ma anche la penuria di fondi da
destinare alla musica. In Valsesia l’Alpàa punta sulla solidarietà oltre che
sui big della canzone italiana. Il comitato organizzatore ha deciso di far
saltare un concerto (quello al Sacro Monte) e devolvere i soldi che sarebbero
stati spesi ai terremotati dell’Emilia. Non solo, i prodotti locali emiliani, a
partire dal Grana Padano, saranno venduti in stand che ospiteranno
gratuitamente le aziende. E intanto si stanno definendo le trattative con i
cantanti che si esibiranno sul palco di piazza Vittorio tra il 13 e il 22
luglio. Al nome di Arisa, che sarà a Varallo per la sera di apertura, si
aggiunge quello di Giorgia, che arriverà il 18 luglio.
Verbania propone nuovamente il concerto di Davide
Van De Sfroos (questo venerdì con ingresso a pagamento all’Arena), un
appuntamento ormai annuale che evidentemente trova uno zoccolo duro di
sostenitori, mentre Vercelli, in questo mese di giugno punta molto sul Jazz Re
Found, ma per il resto dell’estate non ufficializza ancora altri grandi eventi
musicali.
A Vigevano, complice il collaudato accordo con
l’agenzia di booking internazionale Barley Arts, arriveranno gli Incobus (26
gigno) e poi un festival “Dieci giorni suonati” con band di livello mondiale
come Garbage, Paul Weller, Lenny Kravitz e altri ancora, dall’11 al 19 luglio.
Il tutto a pagamento (con prezzi tutt’altro che popolari) nel Castello e con un’organizzazione
pubblico-privata. Varrà la pena fare qualche chilometro…?!
Milano, invece, per gli eventi estivi punta quasi
tutto su una rassegna spalmata su tre mesi nel parco archeologico del
Carroponte a Sesto San Giovanni: in questo contenitore, quasi tutte le sere, si
svolgono concerti, dal cantautore di culto tra i musicisti indipendenti (con
ingresso gratuito per farlo conoscere ad una platea più vasta) fino ai grandi
nomi come Caparezza o Gogol Bordello, per cui si paga un ticket ma sempre a
prezzi piuttosto calmierati. La musica è arricchita con esposizioni, teatro e
danza. Insomma una proposta ibrida per offrire nelle caldi estati milanesi una
proposta culturale costante e sempre attuale.
Roberto Conti
3 giugno 2012
La voce sofferta di John Mayer e il west coast sound: ecco gli ingredienti di Born and raised
A tre anni di distanza da Battle studies e dopo diversi
rinvii è uscito il nuovo lavoro di John Mayer, Born and raised. Quarto album
in carriera per il cantante-chitarrista blues-pop (perché non definirlo così?)
che torna così in scia dopo qualche anno di purgatorio: dopo il grande successo
di Room service è arrivato il bellissimo Continuum, ma il recente Battle studies non ha convinto molto. Con questo disco il 35enne nativo nel
Connecticut (che gli amanti del gossip ricorderanno per essere stato fidanzato
per un breve periodo con Jennifer Aniston!) si risolleva confezionando musica
godibile in cui si sente il profumo dell’America rustica, tra la polvere del
Far West e l’ebbrezza dell’Oceano.
Eppure il nostro non ha passato un periodo semplice.
L’uscita dell’album è stata ritardata di diversi mesi perché Mayer si è dovuto
curare in più circostanze per la presenza di un granuloma accanto alle corde
vocali, tant’è che di recente ha scelto di non fare tournèè finché non risolve
qiesto suo problema. In effetti se si presta attenzione alle canzoni la voce di
Mayer sembra ancora più dolente rispetto al passato, a testimoniare che la sua
salute non è al massimo.
Ciò nonostante Born and raised regala gemme buone per gli
amanti del soft-rock. Queen of California
è un richiamo evidente a Neil Young (“Hello beauty, hello strange
/ Hello wonder, what's your name? / Looking for the sun that Neil Young hung /
After the gold rush of 1971”), il primo singolo Shadows days è una ballata in cui si
intrecciano le sonorità di Ry Cooder con il pathos di Tom Petty. Il Dylan in
piccolo di Speak to me precede il
blues funkeggiante di Something like
Olivia, in cui Mayer ricorda a tutti che Steve Ray Vaughan è stato uno dei
suoi grandi ispiratori chitarristici. La “title track” potrebbe essere
paragonata a uno dei migliori slow di Ben Harper (non a caso si parla di due stili abbastanza
somiglianti, specialmente in questo disco), così come in If I ever get around to living c’è molto del Neil Young intimista.
In
ogni canzone c’è un pezzo di tradizione cantautorale americana, con richiami
addirittura al passato remoto (la tromba in Walt
Grace’s submarine test è eloquente in merito). Chiudono l’album l’armonica
molto springsteeniana in Whiskey, whiskey, whiskey e il country dolente del “reprise” di Born and raised, due esempi che esprimono il quarto lavoro di John
Mayer. E’ il suo disco più acustico in cui le melodie “west coast” e la sua
voce calda e ammaliante fanno da padrone. Nonostante i problemi di salute e i
moltissimi riferimenti ad artisti più che noti, Born and raised sembra un
disco che rifletta tutto quello che è John Mayer: bluesy, sentimentale e furbo
quel che basti. Un autoritratto intimista e totalmente fedele a sé stesso
nell’attesa che guarisca completamente alle corde vocali: meglio conservarle
con cura considerando la voce che ha… Marco Pagliari
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