23 ottobre 2011

'Ascolti emergenti' di ottobre



Aim - We are sailing *****
Gli Aim sono una delle realtà più promettenti del panorama indipendente italiano. E non lo dico come semplice frase fatta. Dal vivo hanno un tiro che appartiene a poche band, sono coinvolgenti ed hanno buona originalità. Con We are sailing propongono un secondo disco che abbina brani in inglese ad altri cantati in itaiano: sono questi ultimi ad offrire, all'ascolto su supporto, le migliori suggestioni. Il nemico in casa, ad esempio, credo sia la canzone migliore del disco: un brano piuttosto psichedelico, dove la voce pare trattenuta e dove la musica abbina una batteria ritmata e carica di percussioni ad una chitarra che sa regalare aperture emozionanti. Altri brani hanno una matrice più "ballabile" a tratti vagamente elettronica, come Reverse, altro brano che mi è davvero piaciuto. Credo che il terzetto milanese possa crescere decisamente sull'aspetto della composizione testuale, quello musicale e degli arrangiamenti dà segni di grande maturità e di un background di ascolti davvero corposo. E' un disco che mi sento di consigliare senza tentennamenti. Teneteli d'occhio, potrebbero essere un nuovo fenomeno italiano (perchè in Europa naturalmente li conoscono già). r.co.


Heavenenum - Finchè il mio veleno non ti ucciderà **
Il progetto Heavenenum nasce nel 2005 con l’intento principale di delineare un percorso artistico dal carattere fortemente identitario sia dal punto di vista musicale che visivo. Il costrutto musicale che ne deriva è altalenante tra cupe atmosfere ed episodi di maggiore impatto e violenza dove la voce, in contrapposizione all'incalzante muro sonoro, finisce per assecondarne il ritmo. L’antitesi quindi, quale chiave di lettura, viene rievocata anche nel nome della band, unione delle parole heaven e venenum, paradiso e veleno. In questo album dal titolo evocativo “Finchè il mio veleno non ti ucciderà” sonorità rock, hard rock e metal (talvolta anche gothic) la fanno da padroni, accanto a testi in italiano. Prodotto dalla Alkamist Fanatix Europe, il disco risulta ben suonato e spicca la voce della cantante Evelyn talvolta molto potente, delicata in altri momenti. Tra le mie preferite La Bocca del Vigliacco, Verità e Inermi.
Marco Colombo



Gianluca Capozzi - E poi arrivi tu **
Abbiamo ascoltato questo lavoro di Gianluca Capozzi, cantante neo melodico che pubblica questo suo sesto album. Ha cominciato nel 1998, conquistandosi prima l'hinterland napoletano per poi cercare di procedere passo dopo passo anche verso il mercato italiano. Il sound è quello del nuovo neo melodico ma ammicca molto ad un pop commerciale quasi alla Nek o alla Ramazzotti. I testi spaziano dalla voglia di libertà, l'amore, l’amicizia: insomma i soliti temi che troviamo in centinaia di canzoni, ma non brillano come valore poetico. Il disco è discreto dal punto di vista musicale ma poco incisivo nei contenuti, l'ideale per piacere ad un pubblico popolare. Personalmente, non mi ha entusiasmato particolarmente. m.c.



No Braio - No Usa No Uk ***
E’ sempre un piacere ascoltare un disco dei No Braino. Questo No Usa, No Uk uscito per Martelabel è un album davvero originale come lo sono loro.
Prodotto da Giorgio Canali, ci troviamo di fronte a un disco prettamente rock, molto ruvido, anche chitarristicamente parlando, ma nello stesso tempo molto fine ed originale. E così si passa dal tango di Grand Hotel alla bossa di Western Bossa, alla grande musicalità di Narcisisti Misti, al rock nello stile più tipico della band di Titti di più e La Signora Gualdalmar fino al demenziale con Chi me l’ha fatto fare e In ogni Caserma.
Questo lavoro appare suonato davvero bene, anche perché i No Braino hanno l'abitudine di suonare gli inediti dell album che devono ancora registrare prima nei live e il risultato di questo affiatamento si sente. Originali e anticonformisti. m.c.

19 ottobre 2011

Brunori ai raggi X: cercansi identità e nuove battute per i live

Il primo album targato Brunori Sas era formato da nove canzoni. Una era una cover. Sette delle restanti otto parlavano di Dario Brunori: all’epoca pur sempre un semi-sconosciuto, infatti in pochi avevano fino ad ora sentito parlare dell'esperienza con i Blume.
Ma il cantante aveva personalità ed il pubblico sembrava gradire. D’altronde, non fosse stato più che convinto dei propri mezzi, e non avesse avuto anche un pizzico di sfrontatezza, probabilmente non sarebbe mai uscito dall’anonimato della provincia cosentina.
Correva l’anno 2009. Giungevano in rapida successione il Premio Ciampi ed il Premio Tenco: il ragazzo prometteva bene e una volta tanto i premi facevano il loro dovere di segnalatori, cosa che come sappiamo non sempre accade. Vol. 1 si proponeva come un ottimo disco, e lentamente convinceva un mumero sempre maggiore di ascoltatori della bontà del progetto musicale di Dario. Un esempio: al MiAmi di due anni fa, confinato su un palco defilato, richiamava il modaiolissimo e disattento pubblico milanese, sfilando la scena ai quotati Perturbazione...
Nel 2011 Brunori ci riprova con Vol. 2 – poveri cristi. 10 canzoni, delle quali l’unica vagamente autobiografica si trova a metà dell’album ed è intitolata La mosca. Narra del cantautore che viene distratto dal volo di un insetto mentre sta buttando giù le parole di una canzone che parla di una sposa (Rosa, altra canzone dell’album, accompagnata peraltro da un divertentissimo videoclip). Ai concerti il pubblico aumenta notevolmente: a tutti fa piacere sentir cantare di poveri cristi, cioè persone in cerca di riscatto che però al momento se la passano male. E’ inevitabile che scatti l’identificazione. Arriva subito anche il Premio Italiano Musica Indipendente per il miglior live (e dire che un tempo i Premi importanti erano altri...).
Ora una nota personale: la prima volta da spettatori ad un live di Brunori è un’esperienza effettivamente nuova. Sembra di assistere ad uno spettacolo di cabaret piuttosto che ad un concerto di musica leggera. Dario, dotato di un umorismo brillante, sembra anche piuttosto umile: non manca mai di introdurre le proprie canzoni in maniera modesta. “Ci fanno suonare per ultimi perché così, durante il nostro concerto, la gente inizia ad andarsene e quando è ora di chiudere non c’è più nessuno”, “La prossima canzone è di una noia mortale, potete andarvene a casa a dormire se volete”, ed altre frasi di questo genere. Il pubblico è estremamente variegato: anche in locali e festival tendenzialmente giovanili, è facile incontrare gente in età avanzata, segno che la sua non è musica per bambini. E’ semplice capire perché: le melodie sono orecchiabili e tutto ciò che Brunori suona dal vivo sa di già sentito. La vocalità del cantautore è quella di Rino Gaetano. Non solo le assomiglia: è volutamente identica. Sempre a Rino Gaetano si possono ricondurre alcune melodie delle canzoni, così come a De Gregori, Bennato, Ivan Graziani, Lucio Battisti (del quale Brunori esegue spesso dal vivo Insieme a te sto bene). Perfino Vasco Rossi. Quel bistrattato Vasco Rossi che nel 2011 ha fatto di tutto per essere odiato dal suo stesso pubblico. Eppure praticamente ogni ritornello di Brunori è un richiamo al Vasco cantautore dei primi tre album, prima che rincitrullisse (non noto significative variazioni nella qualità della musica di Vasco a parte i limiti fisici imposti dall'età e dall'halzehimer, nota dell'impaginatore); Na na na compresi, sui quali Brunori ha costruito perfino una canzone: Nanà per l’appunto. Con tutti questi richiami ad un passato musicale italiano agrodolce, e con la sua bravura mascherata da umiltà, Brunori sembra piacere proprio a tutti.
Dopo l’impatto iniziale, notevole, tuttavia si iniziano ad intravedere i limiti del progetto Brunori Sas. La seconda volta da spettatori dal vivo, è facile notare che le frasi introduttive rimangono esattamente le stesse: evidentemente erano state studiate a tavolino per proporre qualcosa di volutamente diverso, a parole, dove la musica non poteva arrivare. Ed ecco che assistere al concerto diventa un po' una noia... Anche l’ascolto ripetuto dei dischi a questo punto si rivela deludente. E ci si accorge che i testi che fanno leva su un forte trasporto emotivo vanno bene, ma che musicalmente non ci sono poi cose così interessanti... A parte il furbo utilizzo della seconda voce femminile, non essendoci elementi di innovazione si ricorre troppo spesso alle citazioni da da altri cantautori, e quando finiscono pure quelle, si cade nel pop contemporaneo che strizza l'occhio ad esperienze evitabili come Tiromancino o Zero Assoluto.
Detto ciò, è ormai palese che Dario Brunori non abbia nessuna intenzione di tornare a fare il ragioniere a Guardia Piemontese (che a dispetto del nome si trova in Calabria). Ed è giusto che sia così, perché è un ragazzo intelligente e motivato, che dovrebbe riuscire a fare un passo in più ovvero disfarsi della pesante eredità di Rino Gaetano per maturare un'identità più personale. Non solo con le parole, con le quali è fin troppo abile, ma anche con la musica. Marco Maresca

17 ottobre 2011

Gli enigmatici giochi di parole di Dente, il cantautore sulla bocca di tutti (come un herpes)

Molti lo definiscono il cantautore del momento. Tra meriti e mode Giuseppe Peveri, in arte Dente, arriva al quarto disco (in realtà il terzo più due ep). Io tra di noi è un album dal sapore intimista che riprende la tradizione pop-cantautorale italiana. Ci sono molti richiami dal passato (Battisti su tutti) ad evidenziare quanto l’artista di Fidenza (ormai Milanese di adozione) sia legato ai cantautori nostrani, anche se il risultato di questo lavoro di “traid d’union” con la tradizione non è sempre entusiasmante. Entrando nel vivo del disco, troviamo brani come Piccolo destino ridicolo che racconta come nascono le relazioni che spesso proseguono nella noia e nell’infelicità (“Più che il destino / è stata l'adsl / che vi ha unito / e poi / milioni di migliaia di km”); ci sono l’intimismo casalingo e i suoni onomatopeici a caratterizzare Saldato e Casa tua, esemplare del Dente-pensiero, gioca su visioni pittoresche “disegnate” per raccontare emozioni legate ai ricordi. L’album prosegue con canzoni in cui s'intrecciano il sentimentalismo con il manierismo narrativo (Da Varese a quel paese, Rette parallele): una caratteristica che cantautori come Lucio Battisti e Francesco De Gregori hanno fatto loro punto forte, ma che Dente non riesce ad uguagliare. I testi sono eccessivamente ricercati e non attirano grandi attenzioni. Inoltre le musiche suonano stanche e fin troppo “soft”: i richiami alla canzone d’autore italiana anni ’70 ci stanno, ma l’atmosfera così intimista e “malinconica” causa l’indebolimento del suono nel suo complesso, nonostante l'arrangiamento più ricco rispetto ai dischi precedenti che avevano una magra ossatura chitarra e voce, qui abbiamo archi e varie magnificenze... Il mondo musicale di oggi viaggia frenetico ed è ricco di novità, Dente è rimasto fermo al palo e il suo passo è più lento che mai... Ed è per questo che le sue canzoni non convincono e i suoi giochi di parole diventati più forbiti e "raffinati" non divertono (più) e causano solo molta noia. Detto questo il dico avrà successo e ai concerti ci sarà il pienone.
Marco Pagliari

13 ottobre 2011

The Vaselines: Sex with an X è un gradito ritorno...

Due EP ed un album sul finire degli anni ottanta, e poi oltre vent’anni di silenzio. E pensare che i Vaselines erano il gruppo che aveva ispirato Kurt Cobain e i suoi Nirvana. Ebbene, dopo tutti questi anni la band scozzese è tornata in attività (già da un annetto a dire il vero) con un album per la Sub Pop, intitolato Sex with an X. Perché ci hanno riprovato proprio adesso? Forse perché adesso per il loro tipo di musica c’è spazio. Basti notare che in questo album vogliono assomigliare proprio a gruppi che probabilmente ai Vaselines vorrebbero assomigliare a loro volta. Stranezze della vita, ma dobbiamo prenderli così. Un pizzico di originalità in meno rispetto a vent’anni fa ma tanta raffinatezza pop in più. Voce femminile molto piacevole e voce maschile che spesso si sovrappongono sullo stesso cantato e altre volte si alternano, come fanno anche The XX o Arcade Fire, che ora vanno di moda. Basti ascoltare Overweight But Over You o Exit The Vaselines. Oppure melodie semplici con un tocco di country e potenti assoli di chitarra distorta, sullo stile dei White Stripes (Sex with an X e My god’s bigger than your god). Il tutto ambientato in un’atmosfera post grunge con sonorità che spesso ricalcano proprio i Nirvana precedentemente nominati (Ruined e The Devil’s Inside Me). Questo lavoro dei Vaselines ricorda in alcuni momenti anche altre perle dell’indie quali Lush (Whitechapel), Moldy Peaches (Mouth To Mouth), addirittura Pixies (Poison Pen e I Hate The 80s, quest’ultimo forse il pezzo migliore dell’album), e quant’altro possa avere a che fare con shoegaze, post punk, post grunge con donna e uomo che si alternano alla voce. C’è spazio anche per un po’ di psichedelia anni ’60 in stile Jefferson Airplane o Velvet Underground (Such a fool e Turning It On). Insomma un po’ di tutto ma con pochissimo spazio per il rumore e la confusione. Ottenere un disco di facile ascolto dall’inizio alla fine da una band che è stata tra i precursori di tutto ciò che è alternativo? I Vaselines dopo vent’anni ci sono riusciti. Con un pizzico di monotonia (peraltro giustificata) sulla lunga durata.
Marco Maresca

11 ottobre 2011

I Kasabian puntano con Velociraptor al disco rock dell'anno, sarà davvero così?

Attenti! Il Velociraptor è sulle vostre tracce, lo spazio di tre ascolti e sentirete il suo fiato sul collo. Non cercate di sfuggirgli perché ne sarete totalmente rapiti, non c’è nessuna di via di fuga.
Una perfetta miscela tra techno, rock, i polizieschi anni ’70, visioni orientaleggianti e, questa volta, un occhio di riguardo per melodie un po’ più pop e orecchiabili.
Il disco apre con Let’s roll just like we used to, titolo azzeccatissimo e perfetto riassunto di quello che sono diventati i Kasabian. Ma la vera prima bomba è l’attuale singolo Days are forgotten che si propone come il nuovo inno della band di Leicester. In tutto il lavoro si tira pochissimo il freno e gli unici momenti più rilassati, insieme alla conclusiva Noen noon, sono Goodbye kiss, ballata prettamente acustica con i Beatles sponda Lennon nel cuore e la strascicata La fee vert che profuma di Parigi e di belle epoque.
Ma non c’è tempo per rilassarsi perché c’è l’urgenza della titletrack del disco, una raffica elettronico-acida di tre minuti tiratissimi, mentre nella visionaria Acid Turkish bath sembrano quasi tornare i Led Zeppelin di Kashmir.
Una sorta di Elettro-pop allucinato invece per I Hear Voices. E a seguire Re-Wired che ricalca le orme della precedente ma con un tono sfrontato e arrogante e la consapevolezza di essere la migliore traccia del disco.
Switchablade smiles sembra atterrare dal pianeta Prodigy, una botta di distorsioni, elettronica, voci… uno strato su strato pronto a sfondare le casse dello stereo. Intervalla questo terzetto Man of simple pleasures che ci ricorda la vena “western” della band.
Velociraptor! non è certo il disco che cambierà le vostre vite (al contrario di quanto affermato da Tom Meighan), è il naturale prosieguo del precedente West ryder Pauper lunatic asylum. Il disco ha una propria personalità un’attitudine ben precisa e un’anima mutevole ma che ha sempre ben a fuoco le proprie basi e mantiene il proprio marchio di fabbrica scrollandosi di dosso tutte le etichette di successori di Primal Scream e Oasis. Un altro importante tassello verso il tanto agognato disco “definitivo”?
Daniele Bertozzi

8 ottobre 2011

Torna in grande spolvero il pop dei Numero6

Interessante ritorno quello dei Numero 6, che con I love you fortissimo rispolverano il pop scanzonato delle origini, quello che li aveva fatti conoscere al grande pubblico con pezzi orecchiabilissimi come Le parole giuste. I love you fortissimo è il quarto album della band genovese e arriva dopo anni ricchi di collaborazioni (celebri i reading con Enrico Brizzi) e di sperimentazioni, come fu per l'ep Quando arriva la gente si sente meglio che conteneva il celebre duetto con Bonnie prince Billy Da piccolissimi pezzi.
In alcuni passaggi di questo nuovo disco ci sono richiami ai primi R.E.M., quando incidevano ancora per l’etichetta indipendente I.R.S., o ai Baustelle lessicalmente meno arzigogolati. Con 200 mg il disco inizia con un’esaltazione all’iperattività. Poi è il turno del singolo Maledetta, costruito su ritmi jazz-carairibici e sull’alternarsi di chitarre e fiati. Il regno dei no è un inno alla frustrazione per il lavoro precario. I temi sono la ribellione, la rabbia, la sofferenza… pur cantati con moderazione moderazione e allegria. Il pensiero che può riassumere I love you fortissimo si può rintracciare nelle strofe di Il personaggio, uno dei brani più riusciti dell’album: “scherzo ma so di non esser così lontano dalla realtà / una realtà che mi fa sorridere /scherzo ma so di non esser così lontano dalla realtà / la verità è che non ne posso più”.
Distaccarsi dal mondo perché stufi delle amarezze, questo è il messaggio ricorrente nell’ultimo lavoro dei Numero 6. La ballata Più di un’esigenza sottolinea ancora una volta il desiderio di evadere dalle ostilità, caratterizzate anche dalla difficoltà nel mantenere legami stabili con l’altro sesso. Chiude l’album La purezza di Veronica, un rock d’autore in cui le riflessioni vengono distrutte dalla cruda realtà, in cui domina la frenesia e il materialismo (esemplare l’ultima strofa: “la tristezza di Veronica / è sparita come i guerriglieri in Sudamerica / quando urlare è inutile / neuroni senza dignità in coda per l'I-pad”). I love you fortissimo è un lavoro ben impostato in cui il pop torna a farla da padrone dopo anni di esperienze e sperimentazioni.
Marco Pagliari

3 ottobre 2011

Bugo torna alle prese con amore e miopia

Dopo un po' di silenzio torna Bugo con Nuovi rimedi per la miopia. Stavolta c’è da dire che ci troviamo di fronte ad un album maturo, ben prodotto, e con alcuni potenziali singoli che molto probabilmente troveranno spazio anche in qualche radio importante, grazie alla sicura promozione garantita dalla Universal. Ecco una radiografia del disco traccia per traccia.
Non ho tempo – La prima canzone è frenetica e piena di suoni distorti. Un Bugo particolarmente affannato ed urlante dichiara “Non ho tempo di capire se sono un po’ felice, ma vediamo il mio orologio cosa dice” e “Non ho tempo per cenare, posso solo assaggiare”. Un Bugo “miope” perché non riesce più a vedere le cose con profondità, che però andando avanti nell’album tenterà di spiegarci la cura.
E ora respiro – Il secondo brano è quasi opposto al primo. “Ho saltato il recinto e sono fuggito, sono in viaggio e torna sul mio volto quello che mi hanno tolto, il mio sorriso, e ora respiro”. Un brano rilassato, solare. Nutro qualche dubbio sul ritornello, un giro già sentito e risentito, e rimango un po’ stupito perché non sono abituato ad un Bugo così felice di vivere. Cosa gli sarà successo?
I miei occhi vedono – Prevedo un po’ di promozione radiofonica per questo primo singolo. Una canzone bella, romantica, matura. Un brano fortemente radiofonico, il cui ritornello contiene un verso sicuramente minimale, ma molto più profondo di quanto Bugo non voglia far credere. “Ora i miei occhi vedono, perché vedono te”. Finalmente svelato l’arcano: ecco la cura per la miopia secondo Bugo.
Mattino – E’ impossibile togliersi dalla testa questa canzone contornata di vari rumori di sveglie. E’ martellante, allegra fino a risultare un po’ irritante, ma nonostante ciò simpatica. Il brano narra di un Bugo mattiniero che si diverte a svegliare la sua dolce metà perché “Il sonno ce l’ho anch’io, ma il mattino è qui con noi”.
Il sangue mi fa vento – Una canzone da viaggio e sul viaggio. Un brano riflessivo, un ipotetico confronto con un finale un po’ triste, tra un uomo e una donna che a causa dei loro stili di vita non possono stare insieme. Il primo vuole partire ma non sa dove andare e soprattutto non vuole andarci piano, “Corro sempre e non rallento, il sangue mi fa vento”. Quando l’uomo crede di aver trovato la sua destinazione ed un po’ di tranquillità, è la donna a volersene andare: “Stare ferma è la mia rovina, non le senti le mie grida?”.
La salita – Una specie di “sequel” di una canzone precedente, “Amore mio infinito” (ricordate il duetto con Violante Placido?) con la differenza che adesso Bugo è contento di percorrere la salita anche se si lamenta sempre un po’. “Cammino piegato in avanti, faccio la salita, che gran fatica”.
In pieno stile 2000 – L’allegria e la frenesia dei primi brani dell’album lasciano spazio all’introspezione e ad un po’ di ansie. “Mi sto consumando, non so come andrà a finire ma so come sta cominciando”.
Comunque io voglio te – La mia traccia preferita dell’album. Un pop raffinato con un bellissimo crescendo rock finale. Guarire dalla miopia significa anche saper vedere oltre le apparenze. “Anche se è vero che non posso più vivere come prima che arrivassi tu, anche se ti sembra che non sia così, comunque io voglio te”. Una canzone d’amore genuina.
Lamentazione Nr. 322 – Una specie di preghiera contornata da un’elettronica pesante. Bugo è sul balcone col suo sigaro in bocca, e alza il volto al cielo. “Io ti sto chiedendo aiuto, io grido a te ma non rispondi, insisto ma non mi dai retta”.
Città cadavere – Una ballata che sembra un sottofondo da film western. “Io non so cosa è successo, attorno a me solo rovina, me ne vado, questa non è la mia fine”. Un po’ di sano realismo e di dura realtà in un album tutto sommato solare e concitato.
Si conclude così un album che mescola sapientemente elettronica e pop, in modo più bilanciato rispetto al precedente disco Contatti. Ansie, introspezioni, delusioni si mischiano con allegria, romanticismo e voglia di vivere. Un Bugo maturo e pronto per un vasto pubblico.
Marco Maresca