Estate tempo di sagre e di feste della birra. Nel Novarese, tra i tanti eventi di questo tipo, ben pochi si segnalano per una programmazione musicale di qualità che vada oltre le band locali o i soliti inflazionatissimi tributi. Due esempi in questa direzione, in programma nei prossimi giorni, sono la Festa della birra di Bogogno e il FreeTribe di Oleggio, manifestazione che anno dopo anno è riuscita a ritagliarsi un seguito crescente.
Partiamo da Bogogno, dove la musica (tutta ad ingresso rigorosamente gratuito) inizierà a suonare venerdì 24 giugno con una serata dedicata al punk italiano che vedrà sul palco due formazioni di primo piano come Gerson e Cattive Abitudini (ex Peter Punk). Sabato sera, sarà invece la volta della promettentissima cantante rock made in Borgomanero, Kali, che merita sicuramente un ascolto attento; prima di lei Officina Finisterè cui spetterà il compito di scaldare l’atmosfera.
Domenica sera, 26 giugno, è forse la serata musicalmente più interessante, con il gruppo folk-rock più interessante degli ultimi tempi, ovvero i siciliani “Il pan del diavolo”: pur essendo solo in due, Alessandro Alosi e Gianluca Bartolo, sono in grado con le loro chitarre, l’armonica e la gran cassa suonata contemporaneamente alla chitarra di creare momenti di grande carica musicale. Energia del sud anche con l’altro gruppo in programma, i campani A Toy Orchestra, band indie rock capace di muoversi su un impasto sonoro molto variegato, da un pop-rock intimista di estrazione sixties/seventies di scuola british ad un ambito psichedelico sempre con melodie forti e malinconiche. L’ingresso a tutte le serate dove è attivo un succulento servizio ristorazione è rigorosamente libero.
La settimana successiva la musica dal vivo di qualità si sposta alla pista di atletica di Oleggio al FreeTribe (anche in questo caso tutto gratuito): si parte giovedì 30 con Casino Royale ed in apertura i novaresi Eva’s Milk; venerdì sera spazio al pop-rock dei Perturbazione, in apertura i Kamaus e Carlozeta cantautore novarese che presenterà in anteprima i brani del suo ultimo disco che vede proprio la produzione artistica di Gigi Giancursi dei Perturbazione; sabato serata finale con il reggae dei Franziska, in apertura In Vino Veritas e il dj set della crew Novarasta. I concerti hanno inizio alle 21. r.co.
20 giugno 2011
Festival estivi in zona - Traffic Festival, De Gregori guida una carica di cantautori nel mega evento gratuito di Torino
E' in centro, è gratuito e offre ottima musica. Tre buoni motivi per andare al Traffic Festival, che dal 5 al 10 luglio animerà piazza San Carlo a Torino. L'ottava edizione tra l'altro coincide anche con le celebrazioni dei 150 anni dell'Unità d'Italia e sarà a 'chilometro zero'.
Niente star d’importazione, questa volta, piuttosto tutta roba fatta in casa, puro “Made in Italy”, dal più agé al più giovane, con un occhio al portafoglio. I direttori artistici Max Casacci, Alberto Campo, Fabrizio Gargarone, hanno pensato per l’apertura al principe Francesco De Gregori, uno dei padri nobili del cantautorato italiano. Abbandonata alle biografie l’avventura con Lucio Dalla, sarà lui ad aprire la kermesse che torna in città dopo la non troppo fortunata esperienza alla Venaria reale. Oltre a De Gregori (si vocifera che al festival potrebbe finalmente proporre un inedito) è in programma un vero e proprio confronto generazionale tra cantautori. Ci si potrà tranquillamente muovere a piedi insomma, da una location all'altra: cuore di tutta la manifestazione sarà il main stage, dove si esibiranno le stelle della musica nazionale di ieri, oggi e domani. Si va da Francesco De Gregori, come detto, a Cristina Donà e Le Luci della Centrale Elettrica, passando per Edoardo Bennato, Pierpaolo Capovilla, Verdena e Tre Allegri Ragazzi Morti.
Imperdibile poi 'Traffic Cinema': oltre alle pellicole che raccontano momenti della storia e della cultura nostrane, ci saranno gli Offlaga Disco Pax, chiamati a cimentarsi con "I Mille" di Alberto Degli Abbati, primo lungometraggio dedicato all'epopea garibaldina.
Ma ecco il programma nel dettaglio. Martedì 5 luglio, alle 18 inaugurazione della mostra delle opere di Mimmo Paladino, Andrea Pazienza e Mario Schifano (Accademia Albertina delle Belle Arti); alle party inaugurale (Museo Regionale di Scienze Naturali).
Mercoledì 6 luglio, alle 21, Traffic Soundtraxx: Offlaga Disco Pax vs I Mille (Cinema Massimo, sala Uno); alle 24 Torino Style: sfilata di Gaia Audino e Diletta (Museo Regionale di Scienze Naturali); alle 00.30 Tacuma (Museo Regionale di Scienze Naturali). Giovedì 7 luglio, alle 16.30 Storie di un'altra Italia (Cinema Massimo, sala Tre); alle 18 Favole italiane: Giorgio Gaber: Morgan vs Guido Harari e Cesare Vaciago (Circolo dei Lettori); alle 20.30 l’atteso concerto con Francesco De Gregori, Le Luci della Centrale Elettrica, Cristina Donà, Esma (piazza San Carlo); alle 00.30 Torino Style: sfilata di Autopsie Vestimentarie (Museo Regionale di Scienze Naturali); 01.00 Traffic by Night: Riva Starr (Museo Regionale di Scienze Naturali). Venerdì 8 luglio alle 16.30 Storie di un'altra Italia (Cinema Massimo, sala Tre), 18 Favole italiane: Frigidaire Achille Bonito Oliva vs Vincenzo Sparagna (Circolo dei Lettori); alle 21 concerto di Edoardo Bennato, Il Teatro degli Orrori, Tre Allegri Ragazzi Morti (piazza San Carlo). Sabato 9 luglio, alle 16.30 Storie di un'altra Italia (Cinema Massimo, sala Tre), alle 18 Favole italiane: Re Nudo Matteo Guarnaccia vs Majid Valcarenghi (Circolo dei Lettori), alle 21 concerto di PFM, Verdena, Stearica (piazza San Carlo). Domenica 10 luglio alle 19.30 concerto di chiusura, Mondo Cramps: Area (guest Manuel Agnelli), Eugenio Finardi, Claudio Rocchi, Arti e Mestieri (piazza San Carlo). Roberto Conti
Niente star d’importazione, questa volta, piuttosto tutta roba fatta in casa, puro “Made in Italy”, dal più agé al più giovane, con un occhio al portafoglio. I direttori artistici Max Casacci, Alberto Campo, Fabrizio Gargarone, hanno pensato per l’apertura al principe Francesco De Gregori, uno dei padri nobili del cantautorato italiano. Abbandonata alle biografie l’avventura con Lucio Dalla, sarà lui ad aprire la kermesse che torna in città dopo la non troppo fortunata esperienza alla Venaria reale. Oltre a De Gregori (si vocifera che al festival potrebbe finalmente proporre un inedito) è in programma un vero e proprio confronto generazionale tra cantautori. Ci si potrà tranquillamente muovere a piedi insomma, da una location all'altra: cuore di tutta la manifestazione sarà il main stage, dove si esibiranno le stelle della musica nazionale di ieri, oggi e domani. Si va da Francesco De Gregori, come detto, a Cristina Donà e Le Luci della Centrale Elettrica, passando per Edoardo Bennato, Pierpaolo Capovilla, Verdena e Tre Allegri Ragazzi Morti.
Imperdibile poi 'Traffic Cinema': oltre alle pellicole che raccontano momenti della storia e della cultura nostrane, ci saranno gli Offlaga Disco Pax, chiamati a cimentarsi con "I Mille" di Alberto Degli Abbati, primo lungometraggio dedicato all'epopea garibaldina.
Ma ecco il programma nel dettaglio. Martedì 5 luglio, alle 18 inaugurazione della mostra delle opere di Mimmo Paladino, Andrea Pazienza e Mario Schifano (Accademia Albertina delle Belle Arti); alle party inaugurale (Museo Regionale di Scienze Naturali).
Mercoledì 6 luglio, alle 21, Traffic Soundtraxx: Offlaga Disco Pax vs I Mille (Cinema Massimo, sala Uno); alle 24 Torino Style: sfilata di Gaia Audino e Diletta (Museo Regionale di Scienze Naturali); alle 00.30 Tacuma (Museo Regionale di Scienze Naturali). Giovedì 7 luglio, alle 16.30 Storie di un'altra Italia (Cinema Massimo, sala Tre); alle 18 Favole italiane: Giorgio Gaber: Morgan vs Guido Harari e Cesare Vaciago (Circolo dei Lettori); alle 20.30 l’atteso concerto con Francesco De Gregori, Le Luci della Centrale Elettrica, Cristina Donà, Esma (piazza San Carlo); alle 00.30 Torino Style: sfilata di Autopsie Vestimentarie (Museo Regionale di Scienze Naturali); 01.00 Traffic by Night: Riva Starr (Museo Regionale di Scienze Naturali). Venerdì 8 luglio alle 16.30 Storie di un'altra Italia (Cinema Massimo, sala Tre), 18 Favole italiane: Frigidaire Achille Bonito Oliva vs Vincenzo Sparagna (Circolo dei Lettori); alle 21 concerto di Edoardo Bennato, Il Teatro degli Orrori, Tre Allegri Ragazzi Morti (piazza San Carlo). Sabato 9 luglio, alle 16.30 Storie di un'altra Italia (Cinema Massimo, sala Tre), alle 18 Favole italiane: Re Nudo Matteo Guarnaccia vs Majid Valcarenghi (Circolo dei Lettori), alle 21 concerto di PFM, Verdena, Stearica (piazza San Carlo). Domenica 10 luglio alle 19.30 concerto di chiusura, Mondo Cramps: Area (guest Manuel Agnelli), Eugenio Finardi, Claudio Rocchi, Arti e Mestieri (piazza San Carlo). Roberto Conti
Festival estivi in zona - Mtv day a Torino punta sull'italian style
Per il secondo anno consecutivo Torino ospita gli MTV Days, grande festa della musica che la rete insieme a Regione, Comune e a Esperienza Italia 150 organizza dal 30 giugno al 2 luglio in Piazza Castello. Uno show tutto italiano, senza ospiti stranieri e per questo, dice il direttore artistico Luca De Gennaro, «forse il più importante festival di musica del nostro Paese». Concerti, incontri, dibattiti, screening permetteranno al pubblico di vivere dentro la musica scoprendone gli anfratti più nascosti. I presentatori saranno i volti più importanti e riconoscibili di MTV partendo dai «Soliti Idioti» Francesco Mandelli il Nongio e Fabrizio Biggio, Valentina Correani e Pif.
Il 30 giugno e il 1° luglio saranno dedicati a conferenze e dibattiti per permettere un contatto diretto con gli artisti nelle aule dell’Università di Torino. A inaugurare sarà Giorgia, mentre Alex Britti per la chitarra e Mario Riso per la batteria animeranno i clinic sui loro strumenti di elezione. A Niccolò Agliardi è stato affidato il panel sulla stesura del testo di una canzone ma anche J-Ax e il dj/cantante Alessio Bertallot parteciperanno ai dibattiti sulla musica digitale. Noemi e il produttore di Max Pezzali Pierpaolo Peroni discuteranno sul futuro dei talent show mentre i promoter Carlo Pastore, Claudio Trotta e Alberto Campo si occuperanno dello stato dei festival musicali nel nostro paese. Max Pezzali, Franco Godi e Walter Fontana parleranno della musica in tv attraverso cartoon, pubblicità e sigle mentre Alessandro Gaetano, nipote del grande Rino, parteciperà a un panel sull’influenza che il cantautore scomparso ha avuto sulle nuove generazioni. Le serate dell’1, 2 e 3 luglio saranno dedicate ai grandi concerti live di piazza Castello. Giovedì Noemi, Marracash, Club Dogo, Modà, J-Ax e Max Pezzali. Venerdì Aprés la classe, Cristina Donà, Mauro Ermanno Giovanardi, Casino Royale, Niccolò Fabi e Caparezza. Sabato Ministri, i ritrovati Planet Funk con un nuovo disco e nuovo cantante, Daniele Silvestri e Subsonica. Max Casacci e Boosta dicono che sarà l’unico concerto della band a Torino. Una data free regalata alla loro città . I finalisti del progetto MTV New Generation saranno gli opening act per le serate del 30 giugno e 1° luglio. Fra questi Dargen D’Amico, BoomDaBash, Caponord e Erica Mop. MTV trasmetterà i concerti e il meglio delle giornate degli MTV Days a partire dalle 21 e con un giorno di ritardo rispetto all’evento live. r.co.
Il 30 giugno e il 1° luglio saranno dedicati a conferenze e dibattiti per permettere un contatto diretto con gli artisti nelle aule dell’Università di Torino. A inaugurare sarà Giorgia, mentre Alex Britti per la chitarra e Mario Riso per la batteria animeranno i clinic sui loro strumenti di elezione. A Niccolò Agliardi è stato affidato il panel sulla stesura del testo di una canzone ma anche J-Ax e il dj/cantante Alessio Bertallot parteciperanno ai dibattiti sulla musica digitale. Noemi e il produttore di Max Pezzali Pierpaolo Peroni discuteranno sul futuro dei talent show mentre i promoter Carlo Pastore, Claudio Trotta e Alberto Campo si occuperanno dello stato dei festival musicali nel nostro paese. Max Pezzali, Franco Godi e Walter Fontana parleranno della musica in tv attraverso cartoon, pubblicità e sigle mentre Alessandro Gaetano, nipote del grande Rino, parteciperà a un panel sull’influenza che il cantautore scomparso ha avuto sulle nuove generazioni. Le serate dell’1, 2 e 3 luglio saranno dedicate ai grandi concerti live di piazza Castello. Giovedì Noemi, Marracash, Club Dogo, Modà, J-Ax e Max Pezzali. Venerdì Aprés la classe, Cristina Donà, Mauro Ermanno Giovanardi, Casino Royale, Niccolò Fabi e Caparezza. Sabato Ministri, i ritrovati Planet Funk con un nuovo disco e nuovo cantante, Daniele Silvestri e Subsonica. Max Casacci e Boosta dicono che sarà l’unico concerto della band a Torino. Una data free regalata alla loro città . I finalisti del progetto MTV New Generation saranno gli opening act per le serate del 30 giugno e 1° luglio. Fra questi Dargen D’Amico, BoomDaBash, Caponord e Erica Mop. MTV trasmetterà i concerti e il meglio delle giornate degli MTV Days a partire dalle 21 e con un giorno di ritardo rispetto all’evento live. r.co.
14 giugno 2011
Festival estivi in zona - Dai Primus a Kaki King, ecco tutti i protagonisti di "Dieci giorni suonati" a Vigevano
I Primus, geniale trio rock icona degli Anni Novanta per la prima volta in Italia e John Mayall, una vera leggenda del blues. Black Country Communion, una super band che secondo la critica specializzata sarà il live act imperdibile della prossima stagione, e Brian Setzer. E, ancora, lo straordinario chitarrista Jeff Beck, The Black Crowes, John Mellencamp (unica data italiana), Jack Johnson, Justin Townes Earle e la chitarrista e cantautrice Kaki King: sono i grandi protagonisti della rassegna rock "Dieci giorni suonati" che si terrà dal 26 giugno al 24 luglio al castello di Vigevano.
Ecco il programma completo:
26/6 PRIMUS + Hot Head Show Ingresso € 35+prev
28/6 JOHN MAYALL + BLACK COUNTRY COMMUNION Ingresso € 32+prev
29/6 JEFF BECK Ingresso € 35+prev
30/6 QN MUSIC CONTEST: ospiti prestigiosi e concerto live di Niccolò Agliardi
Il cartellone della manifestazione, anche quest'anno ideata e organizzata da Barley Arts con il Patrocinio del Comune di Vigevano, si arricchisce però anche di altre attività culturali, a corollario della musica. Come lo scorso anno ci saranno infatti gli incontri con l'autore, una serie di aperitivi letterari che la scorsa estate hanno portato a Vigevano giornalisti e romanzieri quali Sandrone Dazieri, John Peter Sloan, Marina Petrillo, Ezio Guaitamacchi, Enzo Gentile e Roberto Vecchioni. Grande novità di questa nuova edizione sono le tessere che danno diritto ad assistere a più concerti della rassegna, risparmiando fino al 30% sul costo complessivo dei concerti. Sono tre: la Tessera Gold che dà accesso ai sette concerti finora confermati (190 euro + diritti di prevendita); la Tessera "J" Legend e la Rock & Roll (110 Euro ciascuna + prevendita). Tali tessere si possono acquistare - ma solo fino al 27 aprile - su Ticketone al sito http://www.ticketone.it/. r.co.
Ecco il programma completo:
26/6 PRIMUS + Hot Head Show Ingresso € 35+prev
28/6 JOHN MAYALL + BLACK COUNTRY COMMUNION Ingresso € 32+prev
29/6 JEFF BECK Ingresso € 35+prev
30/6 QN MUSIC CONTEST: ospiti prestigiosi e concerto live di Niccolò Agliardi
2/7 BRIAN SETZER’S ROCKABILLY RIOT feat. Slim Jim Phantom
+ The Rock’n'Roll Kamikazes – Adels – The Dragons – I Ragazzi del Giubocs Ingresso € 38+prev
7/7 THE BLACK CROWES + Justin Townes Earle Ingresso € 45+prev
8/7 EDISON CHANGE THE MUSIC – Il contest nel contest Ingresso Gratuito
9/7 JOHN MELLENCAMP Ingresso € 45+prev
24/7 JACK JOHNSON + KAKI KING Ingresso € 40+prev
+ The Rock’n'Roll Kamikazes – Adels – The Dragons – I Ragazzi del Giubocs Ingresso € 38+prev
7/7 THE BLACK CROWES + Justin Townes Earle Ingresso € 45+prev
8/7 EDISON CHANGE THE MUSIC – Il contest nel contest Ingresso Gratuito
9/7 JOHN MELLENCAMP Ingresso € 45+prev
24/7 JACK JOHNSON + KAKI KING Ingresso € 40+prev
GLI APERITIVI CON L’AUTORE: si tengono alle 19 nell’area concerti all’interno del Castello. L’accesso è consentito ai possessori del biglietto per il concerto a seguire.
26/6 Mox Cristadoro – Radio Days – Storie di Rock Fm
28/6 Gianni Biondillo - Tangenziali
29/6 Alan D. Altieri – Killzone
07/7 Alessandro Bertrante – Nina dei Lupi
09/7 Paolo Vites – Un sentiero verso le stelle. Sulla strada con Bob Dylan
24/7 Francesca Negri Sex And The Wine – L’Altra Metà del Vino
28/6 Gianni Biondillo - Tangenziali
29/6 Alan D. Altieri – Killzone
07/7 Alessandro Bertrante – Nina dei Lupi
09/7 Paolo Vites – Un sentiero verso le stelle. Sulla strada con Bob Dylan
24/7 Francesca Negri Sex And The Wine – L’Altra Metà del Vino
Festival estivi in zona - "Carroponte" fino al 18 settembre con musica per tutti i gusti
Lo scorso anno ha registrato 100 mila presenze ed è stato premiato come migliore arena estiva del 2010 al MEI di Faenza - il Meeting delle Etichette Indipendenti. Sul suo palco si sono avvicendati protagonisti della scena musicale come i Baustelle e i Gogol Bordello.
È il Carroponte, il festival che ha animato l'ex area industriale della Breda a Sesto San Giovanni per un'intera stagione e che si appresta a replicare il successo della prima edizione, con un fitta programmazione di eventi che promette scintille.
Organizzato da Arci Milano in collaborazione con il Comune di Sesto, il festival è in programma dal 26 maggio al 18 settembre. Quest'anno rappresenterà non solo un punto di riferimento per la musica e le esibizioni live, ma sarà anche un contenitore di eventi culturali a 360 gradi, dando spazio ad altre forme di linguaggio. Il teatro - in primis - sarà protagonista ogni mercoledì sera, con una serie di appuntamenti che verranno inaugurati da Ascanio Celestini l'1 giugno. L'attore porterà in scena La Fila Indiana - il Razzismo è una Brutta Storia. A seguire, rappresentazioni a cura dell'associazione culturale Alma Rosè, dei circoli Arci La Casa 139 e Cicco Simonetta per le serate di teatro canzone e della compagnia Dionisi per il Mixité Festival, che si concluderà con Paola Mastrella e Antonio Rezza. Tra gli ospiti più attesi anche Sabina Guzzanti il 18 luglio. Per quanto riguarda l'aspetto musicale, grandi nomi e sonorità ricercate calcheranno il palco del Carroponte. L'Orchestra di via Padova, che aprirà la stagione il 26 maggio, Paolo Benvegnù il 9 giugno, i Calibro 35, in programma per il 14 giugno, oltre ai Modena City Ramblers in concerto il 24 giugno. E ancora, gli amanti dello ska apprezzeranno i Punkreas e i Vallanzaska, rispettivamente il 25 e il 26 giugno. La poesia delle composizioni di Ludovico Einaudi sarà protagonista il 28 giugno, la world music di Natasha Atlas il 30 dello stesso mese. E ancora, i Club Dogo si esibiranno l'8 luglio, Caparezza il 9 luglio e il 19 dello stesso mese la Bandabardò. Tra gli altri, suoneranno anche Tonino Carotone il 5 agosto, gli Africa Unite il 27 agosto, Niccolò Fabi il 30 agosto e Fabri Fibra chiuderà il suo Controcultura Tour proprio al Carroponte il 10 settembre.
Tra le novità di quest'anno, l'apertura di una libreria gestita in collaborazione con NdA, distributore ed editore di Rimini a cui sarà affidato lo spazio culturale dedicato non solo alla vendita dei libri, ma anche a incontri e dibattiti. Tra gli autori che interverranno, Matteo Bianchi e Gianni Biondillo.Altra innovazione del Carroponte 2011 sarà l'introduzione di uno spazio dedicato ai bambini, un baby parking dove i più piccoli potranno sostare mentre i genitori si godranno i concerti e gli spettacoli, oltre a un'area relax, dove sarà possibile sostare liberamente.
Un'attenzione particolare, inoltre, verrà riservata all'aspetto eco-sostenibile del festival. Da quest'anno sarà presente un ristorante con prodotti bio e a km zero e ogni mercoledì, a chi raggiungerà l'ex area industriale di Sesto in bicicletta, verrà offerto un drink. Mentre il giovedì, per chi si presenterà con un bambino, l'ingresso dell'accompagnatore sarà libero.Il prologo d'apertura alla stagione estiva sarà sabato 14 maggio con l'Extrafesta. Sul palco salirà Khaled, preceduto dal suono afro-beat della Mamud Band. Ore 21.00, ingresso 12 Eu.Un dettaglio da non trascurare. Molte serate saranno ad accesso libero, mentre quelle a pagamento non avranno mai un costo superiore ai 15 Eu. Per il teatro, previsti abbonamenti a 50 Eu per l'intera stagione.In una città dove è sempre più difficile trovare palchi e luoghi deputati alla musica dal vivo, queste suono buone notizie. Il Carroponte 2011 riempirà l'estate con momenti di felicità. r.co.
È il Carroponte, il festival che ha animato l'ex area industriale della Breda a Sesto San Giovanni per un'intera stagione e che si appresta a replicare il successo della prima edizione, con un fitta programmazione di eventi che promette scintille.
Organizzato da Arci Milano in collaborazione con il Comune di Sesto, il festival è in programma dal 26 maggio al 18 settembre. Quest'anno rappresenterà non solo un punto di riferimento per la musica e le esibizioni live, ma sarà anche un contenitore di eventi culturali a 360 gradi, dando spazio ad altre forme di linguaggio. Il teatro - in primis - sarà protagonista ogni mercoledì sera, con una serie di appuntamenti che verranno inaugurati da Ascanio Celestini l'1 giugno. L'attore porterà in scena La Fila Indiana - il Razzismo è una Brutta Storia. A seguire, rappresentazioni a cura dell'associazione culturale Alma Rosè, dei circoli Arci La Casa 139 e Cicco Simonetta per le serate di teatro canzone e della compagnia Dionisi per il Mixité Festival, che si concluderà con Paola Mastrella e Antonio Rezza. Tra gli ospiti più attesi anche Sabina Guzzanti il 18 luglio. Per quanto riguarda l'aspetto musicale, grandi nomi e sonorità ricercate calcheranno il palco del Carroponte. L'Orchestra di via Padova, che aprirà la stagione il 26 maggio, Paolo Benvegnù il 9 giugno, i Calibro 35, in programma per il 14 giugno, oltre ai Modena City Ramblers in concerto il 24 giugno. E ancora, gli amanti dello ska apprezzeranno i Punkreas e i Vallanzaska, rispettivamente il 25 e il 26 giugno. La poesia delle composizioni di Ludovico Einaudi sarà protagonista il 28 giugno, la world music di Natasha Atlas il 30 dello stesso mese. E ancora, i Club Dogo si esibiranno l'8 luglio, Caparezza il 9 luglio e il 19 dello stesso mese la Bandabardò. Tra gli altri, suoneranno anche Tonino Carotone il 5 agosto, gli Africa Unite il 27 agosto, Niccolò Fabi il 30 agosto e Fabri Fibra chiuderà il suo Controcultura Tour proprio al Carroponte il 10 settembre.
Tra le novità di quest'anno, l'apertura di una libreria gestita in collaborazione con NdA, distributore ed editore di Rimini a cui sarà affidato lo spazio culturale dedicato non solo alla vendita dei libri, ma anche a incontri e dibattiti. Tra gli autori che interverranno, Matteo Bianchi e Gianni Biondillo.Altra innovazione del Carroponte 2011 sarà l'introduzione di uno spazio dedicato ai bambini, un baby parking dove i più piccoli potranno sostare mentre i genitori si godranno i concerti e gli spettacoli, oltre a un'area relax, dove sarà possibile sostare liberamente.
Un'attenzione particolare, inoltre, verrà riservata all'aspetto eco-sostenibile del festival. Da quest'anno sarà presente un ristorante con prodotti bio e a km zero e ogni mercoledì, a chi raggiungerà l'ex area industriale di Sesto in bicicletta, verrà offerto un drink. Mentre il giovedì, per chi si presenterà con un bambino, l'ingresso dell'accompagnatore sarà libero.Il prologo d'apertura alla stagione estiva sarà sabato 14 maggio con l'Extrafesta. Sul palco salirà Khaled, preceduto dal suono afro-beat della Mamud Band. Ore 21.00, ingresso 12 Eu.Un dettaglio da non trascurare. Molte serate saranno ad accesso libero, mentre quelle a pagamento non avranno mai un costo superiore ai 15 Eu. Per il teatro, previsti abbonamenti a 50 Eu per l'intera stagione.In una città dove è sempre più difficile trovare palchi e luoghi deputati alla musica dal vivo, queste suono buone notizie. Il Carroponte 2011 riempirà l'estate con momenti di felicità. r.co.
Festival estivi in zona - "LibraFestival" tuttifrutti, da Virginio (di Amici) ai Massimo Volume fino a Caparezza e ai Pooh
Primi echi dell’estate e il LIBRAFESTIVAL torna a bussare alle porte dei biellesi con un calendario che preannuncia più di un mese di grandi concerti. L’attesa kermesse divenuta ormai un baluardo del divertimento nell’estate piemontese inaugura la sua sesta edizione con un grande ritorno: LIBRAFESTIVAL, dopo la prima fortunata esperienza del 2006, ospita nuovamente – il 22 giugno 2011 – i Pooh, con la tappa numero zero del loro Tour estivo.
Ad aprire ufficialmente la rassegna – il 16 giugno 2011 – ci pensano, con un concerto gratuito, i Discoinferno, la più rinomata discomusic band italiana, che annovera nel suo repertorio remake, medley e una carrellata di citazioni musicali che attraversa la discomusic dagli anni settanta fino agli albori della musica dance. Si aprono il 18 e proseguono fino al 21 giugno l’allestimento e le prove audio luci del nuovo tour dei Pooh che confluiranno, come precisato, nel grande concerto del 22 giugno. A fine mese, il 30 giugno, Devotchka & Depedro, in data unica italiana, allieteranno i nostri sensi con musica di grande classe: i Devotchka sono un gruppo di polistrumentisti statunitensi che coniugano la tradizione musicale europea con sonorità punk, vincitori del grammy per la colonna sonora di “Little miss Sunshine” nel cui ultimo disco, prodotto dallo stesso produttore dei Calexico, vede ospiti gli stessi musicisti. I Depedro, gruppo spagnolo di timbro folk all’insegna della contaminazione di generi, è invece il progetto solista di Jairo Zavala, chitarrista e collaboratore degli stessi Calexico: l’armonia dei loro testi racchiude una poeticità squisitamente moderna e gli arrangiamenti elaborati, ma orecchiabili, rendono questo progetto di indubbio interesse e di rara completezza artistica. Per questa occasione, le due valide formazioni si uniscono per esplorare insieme nuovi orizzonti espressivi.
Il mese successivo, in collaborazione con Biella Onstage per il cartellone estivo di BIELLA ESTATE, si apre nientemeno che con l’opera lirica la Bohème eseguita dall’orchestra Sinfolario e dal Coro Lirico di Parma: il 3 luglio 2011, infatti, l’antica piazza medievale di Biella ospita la grande opera di Giacomo Puccini in cui la magistrale narrazione de la vie de bohème passa per la lirica continuando a incantare intere generazioni. Il 5 luglio 2011 si esibirà – sempre a Biella in Piazza Cisterna per il cartellone di BIELLA ESTATE – Virginio, il vincitore di Amici 2011, idolo dei teen ager e giovane artista originario di Fondi, in provincia di Latina, forte delle vendite del suo ultimo disco e dell’aver vinto la decima edizione del talent show per la categoria canto. Il 7 luglio a Sordevolo farà tappa il Ridishow, grande evento/spettacolo, presentato da Rossella Brescia, con i protagonisti di Zelig e Colorado condotti da Giacobazzi in cui comicità e divertimento saranno garantiti. Un altro giovane artista, neo-vincitore di Sanremo per la categoria giovani e già definito il “novello Paolo Conte”, si esibisce l’11 luglio nell’anfiteatro: il pianista urbinate Raphael Gualazzi porterà sul palco la sua coinvolgente duttilità musicale presentando alcuni brani estratti dai suoi due album. Il giorno successivo, 12 luglio ancora a Biella in Piazza Cisterna in collaborazione con BIELLA ESTATE, tocca a Musica Nuda, il duo di Petra Magoni e Ferruccio Spinetti, portare in scena un jazz ironico e di classe, adatto a tutte le orecchie con la loro originalissima rilettura del pop internazionale.
Tornando a Sordevolo, con un grande ritorno sulle scene, possiamo ascoltare – il 15 luglio – qualcosa del meglio della produzione indipendente del rock italiano con i Massimo Volume, tornati insieme nel 2008 dopo essersi ufficialmente sciolti nel 2002. In questa occasione saranno accompagnati dai Bachi da Pietra, rock-blues band italiana con i quali è in corso una prolifica collaborazione. Il giorno successivo è atteso il cantautore romano Daniele Silvestri che di recente ha pubblicato S.C.O.T.C.H, disco di inediti in cui – tra le tante collaborazioni – figura lo scrittore Andrea Camilleri. In collaborazione con MUST, il primo master di alto perfezionamento per compositori dedicato alla musica classica, l’appuntamento del 23 luglio con l’Ensemble Novecento è imperdibile: i sette musicisti eseguiranno le composizioni degli allievi del master sulle suggestive proiezioni in video di veri cimeli della cinematografia. Il 24 luglio 2011 l’arduo compito di Maurizio Crozza è quello di contagiare a colpi di satira e comicità gli spettatori di questa edizione del Librafestival, mentre il 27 dello stesso mese, un altro “attesissimo”, Michele Salvemini ormai conosciuto come “l’eretico” Caparezza, si appresta a consolidare la fortunata esperienza piemontese con un altro probabile sold-out. A chiudere il mese sono gli appuntamenti con il meglio del reggae italico e con le sonorità irresistibilmente gitane: il 29 suonano gli Africa Unite e il 31, in collaborazione con il festival Vincoli Sonori, la Kocani Orkestar, folk balcanico che rimane fedele alla tradizione nella forma, stravolgendo la sostanza: tra il tamburellare del tapan e l’incanto melodico della zourna si innestano le vivaci sonorità jazz che la hanno voista protagonista delle collaborazioni con Kusturica e di quelle con Capossela. Il calendario non è ancora terminato: l’ultima tappa del succulento programma del festival è prevista per il 2 agosto 2011, con la consueta partecipazione speciale dei Divina, gruppo che sin dalle sue origini propone un salto temporale nell’ebbrezza della dance anni ’70, ripercorsa con le sue coreografie, i costumi patinati e la musica adrenalinica che ha contagiato con la sua elettrizzante febbre tutte le discoteche di quegli anni.
Il programma del LIBRA FESTIVAL, la rassegna musicale e culturale ideata e diretta da Lele Ghisio e Luciano Casadei, sarà – come in tutte le edizioni – ricco di promesse musicali allettanti e ricercate: la certezza che precede il suo inizio è sempre quella di vedere fiorire improvvisamente il piccolo paese del biellese che ogni anno si ritrova assediato da migliaia di appassionati di musica che raggiungono il festival da tutto il Piemonte e dalle province limitrofe per assistere a un grande evento musicale.Insomma, un festival che propone sempre il meglio della musica italiana tradizionale e d’avanguardia esplorando diverse forme espressive e rappresentando sempre con grande classe il meglio della produzione artistica odierna. r.co.
Ad aprire ufficialmente la rassegna – il 16 giugno 2011 – ci pensano, con un concerto gratuito, i Discoinferno, la più rinomata discomusic band italiana, che annovera nel suo repertorio remake, medley e una carrellata di citazioni musicali che attraversa la discomusic dagli anni settanta fino agli albori della musica dance. Si aprono il 18 e proseguono fino al 21 giugno l’allestimento e le prove audio luci del nuovo tour dei Pooh che confluiranno, come precisato, nel grande concerto del 22 giugno. A fine mese, il 30 giugno, Devotchka & Depedro, in data unica italiana, allieteranno i nostri sensi con musica di grande classe: i Devotchka sono un gruppo di polistrumentisti statunitensi che coniugano la tradizione musicale europea con sonorità punk, vincitori del grammy per la colonna sonora di “Little miss Sunshine” nel cui ultimo disco, prodotto dallo stesso produttore dei Calexico, vede ospiti gli stessi musicisti. I Depedro, gruppo spagnolo di timbro folk all’insegna della contaminazione di generi, è invece il progetto solista di Jairo Zavala, chitarrista e collaboratore degli stessi Calexico: l’armonia dei loro testi racchiude una poeticità squisitamente moderna e gli arrangiamenti elaborati, ma orecchiabili, rendono questo progetto di indubbio interesse e di rara completezza artistica. Per questa occasione, le due valide formazioni si uniscono per esplorare insieme nuovi orizzonti espressivi.
Il mese successivo, in collaborazione con Biella Onstage per il cartellone estivo di BIELLA ESTATE, si apre nientemeno che con l’opera lirica la Bohème eseguita dall’orchestra Sinfolario e dal Coro Lirico di Parma: il 3 luglio 2011, infatti, l’antica piazza medievale di Biella ospita la grande opera di Giacomo Puccini in cui la magistrale narrazione de la vie de bohème passa per la lirica continuando a incantare intere generazioni. Il 5 luglio 2011 si esibirà – sempre a Biella in Piazza Cisterna per il cartellone di BIELLA ESTATE – Virginio, il vincitore di Amici 2011, idolo dei teen ager e giovane artista originario di Fondi, in provincia di Latina, forte delle vendite del suo ultimo disco e dell’aver vinto la decima edizione del talent show per la categoria canto. Il 7 luglio a Sordevolo farà tappa il Ridishow, grande evento/spettacolo, presentato da Rossella Brescia, con i protagonisti di Zelig e Colorado condotti da Giacobazzi in cui comicità e divertimento saranno garantiti. Un altro giovane artista, neo-vincitore di Sanremo per la categoria giovani e già definito il “novello Paolo Conte”, si esibisce l’11 luglio nell’anfiteatro: il pianista urbinate Raphael Gualazzi porterà sul palco la sua coinvolgente duttilità musicale presentando alcuni brani estratti dai suoi due album. Il giorno successivo, 12 luglio ancora a Biella in Piazza Cisterna in collaborazione con BIELLA ESTATE, tocca a Musica Nuda, il duo di Petra Magoni e Ferruccio Spinetti, portare in scena un jazz ironico e di classe, adatto a tutte le orecchie con la loro originalissima rilettura del pop internazionale.
Tornando a Sordevolo, con un grande ritorno sulle scene, possiamo ascoltare – il 15 luglio – qualcosa del meglio della produzione indipendente del rock italiano con i Massimo Volume, tornati insieme nel 2008 dopo essersi ufficialmente sciolti nel 2002. In questa occasione saranno accompagnati dai Bachi da Pietra, rock-blues band italiana con i quali è in corso una prolifica collaborazione. Il giorno successivo è atteso il cantautore romano Daniele Silvestri che di recente ha pubblicato S.C.O.T.C.H, disco di inediti in cui – tra le tante collaborazioni – figura lo scrittore Andrea Camilleri. In collaborazione con MUST, il primo master di alto perfezionamento per compositori dedicato alla musica classica, l’appuntamento del 23 luglio con l’Ensemble Novecento è imperdibile: i sette musicisti eseguiranno le composizioni degli allievi del master sulle suggestive proiezioni in video di veri cimeli della cinematografia. Il 24 luglio 2011 l’arduo compito di Maurizio Crozza è quello di contagiare a colpi di satira e comicità gli spettatori di questa edizione del Librafestival, mentre il 27 dello stesso mese, un altro “attesissimo”, Michele Salvemini ormai conosciuto come “l’eretico” Caparezza, si appresta a consolidare la fortunata esperienza piemontese con un altro probabile sold-out. A chiudere il mese sono gli appuntamenti con il meglio del reggae italico e con le sonorità irresistibilmente gitane: il 29 suonano gli Africa Unite e il 31, in collaborazione con il festival Vincoli Sonori, la Kocani Orkestar, folk balcanico che rimane fedele alla tradizione nella forma, stravolgendo la sostanza: tra il tamburellare del tapan e l’incanto melodico della zourna si innestano le vivaci sonorità jazz che la hanno voista protagonista delle collaborazioni con Kusturica e di quelle con Capossela. Il calendario non è ancora terminato: l’ultima tappa del succulento programma del festival è prevista per il 2 agosto 2011, con la consueta partecipazione speciale dei Divina, gruppo che sin dalle sue origini propone un salto temporale nell’ebbrezza della dance anni ’70, ripercorsa con le sue coreografie, i costumi patinati e la musica adrenalinica che ha contagiato con la sua elettrizzante febbre tutte le discoteche di quegli anni.
Il programma del LIBRA FESTIVAL, la rassegna musicale e culturale ideata e diretta da Lele Ghisio e Luciano Casadei, sarà – come in tutte le edizioni – ricco di promesse musicali allettanti e ricercate: la certezza che precede il suo inizio è sempre quella di vedere fiorire improvvisamente il piccolo paese del biellese che ogni anno si ritrova assediato da migliaia di appassionati di musica che raggiungono il festival da tutto il Piemonte e dalle province limitrofe per assistere a un grande evento musicale.Insomma, un festival che propone sempre il meglio della musica italiana tradizionale e d’avanguardia esplorando diverse forme espressive e rappresentando sempre con grande classe il meglio della produzione artistica odierna. r.co.
Festival estivi in zona - Sepultura, Finntroll, Ministri: torna il rock a Novara con il "Maximum festival"
Torna la musica dal vivo di qualità al parco “Caduti di Tutte le Guerre” di Novara, che negli anni scorsi aveva ospitato con un più che lusinghiero successo di pubblico la rassegna “Giovani espressioni”, organizzata dal Comune di Novara. Nell’area verde nei pressi del cimitero arrivarono gruppi come Negramaro, Caparezza, L’Aura e molti altri, e quando alcuni anni fa la manifestazione venne sospesa (anche per mancanza di fondi) si sollevò una vera e propria mobilitazione mediatica, con tanto di gruppi sul web che andavano da “Salviamo Giovani Espressioni” a “Grave lutto per la cultura cittadina”. Tra qualche settimana la musica tornerà a suonare grazie all’associazione “Volume” che da alcuni mesi mestiche anche un noto locale del territorio, la Rock’n Roll Arena di Romagnano Sesia, specializzato in concerti soprattutto di genere metal di caratura internazionale.
"Quest’anno porteremo a Novara la terza edizione del Maximum rock festival, che gli anni scorsi si era svolto a Trecate – spiega Margherita Gualino, dell’associazione Volume – Puntiamo ad espandere l’evento, con nomi di grande rilevanza. Ci piacerebbe che il festival crescesse anno dopo anno. Puntiamo per questo ad un bacino di utenza che vada ben oltre la città di Novara ed intercetti pubblico dalle province vicine". La manifestazione si svolgerà dal 21 al 24 luglio, e prevede concerti a pagamento il cui costo andrà dai 10 ai 20 euro, anche se è previsto un conveniente abbonamento alle quattro serate a 50 euro. Il Comune di Novara offrirà unicamente il patrocinio, ma non ha contribuito finanziariamente. "L’edizione 2011 porterà il festival a essere finalmente riconosciuto come uno dei più importanti in ambito rock nazionale, grazie alla presenza di ospiti nazionali e internazionali che hanno già confermato la loro partecipazione: Sepoltura riferimento metal made in Brasile, Finntroll dalla Finlandia, Ministri la rivelazione rock italiana (suonano con giacche alla Garibaldi) che fa il tutto esaurito ad ogni data, i Freak Kitchen dalla Svezia. Poi ci sono altri nomi in attesa di conferma. Ogni sera si esibiranno diversi gruppi", spiega Gualino che aggiunge "nostra inflessibile volontà è inoltre offrire ai gruppi emergenti più meritevoli la possibilità di vivere sulla propria pelle l'emozione di condividere il palco con dei grandi artisti: nelle scorse settimane si è svolto un concorso che permetterà alle quattro band vincitrici di suonare sul palco del festival come openers nelle diverse giornate".
Oltre alla musica sarà dato spazio anche a stand esclusivi che proporranno arte di strada, giocoleria, artigianato etnico, strumenti musicali, dischi da collezione, prodotti tipici del territorio e molto altro."Visto il crescente interesse da parte del pubblico e la volontà da parte dell’associazione di fare un grande salto di qualità, si è reso necessario un cambio di location da Trecate a Novara, città affamata di musica dal vivo, che offre anche una serie di servizi in più a band e pubblico. A Novara c’è spazio per il rock e per i giovani – commenta Gualino - I prestigiosi nomi in cartellone richiedono che il palco, l'impianto audio/luci e i servizi di ristorazione siano proporzionati in funzione del progetto: lavoreremo infatti con uno staff tecnico, logistico e di sicurezza professionale per garantire a tutti di trascorrere serenamente i giorni del festival, alimentando così lo spirito di aggregazione e di festa, molto apprezzato dal pubblico e dagli artisti stessi, che ci ha caratterizzato nelle scorse edizioni".Roberto Conti
"Quest’anno porteremo a Novara la terza edizione del Maximum rock festival, che gli anni scorsi si era svolto a Trecate – spiega Margherita Gualino, dell’associazione Volume – Puntiamo ad espandere l’evento, con nomi di grande rilevanza. Ci piacerebbe che il festival crescesse anno dopo anno. Puntiamo per questo ad un bacino di utenza che vada ben oltre la città di Novara ed intercetti pubblico dalle province vicine". La manifestazione si svolgerà dal 21 al 24 luglio, e prevede concerti a pagamento il cui costo andrà dai 10 ai 20 euro, anche se è previsto un conveniente abbonamento alle quattro serate a 50 euro. Il Comune di Novara offrirà unicamente il patrocinio, ma non ha contribuito finanziariamente. "L’edizione 2011 porterà il festival a essere finalmente riconosciuto come uno dei più importanti in ambito rock nazionale, grazie alla presenza di ospiti nazionali e internazionali che hanno già confermato la loro partecipazione: Sepoltura riferimento metal made in Brasile, Finntroll dalla Finlandia, Ministri la rivelazione rock italiana (suonano con giacche alla Garibaldi) che fa il tutto esaurito ad ogni data, i Freak Kitchen dalla Svezia. Poi ci sono altri nomi in attesa di conferma. Ogni sera si esibiranno diversi gruppi", spiega Gualino che aggiunge "nostra inflessibile volontà è inoltre offrire ai gruppi emergenti più meritevoli la possibilità di vivere sulla propria pelle l'emozione di condividere il palco con dei grandi artisti: nelle scorse settimane si è svolto un concorso che permetterà alle quattro band vincitrici di suonare sul palco del festival come openers nelle diverse giornate".
Oltre alla musica sarà dato spazio anche a stand esclusivi che proporranno arte di strada, giocoleria, artigianato etnico, strumenti musicali, dischi da collezione, prodotti tipici del territorio e molto altro."Visto il crescente interesse da parte del pubblico e la volontà da parte dell’associazione di fare un grande salto di qualità, si è reso necessario un cambio di location da Trecate a Novara, città affamata di musica dal vivo, che offre anche una serie di servizi in più a band e pubblico. A Novara c’è spazio per il rock e per i giovani – commenta Gualino - I prestigiosi nomi in cartellone richiedono che il palco, l'impianto audio/luci e i servizi di ristorazione siano proporzionati in funzione del progetto: lavoreremo infatti con uno staff tecnico, logistico e di sicurezza professionale per garantire a tutti di trascorrere serenamente i giorni del festival, alimentando così lo spirito di aggregazione e di festa, molto apprezzato dal pubblico e dagli artisti stessi, che ci ha caratterizzato nelle scorse edizioni".
Ecco il programma definitivo
GIOVEDI 21 LUGLIO (ingresso 20 euro)
SEPULTURA
SADIST
METHEDRAS
DEVOTION
SPANKING HOUR
TETHRA
VENERDI 22 LUGLIO (ingresso 15 euro)
FREAK KITCHEN
DESTRAGE
GOLEM RHYME
ONE LEG MAN
TRY TO BE
SABATO 23 LUGLIO (ingresso 10 euro)
MINISTRI
THE FIRE
IL DUELLO
REGO SILENTA
VIOLA E MESCALINA
WHAT A FUNK?
DOMENICA 24 LUGLIO (ingresso 20 euro)
FINNTROLL
FOLKSTONE
FUROR GALLICO
AETERNAL SEPRIUM
ANTHOLOGIES
FANTOME
6 giugno 2011
Premio "Provincia cronica" (III edizione - sezione racconti)
Pietro Rava - Giovinezza
Il testo di una canzone molto in voga prima della nascita diceva che è primavera di bellezza. Ora che sono all’inizio dell’inverno però non ricordo di aver passato l’estate di bellezza. Forse natura non facit saltus ma le stagioni si. Oppure si tratta di un normale seppur seccante vuoto di memoria. Nella fanciullezza il divertimento serale più gradito era il gioco a nascondino tra i tanti portici delle case del paese o tra i mucchi di pannocchie di granoturco che sulle aie mamme e nonne sfogliavano nella sera. Molto gradito anche il gioco del dottore ma soltanto in assenza dei grandi. Con l’adolescenza si cominciava a spiccare il volo. A quei tempi nessuno tra coetanei e amici possedeva l’automobile, (sarebbe venuta poi la prima 500), qualcuno più fortunato aveva la vespa oppure la lambretta sulle quali alla sera si viaggiava in tre mentre gli altri due in bicicletta si agganciavano alle spalle lungo strade quasi deserte al sabato sera. Il tragitto non era lungo: le mete erano i paesi vicini per le feste patronali o le sagre con ballo a palchetto che frequentavamo con il solito pensiero fisso che un noto artista, quasi coetaneo, sintetizzerà così in una nota canzone: “Il problema più importante per noi è di avere una ragazza di sera”. Naturalmente si tornava senza novità, ma comunque non dopo la mezzanotte perché la mamma, molto severa, non lo permetteva. Il massimo della trasgressione era, nel frattempo, qualche sigaretta fumata di nascosto con i complici. Non mancavano le risate, le nuove amicizie e qualche incontro con i compagni di scuola, si perché durante la settimana si andava a scuola con alterni risultati e di giorno si studiava (poco) e si sognava (molto). Bisognava fare i conti con il severo insegnante di fisica che dispensava volentieri 3 e 4 che si nascondevano disperatamente fino all’udienza o, con un po’ di fortuna, fino alla pagella. Dopo erano grane grosse. Comunque con calma un diploma e qualche laurea li abbiamo faticosamente sudati e onestamente raggiunti. Quanti cambiamenti oggi: auto a disposizione, discoteche, spinello, faceboook e c., ecc. Erano tempi migliori? Domanda a risposta multipla: Si perché non c’era la droga, c’era il rispetto per gli anziani, il pudore della moralità condivisa No perché non c’erano soldi, non c’era informazione, né telefoni, né televisione, né internet Non è possibile il paragone. Ciascuna generazione evolve in modo autonomo e poco prevedibile. Abbiamo comunque dato libertà ai nostri figli offrendo la mano e si sono presi tutto il braccio. Abbiamo garantito il mutuo ai nostri figli e ci hanno pignorato l’abitazione. Se conoscete qualche indovino che legge chiaramente la sfera di cristallo indicatemelo: sono curioso di sapere quale sarà la giovinezza di nipoti e pronipoti.
Pietro Rava - Giovinezza
Il testo di una canzone molto in voga prima della nascita diceva che è primavera di bellezza. Ora che sono all’inizio dell’inverno però non ricordo di aver passato l’estate di bellezza. Forse natura non facit saltus ma le stagioni si. Oppure si tratta di un normale seppur seccante vuoto di memoria. Nella fanciullezza il divertimento serale più gradito era il gioco a nascondino tra i tanti portici delle case del paese o tra i mucchi di pannocchie di granoturco che sulle aie mamme e nonne sfogliavano nella sera. Molto gradito anche il gioco del dottore ma soltanto in assenza dei grandi. Con l’adolescenza si cominciava a spiccare il volo. A quei tempi nessuno tra coetanei e amici possedeva l’automobile, (sarebbe venuta poi la prima 500), qualcuno più fortunato aveva la vespa oppure la lambretta sulle quali alla sera si viaggiava in tre mentre gli altri due in bicicletta si agganciavano alle spalle lungo strade quasi deserte al sabato sera. Il tragitto non era lungo: le mete erano i paesi vicini per le feste patronali o le sagre con ballo a palchetto che frequentavamo con il solito pensiero fisso che un noto artista, quasi coetaneo, sintetizzerà così in una nota canzone: “Il problema più importante per noi è di avere una ragazza di sera”. Naturalmente si tornava senza novità, ma comunque non dopo la mezzanotte perché la mamma, molto severa, non lo permetteva. Il massimo della trasgressione era, nel frattempo, qualche sigaretta fumata di nascosto con i complici. Non mancavano le risate, le nuove amicizie e qualche incontro con i compagni di scuola, si perché durante la settimana si andava a scuola con alterni risultati e di giorno si studiava (poco) e si sognava (molto). Bisognava fare i conti con il severo insegnante di fisica che dispensava volentieri 3 e 4 che si nascondevano disperatamente fino all’udienza o, con un po’ di fortuna, fino alla pagella. Dopo erano grane grosse. Comunque con calma un diploma e qualche laurea li abbiamo faticosamente sudati e onestamente raggiunti. Quanti cambiamenti oggi: auto a disposizione, discoteche, spinello, faceboook e c., ecc. Erano tempi migliori? Domanda a risposta multipla: Si perché non c’era la droga, c’era il rispetto per gli anziani, il pudore della moralità condivisa No perché non c’erano soldi, non c’era informazione, né telefoni, né televisione, né internet Non è possibile il paragone. Ciascuna generazione evolve in modo autonomo e poco prevedibile. Abbiamo comunque dato libertà ai nostri figli offrendo la mano e si sono presi tutto il braccio. Abbiamo garantito il mutuo ai nostri figli e ci hanno pignorato l’abitazione. Se conoscete qualche indovino che legge chiaramente la sfera di cristallo indicatemelo: sono curioso di sapere quale sarà la giovinezza di nipoti e pronipoti.
Premio "Provincia cronica" (III edizione - sezione racconti)
Luca Bonaguidi - Venti
“You can't always get what you want”
Rolling Stones
I Rolling Stones e la finestra aperta, il forte vento impatta sulla tenda, scuotendola. Le sigarette fumate a metà, poi spente, e la cenere che si alza e cade altrove. Un bicchiere di vino, che qualcuno direbbe mezzo pieno e qualcun'altro mezzo vuoto.
Un grande prato verde si stende fuori dai condomini nella domenica dei pranzi consumati lentamente, la tovaglia appena lavata e una fetta di torta, tra malinconie quotidiane e ritmici riposi a cadenza settimanale, stancamente abitudinari.
Inedia emozianale, la chiameremo.
Altri stanchi condomini disegnano i bordi del prato, anticipando le colline liete, le colline degli altri, delle domeniche felici e concilianti, quelle per cui serve percorrere una stretta strada impervia, che è sempre bello, certo, ma che ore sono, cara, si sarà fatto tardi.
A chi non piacciono le strade di collina. Eppure, restano sullo sfondo, come i ricordi, consegnate alla memoria di limpida giovinezza, a dirci chi non siamo più, quelli che non è ancora tardi, amore.
Come eravamo. Forti, terribilmente forti. Belli, perchè almeno una volta ce l'hanno detto. A tutti. Lo hanno detto proprio a tutti.
Una lunga fila di macchine costeggia il prato. Colorate, lucidate, come se non fossero lamiere di metallo. Incolonnate con disciplina, all'interno delle strisce, né troppo vicine, altrimenti ripetiamo il parcheggio, né troppo lontane, sennò ci sentiamo soli e diversi.
Eppure, era bello sentirsi soli e diversi, una volta, stretti in noi stessi e proiettati in una moltitudine variopinta di progetti e idee. Sogni, che è come dire “vedove” da un certo giorno in poi, voi capite cosa intendo e non è una strada di collina.
Il sole, d'una primavera che si annuncia, infiamma il giallo delle villette a schiera dall'altro lato del campo. La guerra in Libia è lontana, decisamente lontana.
Un bambino irrompe in scena calciando un pallone e spingendolo a grandi falcate avanti a sé, con la forza dei suoi 8 anni. Otto.
Ve lo ricordate, cosa vuol dire avere otto anni? A otto anni la Libia non esiste, la Libia è quello che dice il babbo alla mamma il lunedì sera a cena, appena prima di lamentarsi che l'insalata non è condita bene, perchè la parte del mondo in cui si è nati non è quello dove si muore sotto i caccia e le bombe, ma dove si muore in fabbrica nonostante un secolo di battaglie operaie, dove si muore in carcere più che al fronte, e di suicidio, e dove si muore per assenza di amore, però tre pasti al giorno ce li abbiamo, ed abbiamo un cane, l'abbiamo preso al canile, e una vacanza al mare, e i sacrifici che ci costa, il mutuo da estinguere e le rate del divano, quanto ci piace l'ombrellone e la cabina, le camminate in riva al mare, speriamo che quest'anno non ci siano le alghe. Che bella, la democrazia!
E ve lo ricordate, cosa vuol dire avere 40 anni? Si, quaranta. O più, naturalmente. Io non lo so proprio, ma l'ho capito da quel padre che corre dietro al bambino, dietro al suo pallone, ingrassato, si direbbe, sulla strada della calvizia, si direbbe. Si direbbe tutto e niente, sempre.
Il bambino calcia la sfera avanti e si avvia ad entrare nel rettangolo di gioco. Uno stormo di rondini si alza in volo e si disperde oltre i pini ai margini della strada, rapidamente.
Il padre si ferma e chiama suo figlio.
Checco, è qui che giocheremo.
Checco passa il pallone e urla gioiosamente.
Avviciniamoci alla porta, babbo.
Si passano la palla. Ridendo. A volte calciano in porta, ma non c'è la rete ed il pallone sfreccia lontano, rapidamente, come le rondini si, e mentre Checco corre con gioia a riprendersi il cuio calciato oltre la linea di porta, il padre respira e lo osserva beatamente. E pensa. Potessi giocare più spesso con Checco. Potesse esserci sempre, dopo un lungo inverno, una domenica di marzo e potessi esser meno solo, sempre, potessi amarmi come amo Checco.
E Checco torna col pallone e lo passa con forza al padre, che, assorto, lo lascia sfilare, a pochi passi da sé. Checco sospira, allegramente risentito.
Babbo, ma dormi?
Perchè per i bambini, o si gioca o si dorme.
Poi, fa capolino un po' di tristezza, un poco di rabbia; a volte, una vita schifosa.
Le cose della vita, voi capite cosa intendo e non sono camminate in riva al mare nè rondini che si perdono all'orizzonte.
E il padre, pensa.
Eccolo lì, il mio ragazzo, eccolo lì, giovane e forte.
E calcia il pallone verso la brughiera ai margini del campo da gioco, stavolta senza che dopo, Checco, gli chieda ancora perchè.
Ed io, Checco, riaccendo la sigaretta, contemplando il prato imperfetto su cui sono cresciuto calciando cuoio e Provincia.
Eccomi qui.
E verso altro vino all'interno del bicchiere, con i Rolling Stones ed i miei 20 anni.
Venti.
Luca Bonaguidi - Venti
“You can't always get what you want”
Rolling Stones
I Rolling Stones e la finestra aperta, il forte vento impatta sulla tenda, scuotendola. Le sigarette fumate a metà, poi spente, e la cenere che si alza e cade altrove. Un bicchiere di vino, che qualcuno direbbe mezzo pieno e qualcun'altro mezzo vuoto.
Un grande prato verde si stende fuori dai condomini nella domenica dei pranzi consumati lentamente, la tovaglia appena lavata e una fetta di torta, tra malinconie quotidiane e ritmici riposi a cadenza settimanale, stancamente abitudinari.
Inedia emozianale, la chiameremo.
Altri stanchi condomini disegnano i bordi del prato, anticipando le colline liete, le colline degli altri, delle domeniche felici e concilianti, quelle per cui serve percorrere una stretta strada impervia, che è sempre bello, certo, ma che ore sono, cara, si sarà fatto tardi.
A chi non piacciono le strade di collina. Eppure, restano sullo sfondo, come i ricordi, consegnate alla memoria di limpida giovinezza, a dirci chi non siamo più, quelli che non è ancora tardi, amore.
Come eravamo. Forti, terribilmente forti. Belli, perchè almeno una volta ce l'hanno detto. A tutti. Lo hanno detto proprio a tutti.
Una lunga fila di macchine costeggia il prato. Colorate, lucidate, come se non fossero lamiere di metallo. Incolonnate con disciplina, all'interno delle strisce, né troppo vicine, altrimenti ripetiamo il parcheggio, né troppo lontane, sennò ci sentiamo soli e diversi.
Eppure, era bello sentirsi soli e diversi, una volta, stretti in noi stessi e proiettati in una moltitudine variopinta di progetti e idee. Sogni, che è come dire “vedove” da un certo giorno in poi, voi capite cosa intendo e non è una strada di collina.
Il sole, d'una primavera che si annuncia, infiamma il giallo delle villette a schiera dall'altro lato del campo. La guerra in Libia è lontana, decisamente lontana.
Un bambino irrompe in scena calciando un pallone e spingendolo a grandi falcate avanti a sé, con la forza dei suoi 8 anni. Otto.
Ve lo ricordate, cosa vuol dire avere otto anni? A otto anni la Libia non esiste, la Libia è quello che dice il babbo alla mamma il lunedì sera a cena, appena prima di lamentarsi che l'insalata non è condita bene, perchè la parte del mondo in cui si è nati non è quello dove si muore sotto i caccia e le bombe, ma dove si muore in fabbrica nonostante un secolo di battaglie operaie, dove si muore in carcere più che al fronte, e di suicidio, e dove si muore per assenza di amore, però tre pasti al giorno ce li abbiamo, ed abbiamo un cane, l'abbiamo preso al canile, e una vacanza al mare, e i sacrifici che ci costa, il mutuo da estinguere e le rate del divano, quanto ci piace l'ombrellone e la cabina, le camminate in riva al mare, speriamo che quest'anno non ci siano le alghe. Che bella, la democrazia!
E ve lo ricordate, cosa vuol dire avere 40 anni? Si, quaranta. O più, naturalmente. Io non lo so proprio, ma l'ho capito da quel padre che corre dietro al bambino, dietro al suo pallone, ingrassato, si direbbe, sulla strada della calvizia, si direbbe. Si direbbe tutto e niente, sempre.
Il bambino calcia la sfera avanti e si avvia ad entrare nel rettangolo di gioco. Uno stormo di rondini si alza in volo e si disperde oltre i pini ai margini della strada, rapidamente.
Il padre si ferma e chiama suo figlio.
Checco, è qui che giocheremo.
Checco passa il pallone e urla gioiosamente.
Avviciniamoci alla porta, babbo.
Si passano la palla. Ridendo. A volte calciano in porta, ma non c'è la rete ed il pallone sfreccia lontano, rapidamente, come le rondini si, e mentre Checco corre con gioia a riprendersi il cuio calciato oltre la linea di porta, il padre respira e lo osserva beatamente. E pensa. Potessi giocare più spesso con Checco. Potesse esserci sempre, dopo un lungo inverno, una domenica di marzo e potessi esser meno solo, sempre, potessi amarmi come amo Checco.
E Checco torna col pallone e lo passa con forza al padre, che, assorto, lo lascia sfilare, a pochi passi da sé. Checco sospira, allegramente risentito.
Babbo, ma dormi?
Perchè per i bambini, o si gioca o si dorme.
Poi, fa capolino un po' di tristezza, un poco di rabbia; a volte, una vita schifosa.
Le cose della vita, voi capite cosa intendo e non sono camminate in riva al mare nè rondini che si perdono all'orizzonte.
E il padre, pensa.
Eccolo lì, il mio ragazzo, eccolo lì, giovane e forte.
E calcia il pallone verso la brughiera ai margini del campo da gioco, stavolta senza che dopo, Checco, gli chieda ancora perchè.
Ed io, Checco, riaccendo la sigaretta, contemplando il prato imperfetto su cui sono cresciuto calciando cuoio e Provincia.
Eccomi qui.
E verso altro vino all'interno del bicchiere, con i Rolling Stones ed i miei 20 anni.
Venti.
Premio "Provincia cronica" (III edizione - sezione racconti)
Maria Denis Guidotti - Questi miei occhi
E’ con questi miei occhi che ti vivo in ogni momento.
La prima volta che ti ho visto erano impauriti, spaesati, li tenevo bassi e mi accontentavo, tremando, di memorizzare le voci.
In seguito, ho cominciato a guardarti fisso nei tuoi, riconoscendone l’umore senza bisogno di sentire il tuo timbro vocale.
I nostri incontri sono fatti di sguardi prima che di gesti; non manca momento della giornata in cui, prendendomi delicatamente tra le mani, mi ricordi quanto siano belli i miei occhi.
Mi dici sempre che, se anche non sono di “nobili origini”, per te sono bellissimo, sono il tuo amore, che ho occhi meravigliosi coronati da ciglia lunghissime, che tanto mi invidi.
A volte mi minacci di volerci apporre del rimmel ma il tuo buon senso ha sempre la meglio, quindi la tua intimidazione svanisce come una bolla di sapone.
Ho affrontato al tuo fianco, silenziosamente con la mia presenza, momenti per te difficili e dolorosi.
Ho visto i tuoi occhi piangere, ho scoperto che i miei non sono in grado di farlo ma, per esserti vicino moralmente, ho escogitato un modo tutto mio: “parlo”.
Quanto mi hai sfiancato!
E’ stata veramente dura!
Ho dovuto parlarti moltissimo per cercare di scorgere un sorriso e, mentre le lacrime mute scendevano sul tuo viso, ho operato un restailing unico.
La mia lingua delicatamente cercava di arginare, portare via quel malessere manifesto.
Non abbiamo bisogno, solitamente, di grandi parole ma di pochi gesti, anche muti d di sguardi. Ed ecco, la magia si concretizza in perfetta sintonia.
Il nostro è uno scambio continuo ed unico di emozioni, di dare e avere senza pretese; è il grande valore della fedeltà.
I nostri due mondi, che tanto sembravano distanti e differenti, ora sono complementari perchè abbiamo miscelato le nostre paure, affrontandole, il malessere, standoci vicini reciprocamente, la gioia, tu urlando e io saltando davanti a te.
Quando sei spaesata, con la mente immersa nei tuoi pensieri, mi presento innanzi con qualcosa in bocca, ben stretto tra i denti, e comincio il mio girotondo; poi mugugno, mi sento come una macchina che a folle velocità ha il posteriore fuori controllo ma continuo sino a quando, amorevolmente, ti chini verso di me e mi confermi che esisto, che conto e sono importante per te al di là delle preoccupazioni.
Ti premio, depositando ai tuoi piedi l’oggetto utilizzato per avere la tua attenzione, e in quel momento i nostri occhi si fondono ed insieme proseguiamo accompagnati da una grande iniezione di fiducia.
Detengo un forte senso della proprietà: tu sei mia e io t’appartengo!
A pochi è dato di entrare in questo circolo di forte unione, sono sempre guardingo ed attento.
Il campanello che suona, la tua voce ed ecco le mie orecchie in allarme, alzate ma non troppo; il mio naso, puntato verso la porta d’ingresso, inizia a muoversi impercettibilmente, attendo un odore conosciuto, annuso sino quasi a distorcermelo ma voglio aver la certezza di ciò che sta avvenendo e chi sta arrivando.
Comunque ti sono sempre accanto, ogni tuo passo è il mio, il tuo lavoro in casa è il mio riposo vigile.
Sono accucciato nell’unico punto strategico della cucina, dove posso avere la visuale completa sulle porte e sulle finestre ma soprattutto su ciò che fai.
Mi piace vederti all’opera e so che prima o poi avrò anche qualche gratificazione per il mio palato sopraffino; zampe anteriori incrociate, stile avvocato che silenziosamente ascolta quello che il suo cliente gli esterna, muso appoggiato ma leggermente inclinato, come un prete che mesto ascolta una confessione, e vedo che alzo di tanto in tanto, a ogni tuo movimento, il mio occhio attento, mantenendo ferma la posizione, sei sempre in movimento…
Il filo indissolubile ma tangibile, che ci lega s’allenta quando arriva la sera.
Anche se sei stanca dalla giornata che hai avuto, mi confermi, ancora una volta, tutto ciò che il tuo cuore prova per me: con un ultimo sforzo, mi accompagni in giardino, mi lasci quei dieci minuti necessari a svuotarmi e scorazzare in lungo e in largo.
Quando sento le chiavi tintinnare so che è giunta l’ora di rientrare.
Corro innanzi a te ma aspetto che sia tu la prima a varcare la porta, perché, anche se non sembra sono quasi un cavaliere. Ti osservo nel tuo metodico rito: prima di andarti a coricare, mi saluti e mi auguri la buonanotte.
Ti accompagno sino al letto, aspetto di vederti coricata, ma prima voglio sentire il tuo abbraccio e la tua voce che mi dice: “Buonanotte amore mio bello, a domani”. A quel punto me ne ritorno appagato nella mia cuccia.
Chiudo gli occhi, da te tanto adulati, fiducioso di riaprirli sul domani che ci attende e su tutti gli altri giorni che ci rimarranno da passare insieme, tu con me e io fedelmente con te.
Maria Denis Guidotti - Questi miei occhi
E’ con questi miei occhi che ti vivo in ogni momento.
La prima volta che ti ho visto erano impauriti, spaesati, li tenevo bassi e mi accontentavo, tremando, di memorizzare le voci.
In seguito, ho cominciato a guardarti fisso nei tuoi, riconoscendone l’umore senza bisogno di sentire il tuo timbro vocale.
I nostri incontri sono fatti di sguardi prima che di gesti; non manca momento della giornata in cui, prendendomi delicatamente tra le mani, mi ricordi quanto siano belli i miei occhi.
Mi dici sempre che, se anche non sono di “nobili origini”, per te sono bellissimo, sono il tuo amore, che ho occhi meravigliosi coronati da ciglia lunghissime, che tanto mi invidi.
A volte mi minacci di volerci apporre del rimmel ma il tuo buon senso ha sempre la meglio, quindi la tua intimidazione svanisce come una bolla di sapone.
Ho affrontato al tuo fianco, silenziosamente con la mia presenza, momenti per te difficili e dolorosi.
Ho visto i tuoi occhi piangere, ho scoperto che i miei non sono in grado di farlo ma, per esserti vicino moralmente, ho escogitato un modo tutto mio: “parlo”.
Quanto mi hai sfiancato!
E’ stata veramente dura!
Ho dovuto parlarti moltissimo per cercare di scorgere un sorriso e, mentre le lacrime mute scendevano sul tuo viso, ho operato un restailing unico.
La mia lingua delicatamente cercava di arginare, portare via quel malessere manifesto.
Non abbiamo bisogno, solitamente, di grandi parole ma di pochi gesti, anche muti d di sguardi. Ed ecco, la magia si concretizza in perfetta sintonia.
Il nostro è uno scambio continuo ed unico di emozioni, di dare e avere senza pretese; è il grande valore della fedeltà.
I nostri due mondi, che tanto sembravano distanti e differenti, ora sono complementari perchè abbiamo miscelato le nostre paure, affrontandole, il malessere, standoci vicini reciprocamente, la gioia, tu urlando e io saltando davanti a te.
Quando sei spaesata, con la mente immersa nei tuoi pensieri, mi presento innanzi con qualcosa in bocca, ben stretto tra i denti, e comincio il mio girotondo; poi mugugno, mi sento come una macchina che a folle velocità ha il posteriore fuori controllo ma continuo sino a quando, amorevolmente, ti chini verso di me e mi confermi che esisto, che conto e sono importante per te al di là delle preoccupazioni.
Ti premio, depositando ai tuoi piedi l’oggetto utilizzato per avere la tua attenzione, e in quel momento i nostri occhi si fondono ed insieme proseguiamo accompagnati da una grande iniezione di fiducia.
Detengo un forte senso della proprietà: tu sei mia e io t’appartengo!
A pochi è dato di entrare in questo circolo di forte unione, sono sempre guardingo ed attento.
Il campanello che suona, la tua voce ed ecco le mie orecchie in allarme, alzate ma non troppo; il mio naso, puntato verso la porta d’ingresso, inizia a muoversi impercettibilmente, attendo un odore conosciuto, annuso sino quasi a distorcermelo ma voglio aver la certezza di ciò che sta avvenendo e chi sta arrivando.
Comunque ti sono sempre accanto, ogni tuo passo è il mio, il tuo lavoro in casa è il mio riposo vigile.
Sono accucciato nell’unico punto strategico della cucina, dove posso avere la visuale completa sulle porte e sulle finestre ma soprattutto su ciò che fai.
Mi piace vederti all’opera e so che prima o poi avrò anche qualche gratificazione per il mio palato sopraffino; zampe anteriori incrociate, stile avvocato che silenziosamente ascolta quello che il suo cliente gli esterna, muso appoggiato ma leggermente inclinato, come un prete che mesto ascolta una confessione, e vedo che alzo di tanto in tanto, a ogni tuo movimento, il mio occhio attento, mantenendo ferma la posizione, sei sempre in movimento…
Il filo indissolubile ma tangibile, che ci lega s’allenta quando arriva la sera.
Anche se sei stanca dalla giornata che hai avuto, mi confermi, ancora una volta, tutto ciò che il tuo cuore prova per me: con un ultimo sforzo, mi accompagni in giardino, mi lasci quei dieci minuti necessari a svuotarmi e scorazzare in lungo e in largo.
Quando sento le chiavi tintinnare so che è giunta l’ora di rientrare.
Corro innanzi a te ma aspetto che sia tu la prima a varcare la porta, perché, anche se non sembra sono quasi un cavaliere. Ti osservo nel tuo metodico rito: prima di andarti a coricare, mi saluti e mi auguri la buonanotte.
Ti accompagno sino al letto, aspetto di vederti coricata, ma prima voglio sentire il tuo abbraccio e la tua voce che mi dice: “Buonanotte amore mio bello, a domani”. A quel punto me ne ritorno appagato nella mia cuccia.
Chiudo gli occhi, da te tanto adulati, fiducioso di riaprirli sul domani che ci attende e su tutti gli altri giorni che ci rimarranno da passare insieme, tu con me e io fedelmente con te.
Premio "Provincia cronica" (III edizione - sezione racconti)
Maria Carla Bracaccini - Io non mollo
Sono stesa sul lettino, la dottoressa da una parte l’infermiera dall’altra. Non riesco a respirare. Bloccano il flusso della chemio, mi dicono di stare tranquilla ma io non respiro.
Finalmente, dopo secondi che sembrano eterni, tutto passa. Non ne potrò fare più.
Esco dall’ospedale ma non chiamo mio marito Mauro per venirmi a prendere. Mi siedo su una panchina, svuotata da ogni energia.
Quando, stesa sul lettino, cercavo invano di placare la mia sete di aria, ho scorto vicino a me un’altra presenza.
Era la NERA SIGNORA che mi guardava con occhi di ghiaccio. Ha incrociato il mio sguardo poi se ne è andata.
Sembrava tutto più facile. Credevo di avere in me la forza necessaria per non permettere al cancro di sconvolgere la mia vita, non più di tanto, ma non è così.
La gente mi passa accanto e mi guarda incuriosita. Forse si domandano perché io stia lì, immobile, stringendo con forza la borsa, con il freddo che fa.
Ma io non lo sento il freddo, non sento nulla. Come è possibile che io abbia tanta paura? Dovevo pur saperlo che stavo affrontando non un male banale, che se è chiamato il male del secolo un motivo deve pur esserci.
E invece no.
Fino ad ora ho pensato che bastasse curarsi, accettare come inevitabili le conseguenze della terapia, continuando a fare la vita di sempre.
E invece no.
Ho fede, pensavo, e questo mi aiuterà a non perdere la serenità.
E invece no.
Tutto è cambiato. Io sono cambiata.
Sembra ieri che Mauro, quando gli ho detto: “Ho il cancro” mi ha preso il viso tra le mani, e mi ha fissato con uno sguardo colmo di amore e di dolore. Con voce rotta dall’emozione mi ha chiesto di combattere, di non mollare perché la sua vita senza di me non avrebbe avuto senso.
Invece sono trascorsi mesi.
Io non riesco a guardare il mio corpo mutilato, lui sì, e dice che sono sempre bella.
Il giorno di ogni chemioterapia all’ora di pranzo puntuale si è presentato con il caffè.
I capelli sono caduti, indossavo parrucca o foulard ma lui scherzosamente mi chiamava signora del faraone ed ho rinunciato a coprirmi.
I vestiti diventavano stretti e lui mi ha preso per mano ed ha scelto per me altri abiti sbarazzini perché, dice, è così che mi vuole, frizzante come lo sono sempre stata.
Le mani si sono gonfiate e più volte Mauro si è presentato a casa con degli anellini che per me contano più dei diamanti.
Ora è lui che fa il casalingo perché non ho più la libertà di sollevare nulla. Mi offre il suo aiuto anche per le più piccole cose e ogni giorno mi dimostra quanto sia forte il legame che ci unisce.
Sa che quando soffro voglio restare sola e, accorgendosene, mi resta vicino in silenzio.
Solo ora mi rendo conto di cosa mi sia veramente accaduto.
La morte, la malattia sì lo sappiamo tutti che entrano in ogni vita ma pensiamo a loro di sfuggita, con fastidio.
Ora no, sono presenti e si fanno sentire.
Come sarà veramente la mia vita da oggi?
Sin dall’inizio ho promesso di lottare ma ne sarò capace ora che sento l’anima e la mente anch’esse invase dal male?
Come si può convivere con questa devastante sensazione che sento? Sono stretta all’angolo ma c’è una via d’uscita?
Il tempo passa, ed io non so quanto ne abbia trascorso, seduta qui, su questa panchina.
All’improvviso però sento dentro di me una rabbia che piano piano si fa più forte.
Cosa mi è venuto in mente? Cosa sono tutti questi pensieri colmi di disperazione?
No, io non sono così.
Ho sempre pensato e agito con forza, con coraggio e non posso permettere che tutto quanto accaduto distrugga la mia vita.
Da trentacinque anni le mani e le braccia mi tormentano. Ho affrontato decine di interventi ma non mi sono mai arresa. Con il gesso prima, con la fascia poi, andavo avanti e cercavo di non dare peso al dolore che provavo.
Non mi sono mai sentita invalida, diversa.
Per la prima volta sento che ho bisogno di aiuto e lo chiederò.
Si è vero il cancro non è, almeno per me, una malattia ma un nemico personale, molto più forte di me, ma non per questo debbo rinunciare a combatterlo. Se metterò in campo tutte le mie forze, certamente riuscirò a contrastarlo.
Ho deciso.
Io non mollo.
Ora prenderò il telefono, chiederò a Mauro di venirmi a prendere.
Quando sarà qui, accanto a me prenderò le sue mani tra le mie e gli dirò “Stai pur tranquillo amore, sappi che io non mollo”.
Per me, per te, per i nostri ragazzi, per i nostri piccolini.
Dovrò imparare a costruirmi una nuova vita perché ora mi sento diversa. Sento di avere una nuova possibilità e voglio provare a sfruttarla fino in fondo.
Ognuno di noi nasce con dei talenti, doni che Dio ci ha dato perché li usassimo rendendo così la nostra vita più piena ed io voglio scoprire quali sono i miei, sfruttarli, lasciare una traccia di me ancora più profonda nel cuore di chi amo.
Non mollo perché voglio sapere come ci si può sentire ad amarsi almeno un po’ anche con un corpo sgangherato come il mio.
Non mollo perché voglio sentire ancora quella dolce tenerezza che mi danno gli abbracci dei miei fratelli che mi fanno ritornare bambina, protetta, amata.
Non mollo perché voglio continuare a provare la sensazione di pace profonda che mi da il mare d’inverno quando tutto è grigio e silenzio, e penso che così è la vita, a volte burrascosa, piena di insidie ma poi torna sempre la calma, la serenità.
Non mollo perché ho ancora tanti rossi tramonti da ammirare, tanti fiori da veder nascere.
Non mollo perché so che i miei ragazzi, pur se grandi, hanno ancora bisogno di me, di questa madre che li ha amati e li ama con tutta se stessa, e che si è sempre sentita fortunata perché ha realizzato il suo sogno più grande: una famiglia unita.
Non mollo perché voglio veder crescere i miei cuccioli, godere dei loro abbracci, essere la nonna che racconta favole, che consola, che può dar loro tanto amore.
E non mollo perché ci sei tu.
Tu che hai trascorso con me questi anni, che ho sentito sempre vicino. Insieme abbiamo gioito, sofferto, pianto, sperato. Ti ho dato tutto il mio amore, i miei pensieri.
E’ tornata l’estate e, come avevo previsto, momenti sereni si sono alternati a momenti bui.
Ma anche se lentamente, sto riprendendo in mano la mia vita.
Oggi è un “giorno sì” e, visto che è veramente merce rara, me lo voglio proprio godere tutto.
Oggi voglio sentirmi bene, felice di essere viva.
Il sole splende, i figli e i nipotini ci hanno dato un po’ di vacanza, Mauro è impegnato a costruire giochi di legno e sono sola in casa.
Mi metto davanti allo specchio e l’immagine che vedo non è certo esaltante.
I capelli sono da poco rispuntati, gli occhi senza ciglia sembrano quelli del protagonista di un film che ha appena visto uscire dalla cantina un mostriciattolo, la pelle arrossata a causa della luce, il viso e il resto del corpo leggermente gonfi per le terapie.
Ma non mi scoraggio.
Stendo sul letto con molta cura i miei vestitini appena acquistati, il reggiseno con protesi incorporata, tolgo il pigiama e comincio a fare la modella.
Certo, così l’aspetto migliora ma non molto.
Di trucco nemmeno a parlarne perché gli occhi sono sofferenti ma di collane e altra chincaglieria sì.
Passo molto tempo così, cercando di abbinare colori, di trattenere il fiato per far sparire la pancia ma non ci siamo ancora.
Allora comincio a parlare con l’immagine riflessa dallo specchio e, nel momento in cui sorrido, ecco che tutto cambia.
Sono carina.
Ce ne è voluto di tempo ma finalmente ho capito cosa debbo indossare per sentirmi meglio: un sorriso.
Non un sorriso qualunque ma uno che venga dal cuore, che trasmetta gioia, serenità.
Accidenti però, come si può fare per averlo a portata di mano tutti i giorni? Pensando a Mauro, il mio amore da una vita? Ai miei figli e ai nipotini?
No, non basta.
Poi il lampo.
Pensare un po’ di più a me stessa, volermi più bene.
Dai, forza piccola donna, pensa a come può essere veramente piena la vita se, nulla togliendo a chi ti ama, incominci a pretendere tempo per te.
Tempo per scrivere, ascoltare musica, creare qualcosa di veramente importante, sentirti viva dentro con la voglia che inizi un altro giorno per avere ancora tempo da spendere per te.
Non ci credi? E allora prova.
Pensa a chi hai amato e non c’è più. I tuoi cari non hanno certo avuto una vita facile ma li hai mai sentiti lamentarsi? Loro sì che avevano capito!
La vita è un enorme calderone di prove difficili, di dolore ma se guardi bene puoi vedere che contiene anche tante altre cose.
L’amore, l’amicizia, la bellezza di un prato in fiore, il sole che sorge dal mare. Anche la natura dovrebbe insegnarti che esiste il tempo del calore, del freddo, della crescita e della fine.
Così è anche la vita.
E allora, piccola donna che mi guardi dallo specchio apri il tuo cuore alla speranza, accetta i tuoi limiti, non vergognarti di avere paura, lasciati amare, lasciati scaldare dal sole, dona il tuo sorriso anche a te stessa.
Non so se è normale parlarsi così a voce alta ma la parola normalità a me non è mai piaciuta e la scoperta che sono ancora capace di sorridere anche con il cuore, mi fa stare bene.
Scelgo un vestitino, una collanina e dei sandali. Saluto con un sorriso la donna dello specchio e raggiungo Mauro.
Senza parlare gli tolgo dalle mani il trenino che sta dipingendo e gli chiedo: “Andiamo al mare a raccogliere conchiglie?”
Lui mi guarda, sorride mi prende per mano e così, senza dire nulla partiamo.
Le conchiglie ci aspettano.
Maria Carla Bracaccini - Io non mollo
Sono stesa sul lettino, la dottoressa da una parte l’infermiera dall’altra. Non riesco a respirare. Bloccano il flusso della chemio, mi dicono di stare tranquilla ma io non respiro.
Finalmente, dopo secondi che sembrano eterni, tutto passa. Non ne potrò fare più.
Esco dall’ospedale ma non chiamo mio marito Mauro per venirmi a prendere. Mi siedo su una panchina, svuotata da ogni energia.
Quando, stesa sul lettino, cercavo invano di placare la mia sete di aria, ho scorto vicino a me un’altra presenza.
Era la NERA SIGNORA che mi guardava con occhi di ghiaccio. Ha incrociato il mio sguardo poi se ne è andata.
Sembrava tutto più facile. Credevo di avere in me la forza necessaria per non permettere al cancro di sconvolgere la mia vita, non più di tanto, ma non è così.
La gente mi passa accanto e mi guarda incuriosita. Forse si domandano perché io stia lì, immobile, stringendo con forza la borsa, con il freddo che fa.
Ma io non lo sento il freddo, non sento nulla. Come è possibile che io abbia tanta paura? Dovevo pur saperlo che stavo affrontando non un male banale, che se è chiamato il male del secolo un motivo deve pur esserci.
E invece no.
Fino ad ora ho pensato che bastasse curarsi, accettare come inevitabili le conseguenze della terapia, continuando a fare la vita di sempre.
E invece no.
Ho fede, pensavo, e questo mi aiuterà a non perdere la serenità.
E invece no.
Tutto è cambiato. Io sono cambiata.
Sembra ieri che Mauro, quando gli ho detto: “Ho il cancro” mi ha preso il viso tra le mani, e mi ha fissato con uno sguardo colmo di amore e di dolore. Con voce rotta dall’emozione mi ha chiesto di combattere, di non mollare perché la sua vita senza di me non avrebbe avuto senso.
Invece sono trascorsi mesi.
Io non riesco a guardare il mio corpo mutilato, lui sì, e dice che sono sempre bella.
Il giorno di ogni chemioterapia all’ora di pranzo puntuale si è presentato con il caffè.
I capelli sono caduti, indossavo parrucca o foulard ma lui scherzosamente mi chiamava signora del faraone ed ho rinunciato a coprirmi.
I vestiti diventavano stretti e lui mi ha preso per mano ed ha scelto per me altri abiti sbarazzini perché, dice, è così che mi vuole, frizzante come lo sono sempre stata.
Le mani si sono gonfiate e più volte Mauro si è presentato a casa con degli anellini che per me contano più dei diamanti.
Ora è lui che fa il casalingo perché non ho più la libertà di sollevare nulla. Mi offre il suo aiuto anche per le più piccole cose e ogni giorno mi dimostra quanto sia forte il legame che ci unisce.
Sa che quando soffro voglio restare sola e, accorgendosene, mi resta vicino in silenzio.
Solo ora mi rendo conto di cosa mi sia veramente accaduto.
La morte, la malattia sì lo sappiamo tutti che entrano in ogni vita ma pensiamo a loro di sfuggita, con fastidio.
Ora no, sono presenti e si fanno sentire.
Come sarà veramente la mia vita da oggi?
Sin dall’inizio ho promesso di lottare ma ne sarò capace ora che sento l’anima e la mente anch’esse invase dal male?
Come si può convivere con questa devastante sensazione che sento? Sono stretta all’angolo ma c’è una via d’uscita?
Il tempo passa, ed io non so quanto ne abbia trascorso, seduta qui, su questa panchina.
All’improvviso però sento dentro di me una rabbia che piano piano si fa più forte.
Cosa mi è venuto in mente? Cosa sono tutti questi pensieri colmi di disperazione?
No, io non sono così.
Ho sempre pensato e agito con forza, con coraggio e non posso permettere che tutto quanto accaduto distrugga la mia vita.
Da trentacinque anni le mani e le braccia mi tormentano. Ho affrontato decine di interventi ma non mi sono mai arresa. Con il gesso prima, con la fascia poi, andavo avanti e cercavo di non dare peso al dolore che provavo.
Non mi sono mai sentita invalida, diversa.
Per la prima volta sento che ho bisogno di aiuto e lo chiederò.
Si è vero il cancro non è, almeno per me, una malattia ma un nemico personale, molto più forte di me, ma non per questo debbo rinunciare a combatterlo. Se metterò in campo tutte le mie forze, certamente riuscirò a contrastarlo.
Ho deciso.
Io non mollo.
Ora prenderò il telefono, chiederò a Mauro di venirmi a prendere.
Quando sarà qui, accanto a me prenderò le sue mani tra le mie e gli dirò “Stai pur tranquillo amore, sappi che io non mollo”.
Per me, per te, per i nostri ragazzi, per i nostri piccolini.
Dovrò imparare a costruirmi una nuova vita perché ora mi sento diversa. Sento di avere una nuova possibilità e voglio provare a sfruttarla fino in fondo.
Ognuno di noi nasce con dei talenti, doni che Dio ci ha dato perché li usassimo rendendo così la nostra vita più piena ed io voglio scoprire quali sono i miei, sfruttarli, lasciare una traccia di me ancora più profonda nel cuore di chi amo.
Non mollo perché voglio sapere come ci si può sentire ad amarsi almeno un po’ anche con un corpo sgangherato come il mio.
Non mollo perché voglio sentire ancora quella dolce tenerezza che mi danno gli abbracci dei miei fratelli che mi fanno ritornare bambina, protetta, amata.
Non mollo perché voglio continuare a provare la sensazione di pace profonda che mi da il mare d’inverno quando tutto è grigio e silenzio, e penso che così è la vita, a volte burrascosa, piena di insidie ma poi torna sempre la calma, la serenità.
Non mollo perché ho ancora tanti rossi tramonti da ammirare, tanti fiori da veder nascere.
Non mollo perché so che i miei ragazzi, pur se grandi, hanno ancora bisogno di me, di questa madre che li ha amati e li ama con tutta se stessa, e che si è sempre sentita fortunata perché ha realizzato il suo sogno più grande: una famiglia unita.
Non mollo perché voglio veder crescere i miei cuccioli, godere dei loro abbracci, essere la nonna che racconta favole, che consola, che può dar loro tanto amore.
E non mollo perché ci sei tu.
Tu che hai trascorso con me questi anni, che ho sentito sempre vicino. Insieme abbiamo gioito, sofferto, pianto, sperato. Ti ho dato tutto il mio amore, i miei pensieri.
E’ tornata l’estate e, come avevo previsto, momenti sereni si sono alternati a momenti bui.
Ma anche se lentamente, sto riprendendo in mano la mia vita.
Oggi è un “giorno sì” e, visto che è veramente merce rara, me lo voglio proprio godere tutto.
Oggi voglio sentirmi bene, felice di essere viva.
Il sole splende, i figli e i nipotini ci hanno dato un po’ di vacanza, Mauro è impegnato a costruire giochi di legno e sono sola in casa.
Mi metto davanti allo specchio e l’immagine che vedo non è certo esaltante.
I capelli sono da poco rispuntati, gli occhi senza ciglia sembrano quelli del protagonista di un film che ha appena visto uscire dalla cantina un mostriciattolo, la pelle arrossata a causa della luce, il viso e il resto del corpo leggermente gonfi per le terapie.
Ma non mi scoraggio.
Stendo sul letto con molta cura i miei vestitini appena acquistati, il reggiseno con protesi incorporata, tolgo il pigiama e comincio a fare la modella.
Certo, così l’aspetto migliora ma non molto.
Di trucco nemmeno a parlarne perché gli occhi sono sofferenti ma di collane e altra chincaglieria sì.
Passo molto tempo così, cercando di abbinare colori, di trattenere il fiato per far sparire la pancia ma non ci siamo ancora.
Allora comincio a parlare con l’immagine riflessa dallo specchio e, nel momento in cui sorrido, ecco che tutto cambia.
Sono carina.
Ce ne è voluto di tempo ma finalmente ho capito cosa debbo indossare per sentirmi meglio: un sorriso.
Non un sorriso qualunque ma uno che venga dal cuore, che trasmetta gioia, serenità.
Accidenti però, come si può fare per averlo a portata di mano tutti i giorni? Pensando a Mauro, il mio amore da una vita? Ai miei figli e ai nipotini?
No, non basta.
Poi il lampo.
Pensare un po’ di più a me stessa, volermi più bene.
Dai, forza piccola donna, pensa a come può essere veramente piena la vita se, nulla togliendo a chi ti ama, incominci a pretendere tempo per te.
Tempo per scrivere, ascoltare musica, creare qualcosa di veramente importante, sentirti viva dentro con la voglia che inizi un altro giorno per avere ancora tempo da spendere per te.
Non ci credi? E allora prova.
Pensa a chi hai amato e non c’è più. I tuoi cari non hanno certo avuto una vita facile ma li hai mai sentiti lamentarsi? Loro sì che avevano capito!
La vita è un enorme calderone di prove difficili, di dolore ma se guardi bene puoi vedere che contiene anche tante altre cose.
L’amore, l’amicizia, la bellezza di un prato in fiore, il sole che sorge dal mare. Anche la natura dovrebbe insegnarti che esiste il tempo del calore, del freddo, della crescita e della fine.
Così è anche la vita.
E allora, piccola donna che mi guardi dallo specchio apri il tuo cuore alla speranza, accetta i tuoi limiti, non vergognarti di avere paura, lasciati amare, lasciati scaldare dal sole, dona il tuo sorriso anche a te stessa.
Non so se è normale parlarsi così a voce alta ma la parola normalità a me non è mai piaciuta e la scoperta che sono ancora capace di sorridere anche con il cuore, mi fa stare bene.
Scelgo un vestitino, una collanina e dei sandali. Saluto con un sorriso la donna dello specchio e raggiungo Mauro.
Senza parlare gli tolgo dalle mani il trenino che sta dipingendo e gli chiedo: “Andiamo al mare a raccogliere conchiglie?”
Lui mi guarda, sorride mi prende per mano e così, senza dire nulla partiamo.
Le conchiglie ci aspettano.
Premio "Provincia cronica" (III edizione - sezione racconti)
Maurizio Brescia - Sidecar
Ognuno aveva i propri sogni, la televisione stava prendendo piede e, anche se si andava ad assistere ad alcuni programmi in un bar o al cinema, si diffondevano nella mente degli spettatori nuovi bisogni, ma soprattutto la convinzione che i desideri rappresentassero delle vere necessità.
Ambrogio Schiavi era un operaio del Comune di Milano, lavorava nell’Officina Moto e oltre ad essere un esperto nel diagnosticare i guasti e nel ripararli era un vero appassionato di motociclette.
Purtroppo per molto tempo la possibilità di guidare una moto l’aveva avuta solamente durante i giri di prova all’interno del cortile che circondava i capannoni del Complesso Industriale presso il quale lavorava. Per andare e tornare dal lavoro utilizzava la bicicletta, un bel giorno venne a sapere che alcune motociclette in uso ai Vigili Urbani, sarebbero state alienate per essere sostituite con mezzi nuovi.
Andò subito a parlare col suo capo; questi era in buoni rapporti con l’Ingegnere che dirigeva il complesso, ma purtroppo anche l’Ingegnere non poteva trovare scorciatoie per rendere possibile l’acquisto di un mezzo da parte dello Schiavi. La burocrazia, purtroppo doveva seguire il suo iter. La gara d’appalto per la fornitura delle macchine nuove e il ritiro di quelle usate appariva di lunga durata.
Ambrogio quelle moto da alienare le conosceva una per una, vi aveva posto le mani molte volte e avrebbe potuto recitarne a memoria pregi e difetti. In attesa che l’iter prendesse l’abbrivio necessario, aveva già scelto il mezzo per sé. Fin dall’inizio si era dimostrata una buona moto; rispetto alle altre che risentivano dell’uso non sempre esemplare da parte dei Vigili, quella aveva patito pochissimo, era stata sottoposta alle scadenze fissate, solamente alla manutenzione ordinaria.
Il prezzo rappresentava un mistero, si sarebbe potuto sapere solamente a gara conclusa, ma era opinione comune che sarebbe stato modesto, solamente poco più di un rottame.
La fantasia galoppava, già si vedeva a cavallo del suo bolide, sfrecciare per le vie della città, ma soprattutto per le strade provinciali, affrontare salite, gareggiare con altri, fermarsi davanti al bar e ricevere i complimenti dei presenti per la pulizia e la lucentezza del mezzo.
Caricato dall’entusiasmo e dalla speranza, era già quasi riuscito a stancare i colleghi; in genere lo trovavano simpatico e di compagnia, ma da quando aveva cominciato a parlare della sua moto, riusciva, ora di sera, a diventare molesto.
L’unica persona che partecipava al suo entusiasmo era suo fratello Giuliano; anche lui lavorava nel Complesso Industriale con la qualifica di falegname. Più schivo del fratello covava a sua volta un sogno: viaggiare in sidecar.
Aveva dei problemi di vista e pur avendo la patente non se la sentiva di condurre in sicurezza una moto. L’attirava l’idea di viaggiare col vento in faccia, ma seduto comodamente e senza la responsabilità della guida. Per la paura di essere deriso dai colleghi che nelle loro prese in giro andavano giù piuttosto pesanti, conservava il suo desiderio nel cuore senza farne pubblicità.
Quando Ambrogio venne a sapere che la pratica dei nuovi acquisti era giunta a buon punto, ritenne opportuno parlarne con la moglie. Donna nata e cresciuta in campagna, dove la gente usava le proprie gambe per spostarsi, era completamente indifferente ai mezzi meccanici, l’unico mezzo di cui usufruiva, seppur saltuariamente, era il tram. In compenso era un’appassionata frequentatrice del cinema vicino a casa, in cui trasmettevano i suoi programmi preferiti. Naturalmente trasmettevano anche la réclame e stava giusto facendo un pensierino per il frigorifero. Le sarebbe piaciuto avere un televisore tutto per sé, ma i prezzi erano ancora proibitivi, la lavatrice al momento non la riteneva indispensabile.
Mentre preparava la cena, ascoltava il marito che illustrava l’opportunità di acquistare una moto, così non avrebbe più dovuto pedalare per andare al lavoro e per sbrigare commissioni, inoltre, alla domenica avrebbero potuto fare qualche gita. Lui ci mise tutto il suo entusiasmo e alla fine, convinto di averla fatta capitolare con sua capacità oratoria, ottenne solamente un: “E’ pronto!”.
A tavola, un po’ scocciato, stava giocherellando con il cibo, quando a tradimento, arrivò la staffilata: “Va bene, però prima prendiamo il frigorifero.” Ci aveva pensato anche lui e infatti il prosieguo del discorso, se avesse avuto prima qualche riscontro, dopo aver esaurito l’argomento moto, sarebbe stato di proporre l’acquisto dell’elettrodomestico. Finse tuttavia di rimanere sorpreso; purché non venisse rigettata la possibilità di soddisfare il proprio desiderio, era dispostissimo ad acquistare anche dell’altro.
Occorse ancora un mese per entrare in possesso del mezzo, ma finalmente il sogno si avverò. Il nostro uomo non stava più nella pelle dalla contentezza, rimirava il suo tesoro, montava, scendeva, provava, regolava anche se dal punto di vista meccanico c’era ben poco da fare.
La carrozzeria, oltre ad essere di un deprimente colore grigio-verde, recava molti piccoli segni, graffi e microscopiche ammaccature che necessitava eliminare.
In fondo al cortile della casa in cui abitava si trovava un magazzino con una parte non utilizzata; riuscito ad accaparrarsi quello spazio, nel tempo libero, allestì, secondo lui, la moto più bella del mondo. Rossa fiammante con i profili neri, cromature che brillavano, pedali e pomelli nuovi, non sembrava minimamente quella cosa brutta e malmessa che era stata solo poco tempo prima.
Venne il giorno della presentazione, dapprima alla moglie; la guardò appena e affermò senza indugio: ” Io su quella roba lì non ci salgo!”
Il mezzo ripristinato ottenne molto più successo con i colleghi di lavoro. Quelli del reparto moto, in quanto esperti, apprezzarono il lavoro svolto e tirarono un sospiro di sollievo: “Finalmente la smetterai di stancare le orecchie a tutti e......... complimenti per il risultato”. Apparve qualche bottiglia e con il concorso di operai degli altri reparti, l’Officina Moto si trasformò ben presto in un posto affollato di gente allegra.
Un po’ in disparte Giuliano ammirava l’opera del fratello e, mentalmente stava ideando tutti gli accorgimenti per applicare il carrozzino, che ancora non aveva, alla moto.
Ambrogio, oltre ad utilizzare il mezzo per andare a lavorare, alla domenica iniziò a fare qualche giretto. Era l’uomo più contento della terra, non stava mai via molto, gli spiaceva abbandonare la moglie anche alla domenica, d’altra parte, a spasso con la moto, era lei che non ci voleva andare.
Un pomeriggio all’uscita dal lavoro trovò ad attenderlo al cancello Giuliano che gli chiese se poteva andare con lui perché aveva necessità di parlargli. Fra i due fratelli c’era armonia, ma nessuno sapeva spiegare il motivo per cui di norma non si frequentassero fuori dal lavoro. Forse una delle cause poteva essere una certa antipatia che Giuliano avvertiva nei confronti della cognata.
Giunti a casa di Ambrogio, Giuliano spiegò il motivo della visita; si mise a raccontare della sua segreta passione per il sidecar. Dalle sue parole traspariva un fervore del quale il fratello non aveva mai sospettato e che in breve tempo contagiò anche lui, soprattutto dopo aver saputo che l’appendice sarebbe stata facilmente smontabile qualora non fosse servita.
La moglie di Ambrogio si dava da fare in cucina per preparare la cena anche per l’ospite inatteso.
Presi dall’entusiasmo decisero di interessarsi per trovare un carrozzino che si adattasse a quella moto. Ambrogio non fu del tutto sorpreso nello scoprire che il fratello era già molto avanti nella ricerca, anzi praticamente il mezzo c’era già, bastava andarlo a vedere insieme e trattare il prezzo.
Si misero d’accordo per la domenica successiva e, valutate le questioni tecniche ed economiche, l’affare fu concluso.
Venne occupata nuovamente la parte di magazzino in cui era stata sistemata la moto e il sidecar divenne degno di viaggiarle a fianco.
L’abbinamento dei due mezzi riuscì perfettamente; c’era di che essere orgogliosi, in un’epoca in cui le automobili le possedevano solamente le persone benestanti, avere una moto grossa col carrozzino, rappresentava senza dubbio un segno di distinzione.
Il popolo delle Officine Comunali, approfittò della nuova presentazione per un’altra bevuta.
Risolto il problema del parcheggio notturno con l’uso del magazzino, alla domenica, attrezzati di caschi in cuoio e occhialoni, fecero un bel giretto per impratichirsi. Specialmente Ambrogio dovette fare pratica con un comportamento completamente nuovo del mezzo. Le prime perplessità e incertezze, ora di sera furono dimenticate e guidando con scioltezza, fecero ritorno a casa.
Per la domenica successiva venne organizzata l’escursione seria. Itinerario scelto Erba-Asso-Madonna del Ghisallo-Bellagio e ritorno da Como. La strada la conoscevano bene, l’avevano percorsa decine di volte in bicicletta.
La domenica mattina di buon’ora, forniti di colazione al sacco, via.
Percorsero tutta la strada in salita, prima con cautela poi con maggiore sicurezza; la moto cantava perfettamente, al bisogno, con l’apposito manettino, una regolata all’anticipo e avanti.
Sosta e visita al Santuario, discesa con cautela a Bellagio. Un’occhiata al paesaggio e via sulla stretta e tortuosa strada per Como.
Erano felici, dalla gioia avevano perfino intonato una canzone. Prima di Lezzeno all’uscita di una galleria scavata nella roccia, una macchia d’olio sulla carreggiata, l’uso improprio del freno, non si seppe mai, il mezzo sbandò andando a fracassarsi contro la parete di roccia nella carreggiata opposta. Giuliano ancora con la canzone in gola venne sbalzato dal carrozzino, picchiò il capo contro la roccia e lì rimase. Ambrogio puntandosi sul manubrio riuscì a salvarsi per miracolo, ma quando uscì dall’ospedale, pieno di lividi, di ossa aggiustate e di rimorso, aveva del tutto perso la passione per la moto.
Maurizio Brescia - Sidecar
Ognuno aveva i propri sogni, la televisione stava prendendo piede e, anche se si andava ad assistere ad alcuni programmi in un bar o al cinema, si diffondevano nella mente degli spettatori nuovi bisogni, ma soprattutto la convinzione che i desideri rappresentassero delle vere necessità.
Ambrogio Schiavi era un operaio del Comune di Milano, lavorava nell’Officina Moto e oltre ad essere un esperto nel diagnosticare i guasti e nel ripararli era un vero appassionato di motociclette.
Purtroppo per molto tempo la possibilità di guidare una moto l’aveva avuta solamente durante i giri di prova all’interno del cortile che circondava i capannoni del Complesso Industriale presso il quale lavorava. Per andare e tornare dal lavoro utilizzava la bicicletta, un bel giorno venne a sapere che alcune motociclette in uso ai Vigili Urbani, sarebbero state alienate per essere sostituite con mezzi nuovi.
Andò subito a parlare col suo capo; questi era in buoni rapporti con l’Ingegnere che dirigeva il complesso, ma purtroppo anche l’Ingegnere non poteva trovare scorciatoie per rendere possibile l’acquisto di un mezzo da parte dello Schiavi. La burocrazia, purtroppo doveva seguire il suo iter. La gara d’appalto per la fornitura delle macchine nuove e il ritiro di quelle usate appariva di lunga durata.
Ambrogio quelle moto da alienare le conosceva una per una, vi aveva posto le mani molte volte e avrebbe potuto recitarne a memoria pregi e difetti. In attesa che l’iter prendesse l’abbrivio necessario, aveva già scelto il mezzo per sé. Fin dall’inizio si era dimostrata una buona moto; rispetto alle altre che risentivano dell’uso non sempre esemplare da parte dei Vigili, quella aveva patito pochissimo, era stata sottoposta alle scadenze fissate, solamente alla manutenzione ordinaria.
Il prezzo rappresentava un mistero, si sarebbe potuto sapere solamente a gara conclusa, ma era opinione comune che sarebbe stato modesto, solamente poco più di un rottame.
La fantasia galoppava, già si vedeva a cavallo del suo bolide, sfrecciare per le vie della città, ma soprattutto per le strade provinciali, affrontare salite, gareggiare con altri, fermarsi davanti al bar e ricevere i complimenti dei presenti per la pulizia e la lucentezza del mezzo.
Caricato dall’entusiasmo e dalla speranza, era già quasi riuscito a stancare i colleghi; in genere lo trovavano simpatico e di compagnia, ma da quando aveva cominciato a parlare della sua moto, riusciva, ora di sera, a diventare molesto.
L’unica persona che partecipava al suo entusiasmo era suo fratello Giuliano; anche lui lavorava nel Complesso Industriale con la qualifica di falegname. Più schivo del fratello covava a sua volta un sogno: viaggiare in sidecar.
Aveva dei problemi di vista e pur avendo la patente non se la sentiva di condurre in sicurezza una moto. L’attirava l’idea di viaggiare col vento in faccia, ma seduto comodamente e senza la responsabilità della guida. Per la paura di essere deriso dai colleghi che nelle loro prese in giro andavano giù piuttosto pesanti, conservava il suo desiderio nel cuore senza farne pubblicità.
Quando Ambrogio venne a sapere che la pratica dei nuovi acquisti era giunta a buon punto, ritenne opportuno parlarne con la moglie. Donna nata e cresciuta in campagna, dove la gente usava le proprie gambe per spostarsi, era completamente indifferente ai mezzi meccanici, l’unico mezzo di cui usufruiva, seppur saltuariamente, era il tram. In compenso era un’appassionata frequentatrice del cinema vicino a casa, in cui trasmettevano i suoi programmi preferiti. Naturalmente trasmettevano anche la réclame e stava giusto facendo un pensierino per il frigorifero. Le sarebbe piaciuto avere un televisore tutto per sé, ma i prezzi erano ancora proibitivi, la lavatrice al momento non la riteneva indispensabile.
Mentre preparava la cena, ascoltava il marito che illustrava l’opportunità di acquistare una moto, così non avrebbe più dovuto pedalare per andare al lavoro e per sbrigare commissioni, inoltre, alla domenica avrebbero potuto fare qualche gita. Lui ci mise tutto il suo entusiasmo e alla fine, convinto di averla fatta capitolare con sua capacità oratoria, ottenne solamente un: “E’ pronto!”.
A tavola, un po’ scocciato, stava giocherellando con il cibo, quando a tradimento, arrivò la staffilata: “Va bene, però prima prendiamo il frigorifero.” Ci aveva pensato anche lui e infatti il prosieguo del discorso, se avesse avuto prima qualche riscontro, dopo aver esaurito l’argomento moto, sarebbe stato di proporre l’acquisto dell’elettrodomestico. Finse tuttavia di rimanere sorpreso; purché non venisse rigettata la possibilità di soddisfare il proprio desiderio, era dispostissimo ad acquistare anche dell’altro.
Occorse ancora un mese per entrare in possesso del mezzo, ma finalmente il sogno si avverò. Il nostro uomo non stava più nella pelle dalla contentezza, rimirava il suo tesoro, montava, scendeva, provava, regolava anche se dal punto di vista meccanico c’era ben poco da fare.
La carrozzeria, oltre ad essere di un deprimente colore grigio-verde, recava molti piccoli segni, graffi e microscopiche ammaccature che necessitava eliminare.
In fondo al cortile della casa in cui abitava si trovava un magazzino con una parte non utilizzata; riuscito ad accaparrarsi quello spazio, nel tempo libero, allestì, secondo lui, la moto più bella del mondo. Rossa fiammante con i profili neri, cromature che brillavano, pedali e pomelli nuovi, non sembrava minimamente quella cosa brutta e malmessa che era stata solo poco tempo prima.
Venne il giorno della presentazione, dapprima alla moglie; la guardò appena e affermò senza indugio: ” Io su quella roba lì non ci salgo!”
Il mezzo ripristinato ottenne molto più successo con i colleghi di lavoro. Quelli del reparto moto, in quanto esperti, apprezzarono il lavoro svolto e tirarono un sospiro di sollievo: “Finalmente la smetterai di stancare le orecchie a tutti e......... complimenti per il risultato”. Apparve qualche bottiglia e con il concorso di operai degli altri reparti, l’Officina Moto si trasformò ben presto in un posto affollato di gente allegra.
Un po’ in disparte Giuliano ammirava l’opera del fratello e, mentalmente stava ideando tutti gli accorgimenti per applicare il carrozzino, che ancora non aveva, alla moto.
Ambrogio, oltre ad utilizzare il mezzo per andare a lavorare, alla domenica iniziò a fare qualche giretto. Era l’uomo più contento della terra, non stava mai via molto, gli spiaceva abbandonare la moglie anche alla domenica, d’altra parte, a spasso con la moto, era lei che non ci voleva andare.
Un pomeriggio all’uscita dal lavoro trovò ad attenderlo al cancello Giuliano che gli chiese se poteva andare con lui perché aveva necessità di parlargli. Fra i due fratelli c’era armonia, ma nessuno sapeva spiegare il motivo per cui di norma non si frequentassero fuori dal lavoro. Forse una delle cause poteva essere una certa antipatia che Giuliano avvertiva nei confronti della cognata.
Giunti a casa di Ambrogio, Giuliano spiegò il motivo della visita; si mise a raccontare della sua segreta passione per il sidecar. Dalle sue parole traspariva un fervore del quale il fratello non aveva mai sospettato e che in breve tempo contagiò anche lui, soprattutto dopo aver saputo che l’appendice sarebbe stata facilmente smontabile qualora non fosse servita.
La moglie di Ambrogio si dava da fare in cucina per preparare la cena anche per l’ospite inatteso.
Presi dall’entusiasmo decisero di interessarsi per trovare un carrozzino che si adattasse a quella moto. Ambrogio non fu del tutto sorpreso nello scoprire che il fratello era già molto avanti nella ricerca, anzi praticamente il mezzo c’era già, bastava andarlo a vedere insieme e trattare il prezzo.
Si misero d’accordo per la domenica successiva e, valutate le questioni tecniche ed economiche, l’affare fu concluso.
Venne occupata nuovamente la parte di magazzino in cui era stata sistemata la moto e il sidecar divenne degno di viaggiarle a fianco.
L’abbinamento dei due mezzi riuscì perfettamente; c’era di che essere orgogliosi, in un’epoca in cui le automobili le possedevano solamente le persone benestanti, avere una moto grossa col carrozzino, rappresentava senza dubbio un segno di distinzione.
Il popolo delle Officine Comunali, approfittò della nuova presentazione per un’altra bevuta.
Risolto il problema del parcheggio notturno con l’uso del magazzino, alla domenica, attrezzati di caschi in cuoio e occhialoni, fecero un bel giretto per impratichirsi. Specialmente Ambrogio dovette fare pratica con un comportamento completamente nuovo del mezzo. Le prime perplessità e incertezze, ora di sera furono dimenticate e guidando con scioltezza, fecero ritorno a casa.
Per la domenica successiva venne organizzata l’escursione seria. Itinerario scelto Erba-Asso-Madonna del Ghisallo-Bellagio e ritorno da Como. La strada la conoscevano bene, l’avevano percorsa decine di volte in bicicletta.
La domenica mattina di buon’ora, forniti di colazione al sacco, via.
Percorsero tutta la strada in salita, prima con cautela poi con maggiore sicurezza; la moto cantava perfettamente, al bisogno, con l’apposito manettino, una regolata all’anticipo e avanti.
Sosta e visita al Santuario, discesa con cautela a Bellagio. Un’occhiata al paesaggio e via sulla stretta e tortuosa strada per Como.
Erano felici, dalla gioia avevano perfino intonato una canzone. Prima di Lezzeno all’uscita di una galleria scavata nella roccia, una macchia d’olio sulla carreggiata, l’uso improprio del freno, non si seppe mai, il mezzo sbandò andando a fracassarsi contro la parete di roccia nella carreggiata opposta. Giuliano ancora con la canzone in gola venne sbalzato dal carrozzino, picchiò il capo contro la roccia e lì rimase. Ambrogio puntandosi sul manubrio riuscì a salvarsi per miracolo, ma quando uscì dall’ospedale, pieno di lividi, di ossa aggiustate e di rimorso, aveva del tutto perso la passione per la moto.
Premio "Provincia cronica" (III edizione - sezione racconti)
Emanuela Bosisio - Io valgo
Dedicato a Papa Karol Wojtyla, nel giorno della sua beatificazione; egli un giorno disse: “Tu vali in quanto vale il tuo cuore”.
E ispirato alla vicenda di Iman Al-Obeidi, avvocato di Bengasi sequestrata e violentata da un manipolo di balordi miliziani del regime libico. Nuovamente oltraggiata e prelevata in un hotel di Tripoli, dove si era recata - ancora sotto shock - per raccontare la sua storia ai giornalisti stranieri lì riuniti per un incontro.
Adesso tutto mi sembra brutto e sporco e inutile, e della mia vita non so cosa farne né che ne sarà.
Ma spero con tutto il cuore che il mio gesto, dettato da una disperazione immane, possa rappresentare una svolta.
Un esempio su cui dovrebbero riflettere le donne che, lontane dai regimi dispotici come quello del mio paese, passano il tempo bighellonando, concentrate nella massima preoccupazione di come riempire le proprie giornate, mentre dovrebbero vergognarsi di rendere così insulsa la loro preziosa esistenza.
A me, invece, le ore le hanno riempite quelli che mi hanno presa e tenuta sotto sequestro per due giorni per poi lasciarmi andare ferita, umiliata, violata nel corpo e nell'anima.
Vigliacchi. E come tutti i vigliacchi hanno agito in gruppo; quindici predatori per una sola vittima: donna, giovane, istruita, con la sola colpa di stare dalla parte opposta della barricata.
Sono un avvocato, di storie sciagurate ne ho sentite tante e in cuor mio so che riuscirò a riprendere il controllo della mia vita. Ma intanto sono riusciti a farmi sembrare ciò che non sono: un essere debole, in grado di manifestare la mia frustrazione solo urlando, facendo scenate in pubblico. Però non avrei mai immaginato che la mia ribellione, il mio gesto clamoroso di denuncia potesse avere un epilogo tanto assurdo da mettermi in una condizione ancora peggiore di quella in cui mi ero trovata da sequestrata.
Stavo semplicemente uscendo da Bengasi per andare ad ascoltare un cliente: il mio mestiere è difendere la gente e pensavo di avere massima libertà di movimento nel mio paese. Certo so benissimo in quale periodo stiamo vivendo, in questo paese esasperato da oltre 40 anni di oppressione.
Proprio per questo, per il clima incandescente di quaggiù, noi avvocati abbiamo molto più lavoro del solito, tanto che persino una donna gode di maggior stima e viene ricercata come difensore.
Il mio cliente (a proposito: chissà se dopo quel che è successo mi vorrà ancora ingaggiare) abita fuori Bengasi, dovevo compiere un discreto viaggio per raggiungerlo, ma mi hanno fermata in periferia. Pensavo a un controllo, mi sembrava rassicurante che si vigilasse su chi entrava e usciva dalla città... ma mi sono dovuta ricredere; in realtà ho capito che non avrei passato un buon momento nell'istante esatto in cui mi sono resa conto che si trattava degli uomini del regime.
Temevo un interrogatorio, magari ore a spiegare sotto il sole chi sono e dove intendevo andare. Mentre confabulavano e si avvicinavano preparavo mentalmente il mio discorso, che sarebbe stato un semplice resoconto della verità; mi ero imposta di tenere un atteggiamento calmo e umile.
I loro sguardi facevano paura...
Non mi hanno dato il tempo di spiegare.
Mi hanno afferrata mentre ancora stavo scendendo dall'auto; mi hanno fatta salire a forza sulla loro jeep; non riuscivo nemmeno a urlare, pensavo che se l'avessi fatto avrei peggiorato la mia situazione. Mi sono ripromessa di stare brava, magari mi stavano portando davanti a un loro superiore e a lui avrei spiegato tutto. Non dovevo dimostrarmi ribelle.
Invece mi hanno portata in un edficio diroccato; ho sentito che telefonavano a qualcuno e dopo poco tempo erano di più, erano tanti, erano troppi e si sono avventati su di me vociando, ridendo come delle iene immonde; mi guardavano e pensavano a cosa farmi, a come divertirsi col mio corpo. Poi hanno agito, ognuno aveva in mente la sua idea perversa e la metteva in pratica, per il proprio piacere e il divertimento dei compagni che osservavano.
Sono passate ore ed ore; a malapena ho visto farsi notte due volte, poi tornare mattina per la terza volta. Non ho mangiato nulla, non ho bevuto nulla.
Non so bene cos'è successo: a un certo punto hanno cominciato a litigare, a spingersi, a scazzottarsi; forse volevano un altro turno su di me, forse qualcuno pretendeva di avere la precedenza, forse non si sono trovati d'accordo su chi dovesse farmi fuori... fatto sta che, ubbidendo a non so quale istinto, mi sono alzata contro la mia stessa volontà e, non vista nella penombra, sono scappata e, nello stesso momento in cui non ho più sentito le loro voci, ho cercato di attirare l'attenzione di qualcuno. Finita per finita, dovevo giocare la mia ultima carta.
Dovevo sembrare un'indemoniata; molti si sono scansati al mio passaggio, ma qualcuno ha fermato la mia folle fuga e mi ha portata in casa sua.
Inconsciamente mi rifiutavo di entrare, temevo forse di trovarmi in un'altra prigione. Invece mi hanno aiutata, rifocillata confortata; avevano un giornale sul tavolo, ho letto che a Tripoli era stata convocata dal regime una conferenza stampa con grande clamore, ed erano presenti decine e decine di giornalisti occidentali.
Ho subito capito che dovevo andare là, dritta nella tana del lupo, a tutti i costi; era la mia occasione di riscatto. Non ricordo nemmeno come ci sono arrivata: ricordo di avere ringraziato i miei soccorritori e di essere salita su un autobus scassato e quasi vuoto, guidato da un autista ciarliero che mi avrà raccontato la storia della sua vita, ma io non lo ascoltavo: avevo in mente solo la mia disavventura da far conoscere, attrice straziata resa egoista dall'angoscia.
Quando sono arrivata mi sono precipitata nell'hotel così com'ero: sporca e ancora sanguinante, scapigliata e lacerata, per denunciare ciò che mi avevano fatto quelle bestie capaci di strapparmi il cuore a morsi, di ridurre la vita umana a un fantoccio da sfregiare in tutti i modi, lasciandogli solo lacrime agli occhi e voce per gridare.
Con queste sole risorse mi sono presentata dove pensavo avrei trovato chi era in grado di ascoltare la mia sventurata esperienza e aiutarmi.
Quando sono riuscita ad attirare l'attenzione è successo un fatto increscioso: sono stata tradita dalla mia stessa stirpe.
I giornalisti occidentali erano pronti ad ascoltare il mio racconto, a farlo conoscere a tutto il mondo, non fosse altro che per fare il loro “sporco lavoro”.
Ma proprio mentre stavo riuscendo a spiegare ciò che mi era successo sono stata fermata da altri esseri ignobili, che non venivano da lontano: erano i miei stessi consanguinei, fratelli divisi da un odio atavico che l'origine comune alimenta invece di cancellarlo.
Anche lì mi hanno messa a tacere, mi hanno mostrato un coltello, hanno incappucciato il mio viso sfregiato, mi hanno presa per i polsi già segnati dai lacci con cui mi avevano tenuta segregata, per allontanarmi dalla ribalta e portarmi via.
Le cronache di regime hanno riferito che sono stata condotta in ospedale, classificandomi come “mentalmente disturbata”.
Pazza scalmanata, sovversiva prezzolata, così mi hanno chiamata i più gentili; ignobile puttana, mi hanno definita i meno raffinati. Le cronache ufficiali hanno detto che conoscevo i miei aguzzini, che mi pagavano per andare a letto con loro, che sono stata comprata per tradirli.
E, come se tutto questo non bastasse io, giovane laureata di Bengasi passata sulla strada sbagliata in un momento quanto mai inopportuno, caduta nelle mani di esseri ripugnanti, ho dovuto constatare un altro fatto sconvolgente che mi ha ferita più del dovermi assoggettare a quegli uomini, più della privazione della libertà, più del sopportare la lordura che mi hanno versato addosso, del dolore provocato dalle botte e dai graffi: il vedere che tra la folla che si è avventata contro di me, riconoscibili come due fiori scarlatti in mezzo all'immondizia, c'erano due donne; e sono state proprio loro a minacciarmi con un coltello e a incappucciarmi.
Due ragazze col velo, che facevano parte della coreografia; due giovani libiche come me che, anziché mostrare solidarietà, hanno abbracciato la causa dei miei carnefici, probabilmente terrorizzate dalla mia audacia e dalle conseguenze terribili che potevano ricadere anche su di loro, a causa di una donna che aveva osato reagire ed opporsi alla sottomissione femminile, considerata legge nella mia religione.
Ma io non mi arrenderò: io valgo e saprò farmi valere in questo mondo che sa mostrare odio verso i più deboli, inevitabilmente asservito agli arroganti.
In questo mondo così ingiusto coi giusti, da non riuscire a vedere la propria bassezza.
Dove il coraggio viene annientato anziché premiato; dove una donna che ha studiato e si è emancipata per sentirsi degna della vita ricevuta in dono da Dio viene umiliata e offesa nel profondo del cuore.
Una donna che, nonostante tutto, continuerà a lottare e a valere infinitamente più di tutti coloro che hanno causato questo smisurato orrore.
Emanuela Bosisio - Io valgo
Dedicato a Papa Karol Wojtyla, nel giorno della sua beatificazione; egli un giorno disse: “Tu vali in quanto vale il tuo cuore”.
E ispirato alla vicenda di Iman Al-Obeidi, avvocato di Bengasi sequestrata e violentata da un manipolo di balordi miliziani del regime libico. Nuovamente oltraggiata e prelevata in un hotel di Tripoli, dove si era recata - ancora sotto shock - per raccontare la sua storia ai giornalisti stranieri lì riuniti per un incontro.
Adesso tutto mi sembra brutto e sporco e inutile, e della mia vita non so cosa farne né che ne sarà.
Ma spero con tutto il cuore che il mio gesto, dettato da una disperazione immane, possa rappresentare una svolta.
Un esempio su cui dovrebbero riflettere le donne che, lontane dai regimi dispotici come quello del mio paese, passano il tempo bighellonando, concentrate nella massima preoccupazione di come riempire le proprie giornate, mentre dovrebbero vergognarsi di rendere così insulsa la loro preziosa esistenza.
A me, invece, le ore le hanno riempite quelli che mi hanno presa e tenuta sotto sequestro per due giorni per poi lasciarmi andare ferita, umiliata, violata nel corpo e nell'anima.
Vigliacchi. E come tutti i vigliacchi hanno agito in gruppo; quindici predatori per una sola vittima: donna, giovane, istruita, con la sola colpa di stare dalla parte opposta della barricata.
Sono un avvocato, di storie sciagurate ne ho sentite tante e in cuor mio so che riuscirò a riprendere il controllo della mia vita. Ma intanto sono riusciti a farmi sembrare ciò che non sono: un essere debole, in grado di manifestare la mia frustrazione solo urlando, facendo scenate in pubblico. Però non avrei mai immaginato che la mia ribellione, il mio gesto clamoroso di denuncia potesse avere un epilogo tanto assurdo da mettermi in una condizione ancora peggiore di quella in cui mi ero trovata da sequestrata.
Stavo semplicemente uscendo da Bengasi per andare ad ascoltare un cliente: il mio mestiere è difendere la gente e pensavo di avere massima libertà di movimento nel mio paese. Certo so benissimo in quale periodo stiamo vivendo, in questo paese esasperato da oltre 40 anni di oppressione.
Proprio per questo, per il clima incandescente di quaggiù, noi avvocati abbiamo molto più lavoro del solito, tanto che persino una donna gode di maggior stima e viene ricercata come difensore.
Il mio cliente (a proposito: chissà se dopo quel che è successo mi vorrà ancora ingaggiare) abita fuori Bengasi, dovevo compiere un discreto viaggio per raggiungerlo, ma mi hanno fermata in periferia. Pensavo a un controllo, mi sembrava rassicurante che si vigilasse su chi entrava e usciva dalla città... ma mi sono dovuta ricredere; in realtà ho capito che non avrei passato un buon momento nell'istante esatto in cui mi sono resa conto che si trattava degli uomini del regime.
Temevo un interrogatorio, magari ore a spiegare sotto il sole chi sono e dove intendevo andare. Mentre confabulavano e si avvicinavano preparavo mentalmente il mio discorso, che sarebbe stato un semplice resoconto della verità; mi ero imposta di tenere un atteggiamento calmo e umile.
I loro sguardi facevano paura...
Non mi hanno dato il tempo di spiegare.
Mi hanno afferrata mentre ancora stavo scendendo dall'auto; mi hanno fatta salire a forza sulla loro jeep; non riuscivo nemmeno a urlare, pensavo che se l'avessi fatto avrei peggiorato la mia situazione. Mi sono ripromessa di stare brava, magari mi stavano portando davanti a un loro superiore e a lui avrei spiegato tutto. Non dovevo dimostrarmi ribelle.
Invece mi hanno portata in un edficio diroccato; ho sentito che telefonavano a qualcuno e dopo poco tempo erano di più, erano tanti, erano troppi e si sono avventati su di me vociando, ridendo come delle iene immonde; mi guardavano e pensavano a cosa farmi, a come divertirsi col mio corpo. Poi hanno agito, ognuno aveva in mente la sua idea perversa e la metteva in pratica, per il proprio piacere e il divertimento dei compagni che osservavano.
Sono passate ore ed ore; a malapena ho visto farsi notte due volte, poi tornare mattina per la terza volta. Non ho mangiato nulla, non ho bevuto nulla.
Non so bene cos'è successo: a un certo punto hanno cominciato a litigare, a spingersi, a scazzottarsi; forse volevano un altro turno su di me, forse qualcuno pretendeva di avere la precedenza, forse non si sono trovati d'accordo su chi dovesse farmi fuori... fatto sta che, ubbidendo a non so quale istinto, mi sono alzata contro la mia stessa volontà e, non vista nella penombra, sono scappata e, nello stesso momento in cui non ho più sentito le loro voci, ho cercato di attirare l'attenzione di qualcuno. Finita per finita, dovevo giocare la mia ultima carta.
Dovevo sembrare un'indemoniata; molti si sono scansati al mio passaggio, ma qualcuno ha fermato la mia folle fuga e mi ha portata in casa sua.
Inconsciamente mi rifiutavo di entrare, temevo forse di trovarmi in un'altra prigione. Invece mi hanno aiutata, rifocillata confortata; avevano un giornale sul tavolo, ho letto che a Tripoli era stata convocata dal regime una conferenza stampa con grande clamore, ed erano presenti decine e decine di giornalisti occidentali.
Ho subito capito che dovevo andare là, dritta nella tana del lupo, a tutti i costi; era la mia occasione di riscatto. Non ricordo nemmeno come ci sono arrivata: ricordo di avere ringraziato i miei soccorritori e di essere salita su un autobus scassato e quasi vuoto, guidato da un autista ciarliero che mi avrà raccontato la storia della sua vita, ma io non lo ascoltavo: avevo in mente solo la mia disavventura da far conoscere, attrice straziata resa egoista dall'angoscia.
Quando sono arrivata mi sono precipitata nell'hotel così com'ero: sporca e ancora sanguinante, scapigliata e lacerata, per denunciare ciò che mi avevano fatto quelle bestie capaci di strapparmi il cuore a morsi, di ridurre la vita umana a un fantoccio da sfregiare in tutti i modi, lasciandogli solo lacrime agli occhi e voce per gridare.
Con queste sole risorse mi sono presentata dove pensavo avrei trovato chi era in grado di ascoltare la mia sventurata esperienza e aiutarmi.
Quando sono riuscita ad attirare l'attenzione è successo un fatto increscioso: sono stata tradita dalla mia stessa stirpe.
I giornalisti occidentali erano pronti ad ascoltare il mio racconto, a farlo conoscere a tutto il mondo, non fosse altro che per fare il loro “sporco lavoro”.
Ma proprio mentre stavo riuscendo a spiegare ciò che mi era successo sono stata fermata da altri esseri ignobili, che non venivano da lontano: erano i miei stessi consanguinei, fratelli divisi da un odio atavico che l'origine comune alimenta invece di cancellarlo.
Anche lì mi hanno messa a tacere, mi hanno mostrato un coltello, hanno incappucciato il mio viso sfregiato, mi hanno presa per i polsi già segnati dai lacci con cui mi avevano tenuta segregata, per allontanarmi dalla ribalta e portarmi via.
Le cronache di regime hanno riferito che sono stata condotta in ospedale, classificandomi come “mentalmente disturbata”.
Pazza scalmanata, sovversiva prezzolata, così mi hanno chiamata i più gentili; ignobile puttana, mi hanno definita i meno raffinati. Le cronache ufficiali hanno detto che conoscevo i miei aguzzini, che mi pagavano per andare a letto con loro, che sono stata comprata per tradirli.
E, come se tutto questo non bastasse io, giovane laureata di Bengasi passata sulla strada sbagliata in un momento quanto mai inopportuno, caduta nelle mani di esseri ripugnanti, ho dovuto constatare un altro fatto sconvolgente che mi ha ferita più del dovermi assoggettare a quegli uomini, più della privazione della libertà, più del sopportare la lordura che mi hanno versato addosso, del dolore provocato dalle botte e dai graffi: il vedere che tra la folla che si è avventata contro di me, riconoscibili come due fiori scarlatti in mezzo all'immondizia, c'erano due donne; e sono state proprio loro a minacciarmi con un coltello e a incappucciarmi.
Due ragazze col velo, che facevano parte della coreografia; due giovani libiche come me che, anziché mostrare solidarietà, hanno abbracciato la causa dei miei carnefici, probabilmente terrorizzate dalla mia audacia e dalle conseguenze terribili che potevano ricadere anche su di loro, a causa di una donna che aveva osato reagire ed opporsi alla sottomissione femminile, considerata legge nella mia religione.
Ma io non mi arrenderò: io valgo e saprò farmi valere in questo mondo che sa mostrare odio verso i più deboli, inevitabilmente asservito agli arroganti.
In questo mondo così ingiusto coi giusti, da non riuscire a vedere la propria bassezza.
Dove il coraggio viene annientato anziché premiato; dove una donna che ha studiato e si è emancipata per sentirsi degna della vita ricevuta in dono da Dio viene umiliata e offesa nel profondo del cuore.
Una donna che, nonostante tutto, continuerà a lottare e a valere infinitamente più di tutti coloro che hanno causato questo smisurato orrore.
Premio "Provincia cronica" (III edizione - sezione racconti)
Ylenia Biancini - Mosè
Sono uno a cui piace vincere facile. Senza fatica, senza sacrificio. Usando solo forza e furbizia. E infatti perdo. Sempre. Da quando mi sveglio al mattino a quando mi addormento alla sera. Oggi ad esempio, mercoledì 27 aprile 2011. Sono uscito di casa verso le dieci per portare fuori il mio cane. Pioveva, ma di quella pioggia che non ti resta addosso e che pensi sempre che adesso vedrai che smette. Il mio cane è un meticcio di stazza media. Ha pelo liscio bianco ovunque, tranne che su orecchie e muso, che vantano invece un abbagliante color carota, da far invidia alle riviste patinate in bella vista dal parrucchiere. Ê un cane molto serio, non corre dietro alle "Fifì" di turno, non abbaia ai passanti, non salta addosso ai mocciosi che gli fanno festa, non lascia tracce di saliva in giro. E' ubbidiente e discreto. Ha i suoi tempi e le sue manie, ma credo che questa sia una caratteristica tipica di tutti i figli di Dio. Oggi, come tutti i giorni, siamo arrivati insieme, fino al nostro supermercato. C'è un bel parcheggio grande lì. Con tante aiuole e spartitraffico dall'erbetta verde e soffice. E' qui che porto il mio cane, a dare sfogo ai suoi bisogni. Gli piace, sono sicuro. Io intanto mi appoggio ad una delle monovolume parcheggiate, fumacchio una decina di sigarette, lancio qualche insulto sessuale alle gallinelle che capitano a tiro e aspetto che torni da me, alleggerito del peso quotidiano della vita. Qualcuno ogni tanto mi rimprovera, dicendo che dovrei portarlo al parco, ai giardini, addirittura prendere la macchina e andare in campagna. Ce l'abbiamo qui dietro la campagna noi della Leonessa d'Italia. Non ne vedo la ragione. Deve solo cagare e pisciare, mica mettersi a fare foto concettuali alle balle di fieno. Qui c'è tutto quello che serve. Spazio, verde, qualche altro cane (pochi, per la verità), movimento. Ed è vicino a casa. A che serve andare fino al parco? A me il parco non ha mai detto niente. Alberi piantati lì a fare ombra alle signorine che corrono, a quelle che leggono o che si tirano dietro la carrozzina con il moccioso appena nato. Sfigati che suonano i bonghi, che lanciano frisbee, come fossimo in California e un numero indefinito di "Ronaldi de noantri". E poi Mosè è contento, lo vedo. Saltella da un'aiuola all'altra, annusa, punta, si guarda in giro e, quando ha finito, mi trotterella incontro. Ha persino imparato a schivare le macchine, prima di finirci sotto e rovinarmi la giornata. Oggi però mi si avvicina una ragazzina, praticamente una bambina, con appuntata al petto la spilla di un’associazione di non so che e inizia a rivolgermi domande.
"È lei il padrone di quel cane?" segnala Mosè con la punta di una penna.
"Uhm" annuisco.
"Come si chiama?"
"Francesco Grande"
"No, mi riferivo al cane, comunque, piacere, io sono Alessia" mi allunga la manina bianca cadaverica. Scruto la ragazzina da vicino e mi accorgo che è magrissima e molto pallida. Oltre ad essere alta un metro e un pollice.
"Il cane si chiama Mosè, e non è abituato alle presentazioni ufficiali" quanto mi piace fare il duro. E' che sono un tipo duro.
"Il cane è denutrito, sporco, depresso. In pratica un randagio."
Forse non ho capito bene. "Parli del mio cane?"
Le do del tu, sembra Pollicina.
"Sì, del suo Mosè. Sono giorni che la seguiamo e monitoriamo il suo comportamento. Lei è passibile di denuncia per maltrattamento di animali, secondo l’articolo 544 del Codice Penale.”
Mi da del lei, sono un tipo duro.
Va bene. E' una guerra. Sono pronto.
"Perchè non vai a prendere un po' di sole. Sei bianca come un morto, ti si vedono le vene. E sei anche magra da far paura. E' una scelta o qualcuno ti tiene a stecchetto?”
Pollicina incassa senza fare neanche una smorfia e ribatte "Sono membro della Lega Nazionale per la difesa del Cane. Collaboriamo con il comune e l'ufficio di Polizia Giudiziaria di Brescia. Siamo autorizzati a presentare denuncia ogni qual volta riscontriamo un caso che abbia evidentemente bisogno di tutela.”
Va bene, Pollicina, si è fatto tardi.
"Il mio cane sta benissimo, non ha mai morso nessuno, ha il collare" glielo faccio dondolare davanti agli occhi "è dotato di chip di riconoscimento e se potesse parlare, ti direbbe che sono il miglior padrone del mondo. Arrivederci."
Faccio per andarmene, ma mi si pianta davanti con tutte le sue cartelline, i suoi fascicoli e la sua spilla di socia onoraria e mi propone, fissandomi negli occhi: "Chiediamoglielo!"
Oh Mamma. Un'entusiasta alle prese con "un mondo migliore è possibile" e quelle cose lì. Però, a guardarla bene, non è per niente brutta. Bianca e in scala uno a cento, sì, ma per niente brutta.
"Esattamente cosa dovremmo c h i e d e r e al mio cane?" sospiro e, appositamente, mi lascio scappare un piccolo rutto. "Portiamolo ai giardini, al parco, insomma in un posto più consono e vediamo come reagisce. Si sorprenderà!"
Non ho un cazzo da fare. Sono disoccupato da sei mesi, passo le mattine all'ufficio di collocamento o a spaccarmi la schiena su Facebook, un giro con questa fanatica non sarà poi la fine del mondo.
"Se lo porto al parco, mi libero di te e della presunta denuncia?" Vedo che Mosè sta quasi per essere steso da una grassona che guida una Punto Rossa e non riesco a trattenermi "Che cazzo fai, balena? Stai attenta al cane!"
Pollicina alza gli occhi al cielo, fa uno scatto da centometrista nata e raggiunge Mosè. Con la maestria di un prestigiatore, lo immobilizza e gli attacca un collare al collo, che fino a un secondo prima non mi ero accorto avesse tra le mani. Comincio a divertirmi. Mosè, salvo, la guarda, inclinando un po' il muso, tutto bagnato per via della pioggia che non accenna a smettere, e da bravo cane ringrazia: "Wuof!" "Lei è un criminale. Questo cane ha paura anche della sua ombra. Senti come trema! Guardi qui! Sono muscoli questi? E il pelo? Ne perde a ciocche. Indica che non è sano."
Lei continua a snocciolare prove di evidente mancanza di attenzione da parte mia nei confronti della bestiola, mentre penso che effettivamente in casa con i peli di Mosè ho ricavato una moquette bianca rossa cangiante. Pollicina all'improvviso si zittisce e affoga il viso tra i peli della collottola di Mosè. Così, come niente fosse, come fossero i migliori amici da una vita. Piange. Deduco che è scema. Che mi è toccata una mattina con una scema.
"Andiamo al parco. Ora. E poi lo portiamo da me in clinica. Il parco è per educare lei. La clinica è per rimettere in sesto lui." Ecco, lo sapevo, una stronza che si va a scegliere i clienti al supermercato. C'è crisi a Brescia, come in tutta Europa. E anche se questa cittadina bene o male ha sempre sputato soldi da tutti i pori, da qualche tempo ha dovuto stringere la corda per non rimanere con le braghe calate. Però non ha perso l'abitudine alla passeggiata della domenica pomeriggio alla Loggia, gallinelle al braccio dei loro compagni e di borse pagate quanto una pensione minima, agli aperitivi nei locali alla moda, alle macchinone che proprio non possono stare lontane dal centro storico, sennò chi le vede. Si vede invece che non portano più i cani a fare la toeletta, non cambiano più la cuccia e il collare ad ogni stagione e questa qui è rimasta senza lavoro. Ma con me non attacca.
"Senti, Alessia, non lo porto il cane a farsi la pedicure. Ci hai provato, è andata male. Ora per favore salutiamoci da buoni disoccupati, con una pacca sulle spalle."
"Si è ricordato il mio nome."
Arrossisce.
E' proprio bella.
"Comunque" torna seria "non faccio pedicure ai cani, sono un medico veterinario. Gli farò una visita completa per vedere di quali cure ha bisogno."
Mi guarda torva. "Gratis" aggiunge.
E' sveglia, mi piace parecchio.
"E poi vedremo come procedere per la denuncia."
Accetto di portare Mosè al parco solo perché ho paura di questa benedetta denuncia. E mentre ci dirigiamo lì a piedi, smette anche di piovere. Meglio, perché quando s’inzuppa, Mosè puzza di aringa da far vomitare. Pollicina non smette un secondo di parlare. Tra le tante cazzate che dice e che immediatamente rimuovo, capto una frase che mi rimette in pace con il mondo: "Lei è un caso limite, non uno dei più gravi." Deve essere una brava veterinaria che fa tutto per bene. Non vuole denunciarmi, dice. Vuole solo che m’innamori di Mosè. E quando finisce questa frase da Smemoranda delle scuole medie, si gira e mi sorride fortissimo. Mi assale un brivido, penso che qualcuno abbia spento il riscaldamento della terra. Un freddo profondo parte dalle ossa e mi congela il sangue. Lei ha improvvisamente cambiato aspetto. Non come quando una donna si mette in tiro, si trucca, si stira i capelli e si piazza sui trampoli. No, semplicemente, come per magia, non sembra più una bambina cresciuta, ma è una donna fatta e finita. Sono così preso a capire cosa mi stia succedendo, che quasi mi perdo la meraviglia del mio cane. E' un altro Mosè. Rincorre i palloni da calcio, abbaia ai bambini, li spaventa, si rotola nel prato, annusa le altre merde, abbaia senza motivo e fa il galletto con le cagnoline. Si vede però che è fuori forma e la competizione lo fa sfumare via con due latrati ben piazzati. Il solito Ringhio di turno.
Se Mosè è un altro cane, anche a me deve essere successo qualcosa di forte. Non ho voglia di andare a spaccare la faccia al padrone del Ringhio e ci metto una manciata di minuti a rendermi conto che vorrei avere vicino Pollicina tutti i giorni. Venire qui con lei e vedere come Mosè si risana, torna a splendere nel suo morbido manto, riprende peso, e, insomma, torna ad essere il cucciolo allegro che mi ha lasciato in eredità mia moglie, dopo essere finita sotto una macchina, qualche mese fa. La dottoressa risponde al telefono. E' l'amore di turno che chiama. E che, a quanto pare, la raggiungerà in una mezz'ora. Sono un tipo duro io, ignoro la fitta che mi prende allo stomaco e mi accendo la classica sigaretta di alibi. Mosè scagazza un po' dappertutto. Pollicina mi porge un sacchetto. Alzo un sopracciglio, davvero all'oscuro di quello che vuole che faccia. Forse pensa che mi venga da vomitare di fronte a tutto questo spettacolo di bontà, messo su da mamme, bambini, cani e vecchietti, al quale, in effetti, fatico ad abituarmi.
"Per?" faccio io.
"La merda" risponde lei.
Ah, vero. C'è questa legge salutista per cui le chacchine maleodoranti non devono più finire sotto le suole delle scarpe nuove, sopra i tappetini delle auto appena lavate o le moquette inamidate, ma i padroni si devono armare di forza e coraggio e raccoglierle ad una ad una. Coraggio. Raccolgo.
Rimaniamo lì ad aspettare che arrivi "amore".
"Senti dottoressa, ci vengo alla clinica. Anzi te lo lascio qualche giorno così lo rimetti in sesto." Mosè le si sta strofinando addosso, come con me no ha fatto mai.
Se ne vanno tutti e tre, mezz'ora dopo, lei, amore e Mosè, come una famiglia normale in un quasi pomeriggio di provincia. Mi fa segno con il dito, come a dire "Ci rivediamo qui fra un paio di giorni", ma lo sappiamo entrambi che non ci troveremo più. Forse l'unico che non lo capisce è proprio Mosè.
La chiamo " Alessia, perché oggi?"
"Perché mi sei sembrato pronto" risponde.
Sono un tipo duro io, però dovrei smetterla di accorgermi delle cose sempre quando non ci sono più.
"Francesco Grande è morto ieri mattina, intorno alle undici. Aveva quarantadue anni. Secondo le testimonianze di alcuni passanti, il suo corpo si è accasciato all'improvviso, al parcheggio dell'Ipermercato di Via Mantova a Brescia, dove ogni mattina portava il cane a passeggiare. Si propende per l'ipotesi d’infarto. Un ulteriore velo di tristezza si stende su questa già tragica vicenda, al pensiero del cane Mosè, anch'esso rinvenuto morto, a pochi metri di distanza dal corpo del padrone.”. Giornale di Brescia, giovedì 28 aprile 2011.
Ylenia Biancini - Mosè
Sono uno a cui piace vincere facile. Senza fatica, senza sacrificio. Usando solo forza e furbizia. E infatti perdo. Sempre. Da quando mi sveglio al mattino a quando mi addormento alla sera. Oggi ad esempio, mercoledì 27 aprile 2011. Sono uscito di casa verso le dieci per portare fuori il mio cane. Pioveva, ma di quella pioggia che non ti resta addosso e che pensi sempre che adesso vedrai che smette. Il mio cane è un meticcio di stazza media. Ha pelo liscio bianco ovunque, tranne che su orecchie e muso, che vantano invece un abbagliante color carota, da far invidia alle riviste patinate in bella vista dal parrucchiere. Ê un cane molto serio, non corre dietro alle "Fifì" di turno, non abbaia ai passanti, non salta addosso ai mocciosi che gli fanno festa, non lascia tracce di saliva in giro. E' ubbidiente e discreto. Ha i suoi tempi e le sue manie, ma credo che questa sia una caratteristica tipica di tutti i figli di Dio. Oggi, come tutti i giorni, siamo arrivati insieme, fino al nostro supermercato. C'è un bel parcheggio grande lì. Con tante aiuole e spartitraffico dall'erbetta verde e soffice. E' qui che porto il mio cane, a dare sfogo ai suoi bisogni. Gli piace, sono sicuro. Io intanto mi appoggio ad una delle monovolume parcheggiate, fumacchio una decina di sigarette, lancio qualche insulto sessuale alle gallinelle che capitano a tiro e aspetto che torni da me, alleggerito del peso quotidiano della vita. Qualcuno ogni tanto mi rimprovera, dicendo che dovrei portarlo al parco, ai giardini, addirittura prendere la macchina e andare in campagna. Ce l'abbiamo qui dietro la campagna noi della Leonessa d'Italia. Non ne vedo la ragione. Deve solo cagare e pisciare, mica mettersi a fare foto concettuali alle balle di fieno. Qui c'è tutto quello che serve. Spazio, verde, qualche altro cane (pochi, per la verità), movimento. Ed è vicino a casa. A che serve andare fino al parco? A me il parco non ha mai detto niente. Alberi piantati lì a fare ombra alle signorine che corrono, a quelle che leggono o che si tirano dietro la carrozzina con il moccioso appena nato. Sfigati che suonano i bonghi, che lanciano frisbee, come fossimo in California e un numero indefinito di "Ronaldi de noantri". E poi Mosè è contento, lo vedo. Saltella da un'aiuola all'altra, annusa, punta, si guarda in giro e, quando ha finito, mi trotterella incontro. Ha persino imparato a schivare le macchine, prima di finirci sotto e rovinarmi la giornata. Oggi però mi si avvicina una ragazzina, praticamente una bambina, con appuntata al petto la spilla di un’associazione di non so che e inizia a rivolgermi domande.
"È lei il padrone di quel cane?" segnala Mosè con la punta di una penna.
"Uhm" annuisco.
"Come si chiama?"
"Francesco Grande"
"No, mi riferivo al cane, comunque, piacere, io sono Alessia" mi allunga la manina bianca cadaverica. Scruto la ragazzina da vicino e mi accorgo che è magrissima e molto pallida. Oltre ad essere alta un metro e un pollice.
"Il cane si chiama Mosè, e non è abituato alle presentazioni ufficiali" quanto mi piace fare il duro. E' che sono un tipo duro.
"Il cane è denutrito, sporco, depresso. In pratica un randagio."
Forse non ho capito bene. "Parli del mio cane?"
Le do del tu, sembra Pollicina.
"Sì, del suo Mosè. Sono giorni che la seguiamo e monitoriamo il suo comportamento. Lei è passibile di denuncia per maltrattamento di animali, secondo l’articolo 544 del Codice Penale.”
Mi da del lei, sono un tipo duro.
Va bene. E' una guerra. Sono pronto.
"Perchè non vai a prendere un po' di sole. Sei bianca come un morto, ti si vedono le vene. E sei anche magra da far paura. E' una scelta o qualcuno ti tiene a stecchetto?”
Pollicina incassa senza fare neanche una smorfia e ribatte "Sono membro della Lega Nazionale per la difesa del Cane. Collaboriamo con il comune e l'ufficio di Polizia Giudiziaria di Brescia. Siamo autorizzati a presentare denuncia ogni qual volta riscontriamo un caso che abbia evidentemente bisogno di tutela.”
Va bene, Pollicina, si è fatto tardi.
"Il mio cane sta benissimo, non ha mai morso nessuno, ha il collare" glielo faccio dondolare davanti agli occhi "è dotato di chip di riconoscimento e se potesse parlare, ti direbbe che sono il miglior padrone del mondo. Arrivederci."
Faccio per andarmene, ma mi si pianta davanti con tutte le sue cartelline, i suoi fascicoli e la sua spilla di socia onoraria e mi propone, fissandomi negli occhi: "Chiediamoglielo!"
Oh Mamma. Un'entusiasta alle prese con "un mondo migliore è possibile" e quelle cose lì. Però, a guardarla bene, non è per niente brutta. Bianca e in scala uno a cento, sì, ma per niente brutta.
"Esattamente cosa dovremmo c h i e d e r e al mio cane?" sospiro e, appositamente, mi lascio scappare un piccolo rutto. "Portiamolo ai giardini, al parco, insomma in un posto più consono e vediamo come reagisce. Si sorprenderà!"
Non ho un cazzo da fare. Sono disoccupato da sei mesi, passo le mattine all'ufficio di collocamento o a spaccarmi la schiena su Facebook, un giro con questa fanatica non sarà poi la fine del mondo.
"Se lo porto al parco, mi libero di te e della presunta denuncia?" Vedo che Mosè sta quasi per essere steso da una grassona che guida una Punto Rossa e non riesco a trattenermi "Che cazzo fai, balena? Stai attenta al cane!"
Pollicina alza gli occhi al cielo, fa uno scatto da centometrista nata e raggiunge Mosè. Con la maestria di un prestigiatore, lo immobilizza e gli attacca un collare al collo, che fino a un secondo prima non mi ero accorto avesse tra le mani. Comincio a divertirmi. Mosè, salvo, la guarda, inclinando un po' il muso, tutto bagnato per via della pioggia che non accenna a smettere, e da bravo cane ringrazia: "Wuof!" "Lei è un criminale. Questo cane ha paura anche della sua ombra. Senti come trema! Guardi qui! Sono muscoli questi? E il pelo? Ne perde a ciocche. Indica che non è sano."
Lei continua a snocciolare prove di evidente mancanza di attenzione da parte mia nei confronti della bestiola, mentre penso che effettivamente in casa con i peli di Mosè ho ricavato una moquette bianca rossa cangiante. Pollicina all'improvviso si zittisce e affoga il viso tra i peli della collottola di Mosè. Così, come niente fosse, come fossero i migliori amici da una vita. Piange. Deduco che è scema. Che mi è toccata una mattina con una scema.
"Andiamo al parco. Ora. E poi lo portiamo da me in clinica. Il parco è per educare lei. La clinica è per rimettere in sesto lui." Ecco, lo sapevo, una stronza che si va a scegliere i clienti al supermercato. C'è crisi a Brescia, come in tutta Europa. E anche se questa cittadina bene o male ha sempre sputato soldi da tutti i pori, da qualche tempo ha dovuto stringere la corda per non rimanere con le braghe calate. Però non ha perso l'abitudine alla passeggiata della domenica pomeriggio alla Loggia, gallinelle al braccio dei loro compagni e di borse pagate quanto una pensione minima, agli aperitivi nei locali alla moda, alle macchinone che proprio non possono stare lontane dal centro storico, sennò chi le vede. Si vede invece che non portano più i cani a fare la toeletta, non cambiano più la cuccia e il collare ad ogni stagione e questa qui è rimasta senza lavoro. Ma con me non attacca.
"Senti, Alessia, non lo porto il cane a farsi la pedicure. Ci hai provato, è andata male. Ora per favore salutiamoci da buoni disoccupati, con una pacca sulle spalle."
"Si è ricordato il mio nome."
Arrossisce.
E' proprio bella.
"Comunque" torna seria "non faccio pedicure ai cani, sono un medico veterinario. Gli farò una visita completa per vedere di quali cure ha bisogno."
Mi guarda torva. "Gratis" aggiunge.
E' sveglia, mi piace parecchio.
"E poi vedremo come procedere per la denuncia."
Accetto di portare Mosè al parco solo perché ho paura di questa benedetta denuncia. E mentre ci dirigiamo lì a piedi, smette anche di piovere. Meglio, perché quando s’inzuppa, Mosè puzza di aringa da far vomitare. Pollicina non smette un secondo di parlare. Tra le tante cazzate che dice e che immediatamente rimuovo, capto una frase che mi rimette in pace con il mondo: "Lei è un caso limite, non uno dei più gravi." Deve essere una brava veterinaria che fa tutto per bene. Non vuole denunciarmi, dice. Vuole solo che m’innamori di Mosè. E quando finisce questa frase da Smemoranda delle scuole medie, si gira e mi sorride fortissimo. Mi assale un brivido, penso che qualcuno abbia spento il riscaldamento della terra. Un freddo profondo parte dalle ossa e mi congela il sangue. Lei ha improvvisamente cambiato aspetto. Non come quando una donna si mette in tiro, si trucca, si stira i capelli e si piazza sui trampoli. No, semplicemente, come per magia, non sembra più una bambina cresciuta, ma è una donna fatta e finita. Sono così preso a capire cosa mi stia succedendo, che quasi mi perdo la meraviglia del mio cane. E' un altro Mosè. Rincorre i palloni da calcio, abbaia ai bambini, li spaventa, si rotola nel prato, annusa le altre merde, abbaia senza motivo e fa il galletto con le cagnoline. Si vede però che è fuori forma e la competizione lo fa sfumare via con due latrati ben piazzati. Il solito Ringhio di turno.
Se Mosè è un altro cane, anche a me deve essere successo qualcosa di forte. Non ho voglia di andare a spaccare la faccia al padrone del Ringhio e ci metto una manciata di minuti a rendermi conto che vorrei avere vicino Pollicina tutti i giorni. Venire qui con lei e vedere come Mosè si risana, torna a splendere nel suo morbido manto, riprende peso, e, insomma, torna ad essere il cucciolo allegro che mi ha lasciato in eredità mia moglie, dopo essere finita sotto una macchina, qualche mese fa. La dottoressa risponde al telefono. E' l'amore di turno che chiama. E che, a quanto pare, la raggiungerà in una mezz'ora. Sono un tipo duro io, ignoro la fitta che mi prende allo stomaco e mi accendo la classica sigaretta di alibi. Mosè scagazza un po' dappertutto. Pollicina mi porge un sacchetto. Alzo un sopracciglio, davvero all'oscuro di quello che vuole che faccia. Forse pensa che mi venga da vomitare di fronte a tutto questo spettacolo di bontà, messo su da mamme, bambini, cani e vecchietti, al quale, in effetti, fatico ad abituarmi.
"Per?" faccio io.
"La merda" risponde lei.
Ah, vero. C'è questa legge salutista per cui le chacchine maleodoranti non devono più finire sotto le suole delle scarpe nuove, sopra i tappetini delle auto appena lavate o le moquette inamidate, ma i padroni si devono armare di forza e coraggio e raccoglierle ad una ad una. Coraggio. Raccolgo.
Rimaniamo lì ad aspettare che arrivi "amore".
"Senti dottoressa, ci vengo alla clinica. Anzi te lo lascio qualche giorno così lo rimetti in sesto." Mosè le si sta strofinando addosso, come con me no ha fatto mai.
Se ne vanno tutti e tre, mezz'ora dopo, lei, amore e Mosè, come una famiglia normale in un quasi pomeriggio di provincia. Mi fa segno con il dito, come a dire "Ci rivediamo qui fra un paio di giorni", ma lo sappiamo entrambi che non ci troveremo più. Forse l'unico che non lo capisce è proprio Mosè.
La chiamo " Alessia, perché oggi?"
"Perché mi sei sembrato pronto" risponde.
Sono un tipo duro io, però dovrei smetterla di accorgermi delle cose sempre quando non ci sono più.
"Francesco Grande è morto ieri mattina, intorno alle undici. Aveva quarantadue anni. Secondo le testimonianze di alcuni passanti, il suo corpo si è accasciato all'improvviso, al parcheggio dell'Ipermercato di Via Mantova a Brescia, dove ogni mattina portava il cane a passeggiare. Si propende per l'ipotesi d’infarto. Un ulteriore velo di tristezza si stende su questa già tragica vicenda, al pensiero del cane Mosè, anch'esso rinvenuto morto, a pochi metri di distanza dal corpo del padrone.”. Giornale di Brescia, giovedì 28 aprile 2011.
Premio "Provincia cronica" (III edizione - sezione racconti)
Bruno Bianco - Ricordo annacquato
Esco dalla messa della domenica e mi basta attraversare la piazza per arrivare al bar; il mio paese sembra rimasto quello di una volta, con la chiesa che si affaccia sulla piazza e guarda da una parte al bar e dall’ altra all’ unica bottega rimasta che riesce a vendere negli stessi locali il prosciutto con il filo da rammendare e i giornali con il bisolfito per l’ uva pigiata. Mi piace tornare al paese la domenica. Lo faccio per vedere mio padre che ha già la sua età e per portarci mio figlio che è ancora un ragazzino e ci tengo che ogni tanto senta l’ odore delle nostre radici; ma credo che lo faccio soprattutto per me, perché anche se ormai mi sento un cittadino dalla testa ai piedi, il vedere i posti della mia infanzia mi da sempre un piacere tutto particolare. Mio figlio mi ha preso per mano e mi sta trascinando di forza verso il bar; gli ho dato l’ abitudine dell’ aperitivo dopo la messa e adesso non ne vuole più fare a meno. Ci avviciniamo al bancone e prendiamo il solito; lui un succo di frutta alla pesca e io un crodino analcolico per dare il buon esempio. Mentre ci ingozziamo di patatine e salatini, di fianco a noi sento un gruppo di uomini che parlano delle loro vigne e dei danni che ha fatto la grandine qualche giorno fa. Quanti tempo è passato. Non ci pensavo più da anni e adesso che mi è tornato tutto alla mente mi sembra di vederlo mio padre sul sentiero in mezzo alle vigne; era la vendemmia del ’63.
Quell’annata era stata davvero grama per tutti i contadini del paese. Un pomeriggio di inizio settembre noci di ghiaccio avevano frustato la terra delle colline, i tetti delle case, i rami degli alberi e soprattutto i filari dei vigneti; erano cadute per qualche minuto lasciandosi dietro foglie strappate, tralci lacerati e gli acini già maturi per terra, mentre quelli rimasti sui tralci sembravano le ginocchia di un ragazzino appena caduto dalla bicicletta.
Per qualche giorno i contadini avevano urlato rabbia e pianto lacrime; poi si erano messi in moto i soliti nomi, dal senatore del collegio alle associazioni dei contadini, e in paese si iniziò a pensare che con un po’ di fortuna e tramite le conoscenze giuste sarebbero potuti arrivare più soldi del mancato guadagno. Non era passata una settimana dalla grandinata che direttamente da Roma era arrivato l’ ispettore del ministero, tale dottor Sanna; era un dottore alle prime armi, che aveva appena vinto l’ultimo concorso al ministero dell’ agricoltura.
Il “dottorino” Sanna - così diceva il senatore - è uno di quelli a posto; dal ministero mi hanno garantito che non avremo nessun problema. Figuratevi cosa volete che ne capisca uno così; l’ unica cosa che farà sarà di misurare con il gradino l’ uva rimasta in vigna per vedere che non faccia tanti gradi e si possa ancora vendere, ma credo che non sarà proprio il caso di quest’ anno.
Il “dottorino” aveva iniziato dalla parte opposta del paese e ogni giorno si faceva cinque o sei vigne. Era molto preciso; voleva scegliersi lui i grappoli, faceva misurare i gradi dal proprietario e segnava i valori in un registro dalla copertina nera che conservava con cura in una borsa di pelle marrone.
La sera all’ osteria i contadini si raccontavano com’ era andata l’ ispezione del “dottorino”.
-Da me i primi grappoli che ha scelto facevano quattordici scarso; è andato via subito perche ha detto che visto i risultati non era il caso di perdere altro tempo.
-Figurato che nella mia vigna non è riuscito a misurare più di tredici.-
-Il senatore mi detto che parlando con il “dottorino” ha capito che ci saranno soldi per tutti.-
Era da giorni che in paese non si vedevano contadini così contenti; parlavano solo più risarcimenti, sovvenzioni, finanziamenti a fondo perduto e di cosa avrebbero fatto con i soldi che sarebbero arrivati da Roma.
Mio padre invece diventava ogni giorno più preoccupato.
-Stamattina ho di nuovo gradato l’ uva; è poca e inizia a marcire ma quando la gradi non trovi meno di sedici o diciassette; la nostra uva da tempestata grada più di quella degli altri da buona. Così finisce che non prendiamo niente né dai mediatori e né dallo stato.-
La sera prima dell’ ispezione a casa nostra era arrivato il padre di Luigino a parlare con mio papà. Luigino era un mio compagno di scuola e suo padre aveva la vigna di fianco alla nostra separata solo da un sentiero. Lo sapevano tutti che su quella collina nascevano ogni anno le uve con la gradazione più alta di tutto il paese e tra le nostre famiglie c’ era sempre stata una grossa rivalità su chi avesse l’ uva migliore.
-Noi non siamo mai andati tanto d’ accordo, ma adesso dobbiamo stare uniti se vogliamo salvarci; sulla stessa collina abbiamo i due vigneti migliori del paese, ma quest’ anno sarà una disgrazia se non riusciamo a dimostrare all’ ispettore che l’ uva del nostro bricco è tutta rovinata.
Poi dalla borsa tirò fuori il gradino e due grappoli d’ uva.
-Questi li ho presi dalla mia vigna-
Li spremette nel gradino e infilò l’ astina.
-Diciassette. Ti rendi conto che la mia uva, anche se tutta tempestata dalla grandine, mi fa ancora diciassette gradi?-
-Uguale alla mia, accidenti al lei.-
Il padre di Luigino tirò fuori l’astina, la pulì bene con uno strofinaccio e ripeté la misura; questa volta tutti poterono leggere quindici. Mio padre guardava perplesso il padre di Luigino che sogghignando ripeté ancora la misura e questa volta il risultato fu tredici.
-Ma come fa a cambiare la misura?-
Il padre di Luigino tirò fuori dalla manica della giacca un piccola peretta da clistere che nessuno di noi aveva notato e la posò in mezzo al tavolo.
-Il trucco sta tutto in questa peretta che ho riempito d’ acqua; la nascondi sotto la manica, senza fartene accorgere la schiacci con il pollice e ogni pompata è un grado in meno. Possiamo solo annacquare se vogliamo far gradare poco la nostra uva.-
Mio padre bevve tutto di un fiato il bicchiere di vino che aveva davanti; poi prese la peretta e iniziò a soppesarla sulle mani.
-Dici che possiamo farcela?-
-Certo che possiamo. L’ idea l’ ha avuta Luigino e io gli ho già detto che se prendo i soldi dello stato, metà glieli metto da parte per farlo studiare da ingegnere.-
Mio padre e quello di Luigino rimasero insieme a fare le prove per tutta la notte e al mattino avevano messo tutti e due una grossa giacca di fustagno per nascondere bene la peretta nella manica; alle nove il dottor Sanna si era fatto trovare sul sentiero che portava alle due vigne.
-Le vostre vigne sono le ultime del paese e da come ho già rilevato nelle altre ispezioni ho capito che sono tutte nelle stesse pessime condizioni; quindi per fare più in fretta le facciamo insieme così a mezzogiorno ho finito e riesco ancora a prendere il treno per Roma.-
Poi indicò alcuni grappoli sui tralci delle due vigne che mio padre e quello di Luigino andarono a prendere per portarli al “dottorino”.
-Ecco i grappoli che ha scelto, dottore-
-Va bene così, dottore?-
Mio padre prese i suoi grappoli, li spremette nel gradino e, con un movimento che solo chi sapeva poteva percepire, fece tre pompate sulla peretta.
-Quattordici!- urlò secco mio padre.
-Quattordici- ripete il “dottorino” scrivendo sul registro.
Po si voltò verso il padre di Luigino che fece gli stessi movimenti di mio padre, ma con una pompata in più.
-Tredici!-
Mio padre guardò stupito quello di Luigino che gli fece un ghigno beffardo.
Il dottorino indicò i grappoli di un altro filare e questa volta vidi che mio padre fece cinque pompate e dopo la misura guardò con aria di sfida il padre di Luigino.
-Dodici!-
Il padre di Luigino non lasciò nemmeno il tempo al dottorino di scrivere la misura sul registro e dopo sei pompate urlò il suo undici.
Mio padre si precipitò sugli altri grappoli indicati dall’ ispettore e pompò acqua nel gradino per sette volte
-Dieci!-
Ma il padre di Luigino aveva già preso due grappoli dalla sua vigna, li aveva già spremuti dentro il gradino, aveva pompato per otto volte volte, aveva avvicinato l’ astina al dottore e parlava a lui ma gridava a mio padre.-
-Nove gradi dottore! La mia uva fa nove gradi e se vuole possiamo prenderne altra.-
-Anch’ io dottore posso misurare altra uva della mia!-
-Lascia che il dottore decida lui cosa vuole fare!-
-Tu stai zitto e preoccupati della tua vigna!-
-Certo che me ne preoccupo. Sei tu che devi pensare di più alla tua se vuoi i soldi di Roma!-
La vendemmia del ‘63 io la ricordo così; il dottor Sanna disse che per lui era sufficiente quello che aveva visto e i due uomini rimasero sul sentiero che divideva le vigne a darsi a vicenda del traditore, del disonesto, del delinquente e del mascalzone, mentre il “dottorino” era già sul treno di mezzogiorno per Roma
La relazione che riportava in perfetto burocratese l’ esito dell’ ispezione arrivò di lì a una settimana e recitava così: “A seguito di quanto emerso nella verifica del vigneto e nella misurazione della gradazione zuccherina del mosto ottenuto da uve prelevate a campione dal vigneto stesso, si sono riscontrati valori nettamente inferiori alla media del territorio; valori come quelli rilevati sono indice di un qualità scadente e inadeguata ai criteri di valutazione in essere. Da tal analisi si evince che la scadente qualità sopracitata non è ascrivibile alla precipitazione atmosferica a carattere grandinale citata nella richiesta risarcitoria, ma è caratteristica intrinseca del vigneto; non riscontrando alcun danno significativo essendo di fatto irrisorio il valore venale normalmente ottenuto dall’ impianto vitivinicolo, l’ ente scrivente rigetta la richiesta di indennizzo e delibera che nulla è dovuto a titolo risarcitorio”.
Fu il degno finale. Mio padre e quello di Luigino si mostravano a vicenda le lettere esattamente uguali e i contadini del paese presero grossi risarcimenti per la grandine anche se avevano tutti un’ uva che in genere da matura non valeva la nostra da acerba; invece per colpa di una peretta d’acqua usata troppo, alla mia famiglia e a quella di Luigino non arrivò nemmeno una lira.
E mentre mi attardo su quel ricordo, sento che i contadini di fianco a me non hanno ancora smesso di parlare della grandine; niente di particolarmente disastroso, ma, come si dice in dialetto, soltanto una ramò che ha colpito a macchia di leopardo un po’ tutta la collina. Loro però parlano di danni e del risarcimento che prenderanno; per curiosità mi sono avvicinato al gruppo e ho chiesto quando sarebbe arrivato l’ ispettore del ministero a fare la verifica. Mi hanno guardato come quelli di campagna guardano noi di città quando diciamo una delle nostre solite castronerie di tipo agricolo e mi hanno spiegato che oggigiorno non c’ entra più il ministero, ma i periti delle loro assicurazioni; mi dimentico sempre che ormai i contadini sono degli imprenditori con tanto di assicurazione e debiti come i veri capitan d’ industria.
Sono tornato vicino a mio figlio e vedo che il succo di frutta che gli stanno servendo è fatto dalla ditta dove lavora Luigino. Anche senza i soldi del risarcimento suo padre è riuscito a farlo studiare ed è davvero diventato ingegnere; so che è un importante dirigente di una grossa società che fa prodotti alimentari.
-Guarda papà; c’ è scritto che questo succo è fatto di frutta al 100% senza aggiunta di acqua.-
Mio figlio mi mostra la scritta che campeggia sull’ etichetta della bottiglia; io che so com’ è andata ho qualche dubbio che l’ ingegner Luigino non annacqui anche i succhi di frutta che la sua ditta produce. Però adesso non ho voglia di raccontargli cosa successe in quella vendemmia di tanti anni fa, perché voglio godermi ancora per qualche minuto un ricordo che credevo perso; oltre le teste dei contadini che parlano della grandine adesso riesco a vedere una collina coperta di vigneti, un sentiero che divide, due uomini che sbraitano e un “dottorino” del ministero che prende il treno per Roma.
Come se non mi fossi mai staccato da quei posti, come se non mi fossi mai allontanato da quegli anni. Dalla vendemmia del ’63.
Bruno Bianco - Ricordo annacquato
Esco dalla messa della domenica e mi basta attraversare la piazza per arrivare al bar; il mio paese sembra rimasto quello di una volta, con la chiesa che si affaccia sulla piazza e guarda da una parte al bar e dall’ altra all’ unica bottega rimasta che riesce a vendere negli stessi locali il prosciutto con il filo da rammendare e i giornali con il bisolfito per l’ uva pigiata. Mi piace tornare al paese la domenica. Lo faccio per vedere mio padre che ha già la sua età e per portarci mio figlio che è ancora un ragazzino e ci tengo che ogni tanto senta l’ odore delle nostre radici; ma credo che lo faccio soprattutto per me, perché anche se ormai mi sento un cittadino dalla testa ai piedi, il vedere i posti della mia infanzia mi da sempre un piacere tutto particolare. Mio figlio mi ha preso per mano e mi sta trascinando di forza verso il bar; gli ho dato l’ abitudine dell’ aperitivo dopo la messa e adesso non ne vuole più fare a meno. Ci avviciniamo al bancone e prendiamo il solito; lui un succo di frutta alla pesca e io un crodino analcolico per dare il buon esempio. Mentre ci ingozziamo di patatine e salatini, di fianco a noi sento un gruppo di uomini che parlano delle loro vigne e dei danni che ha fatto la grandine qualche giorno fa. Quanti tempo è passato. Non ci pensavo più da anni e adesso che mi è tornato tutto alla mente mi sembra di vederlo mio padre sul sentiero in mezzo alle vigne; era la vendemmia del ’63.
Quell’annata era stata davvero grama per tutti i contadini del paese. Un pomeriggio di inizio settembre noci di ghiaccio avevano frustato la terra delle colline, i tetti delle case, i rami degli alberi e soprattutto i filari dei vigneti; erano cadute per qualche minuto lasciandosi dietro foglie strappate, tralci lacerati e gli acini già maturi per terra, mentre quelli rimasti sui tralci sembravano le ginocchia di un ragazzino appena caduto dalla bicicletta.
Per qualche giorno i contadini avevano urlato rabbia e pianto lacrime; poi si erano messi in moto i soliti nomi, dal senatore del collegio alle associazioni dei contadini, e in paese si iniziò a pensare che con un po’ di fortuna e tramite le conoscenze giuste sarebbero potuti arrivare più soldi del mancato guadagno. Non era passata una settimana dalla grandinata che direttamente da Roma era arrivato l’ ispettore del ministero, tale dottor Sanna; era un dottore alle prime armi, che aveva appena vinto l’ultimo concorso al ministero dell’ agricoltura.
Il “dottorino” Sanna - così diceva il senatore - è uno di quelli a posto; dal ministero mi hanno garantito che non avremo nessun problema. Figuratevi cosa volete che ne capisca uno così; l’ unica cosa che farà sarà di misurare con il gradino l’ uva rimasta in vigna per vedere che non faccia tanti gradi e si possa ancora vendere, ma credo che non sarà proprio il caso di quest’ anno.
Il “dottorino” aveva iniziato dalla parte opposta del paese e ogni giorno si faceva cinque o sei vigne. Era molto preciso; voleva scegliersi lui i grappoli, faceva misurare i gradi dal proprietario e segnava i valori in un registro dalla copertina nera che conservava con cura in una borsa di pelle marrone.
La sera all’ osteria i contadini si raccontavano com’ era andata l’ ispezione del “dottorino”.
-Da me i primi grappoli che ha scelto facevano quattordici scarso; è andato via subito perche ha detto che visto i risultati non era il caso di perdere altro tempo.
-Figurato che nella mia vigna non è riuscito a misurare più di tredici.-
-Il senatore mi detto che parlando con il “dottorino” ha capito che ci saranno soldi per tutti.-
Era da giorni che in paese non si vedevano contadini così contenti; parlavano solo più risarcimenti, sovvenzioni, finanziamenti a fondo perduto e di cosa avrebbero fatto con i soldi che sarebbero arrivati da Roma.
Mio padre invece diventava ogni giorno più preoccupato.
-Stamattina ho di nuovo gradato l’ uva; è poca e inizia a marcire ma quando la gradi non trovi meno di sedici o diciassette; la nostra uva da tempestata grada più di quella degli altri da buona. Così finisce che non prendiamo niente né dai mediatori e né dallo stato.-
La sera prima dell’ ispezione a casa nostra era arrivato il padre di Luigino a parlare con mio papà. Luigino era un mio compagno di scuola e suo padre aveva la vigna di fianco alla nostra separata solo da un sentiero. Lo sapevano tutti che su quella collina nascevano ogni anno le uve con la gradazione più alta di tutto il paese e tra le nostre famiglie c’ era sempre stata una grossa rivalità su chi avesse l’ uva migliore.
-Noi non siamo mai andati tanto d’ accordo, ma adesso dobbiamo stare uniti se vogliamo salvarci; sulla stessa collina abbiamo i due vigneti migliori del paese, ma quest’ anno sarà una disgrazia se non riusciamo a dimostrare all’ ispettore che l’ uva del nostro bricco è tutta rovinata.
Poi dalla borsa tirò fuori il gradino e due grappoli d’ uva.
-Questi li ho presi dalla mia vigna-
Li spremette nel gradino e infilò l’ astina.
-Diciassette. Ti rendi conto che la mia uva, anche se tutta tempestata dalla grandine, mi fa ancora diciassette gradi?-
-Uguale alla mia, accidenti al lei.-
Il padre di Luigino tirò fuori l’astina, la pulì bene con uno strofinaccio e ripeté la misura; questa volta tutti poterono leggere quindici. Mio padre guardava perplesso il padre di Luigino che sogghignando ripeté ancora la misura e questa volta il risultato fu tredici.
-Ma come fa a cambiare la misura?-
Il padre di Luigino tirò fuori dalla manica della giacca un piccola peretta da clistere che nessuno di noi aveva notato e la posò in mezzo al tavolo.
-Il trucco sta tutto in questa peretta che ho riempito d’ acqua; la nascondi sotto la manica, senza fartene accorgere la schiacci con il pollice e ogni pompata è un grado in meno. Possiamo solo annacquare se vogliamo far gradare poco la nostra uva.-
Mio padre bevve tutto di un fiato il bicchiere di vino che aveva davanti; poi prese la peretta e iniziò a soppesarla sulle mani.
-Dici che possiamo farcela?-
-Certo che possiamo. L’ idea l’ ha avuta Luigino e io gli ho già detto che se prendo i soldi dello stato, metà glieli metto da parte per farlo studiare da ingegnere.-
Mio padre e quello di Luigino rimasero insieme a fare le prove per tutta la notte e al mattino avevano messo tutti e due una grossa giacca di fustagno per nascondere bene la peretta nella manica; alle nove il dottor Sanna si era fatto trovare sul sentiero che portava alle due vigne.
-Le vostre vigne sono le ultime del paese e da come ho già rilevato nelle altre ispezioni ho capito che sono tutte nelle stesse pessime condizioni; quindi per fare più in fretta le facciamo insieme così a mezzogiorno ho finito e riesco ancora a prendere il treno per Roma.-
Poi indicò alcuni grappoli sui tralci delle due vigne che mio padre e quello di Luigino andarono a prendere per portarli al “dottorino”.
-Ecco i grappoli che ha scelto, dottore-
-Va bene così, dottore?-
Mio padre prese i suoi grappoli, li spremette nel gradino e, con un movimento che solo chi sapeva poteva percepire, fece tre pompate sulla peretta.
-Quattordici!- urlò secco mio padre.
-Quattordici- ripete il “dottorino” scrivendo sul registro.
Po si voltò verso il padre di Luigino che fece gli stessi movimenti di mio padre, ma con una pompata in più.
-Tredici!-
Mio padre guardò stupito quello di Luigino che gli fece un ghigno beffardo.
Il dottorino indicò i grappoli di un altro filare e questa volta vidi che mio padre fece cinque pompate e dopo la misura guardò con aria di sfida il padre di Luigino.
-Dodici!-
Il padre di Luigino non lasciò nemmeno il tempo al dottorino di scrivere la misura sul registro e dopo sei pompate urlò il suo undici.
Mio padre si precipitò sugli altri grappoli indicati dall’ ispettore e pompò acqua nel gradino per sette volte
-Dieci!-
Ma il padre di Luigino aveva già preso due grappoli dalla sua vigna, li aveva già spremuti dentro il gradino, aveva pompato per otto volte volte, aveva avvicinato l’ astina al dottore e parlava a lui ma gridava a mio padre.-
-Nove gradi dottore! La mia uva fa nove gradi e se vuole possiamo prenderne altra.-
-Anch’ io dottore posso misurare altra uva della mia!-
-Lascia che il dottore decida lui cosa vuole fare!-
-Tu stai zitto e preoccupati della tua vigna!-
-Certo che me ne preoccupo. Sei tu che devi pensare di più alla tua se vuoi i soldi di Roma!-
La vendemmia del ‘63 io la ricordo così; il dottor Sanna disse che per lui era sufficiente quello che aveva visto e i due uomini rimasero sul sentiero che divideva le vigne a darsi a vicenda del traditore, del disonesto, del delinquente e del mascalzone, mentre il “dottorino” era già sul treno di mezzogiorno per Roma
La relazione che riportava in perfetto burocratese l’ esito dell’ ispezione arrivò di lì a una settimana e recitava così: “A seguito di quanto emerso nella verifica del vigneto e nella misurazione della gradazione zuccherina del mosto ottenuto da uve prelevate a campione dal vigneto stesso, si sono riscontrati valori nettamente inferiori alla media del territorio; valori come quelli rilevati sono indice di un qualità scadente e inadeguata ai criteri di valutazione in essere. Da tal analisi si evince che la scadente qualità sopracitata non è ascrivibile alla precipitazione atmosferica a carattere grandinale citata nella richiesta risarcitoria, ma è caratteristica intrinseca del vigneto; non riscontrando alcun danno significativo essendo di fatto irrisorio il valore venale normalmente ottenuto dall’ impianto vitivinicolo, l’ ente scrivente rigetta la richiesta di indennizzo e delibera che nulla è dovuto a titolo risarcitorio”.
Fu il degno finale. Mio padre e quello di Luigino si mostravano a vicenda le lettere esattamente uguali e i contadini del paese presero grossi risarcimenti per la grandine anche se avevano tutti un’ uva che in genere da matura non valeva la nostra da acerba; invece per colpa di una peretta d’acqua usata troppo, alla mia famiglia e a quella di Luigino non arrivò nemmeno una lira.
E mentre mi attardo su quel ricordo, sento che i contadini di fianco a me non hanno ancora smesso di parlare della grandine; niente di particolarmente disastroso, ma, come si dice in dialetto, soltanto una ramò che ha colpito a macchia di leopardo un po’ tutta la collina. Loro però parlano di danni e del risarcimento che prenderanno; per curiosità mi sono avvicinato al gruppo e ho chiesto quando sarebbe arrivato l’ ispettore del ministero a fare la verifica. Mi hanno guardato come quelli di campagna guardano noi di città quando diciamo una delle nostre solite castronerie di tipo agricolo e mi hanno spiegato che oggigiorno non c’ entra più il ministero, ma i periti delle loro assicurazioni; mi dimentico sempre che ormai i contadini sono degli imprenditori con tanto di assicurazione e debiti come i veri capitan d’ industria.
Sono tornato vicino a mio figlio e vedo che il succo di frutta che gli stanno servendo è fatto dalla ditta dove lavora Luigino. Anche senza i soldi del risarcimento suo padre è riuscito a farlo studiare ed è davvero diventato ingegnere; so che è un importante dirigente di una grossa società che fa prodotti alimentari.
-Guarda papà; c’ è scritto che questo succo è fatto di frutta al 100% senza aggiunta di acqua.-
Mio figlio mi mostra la scritta che campeggia sull’ etichetta della bottiglia; io che so com’ è andata ho qualche dubbio che l’ ingegner Luigino non annacqui anche i succhi di frutta che la sua ditta produce. Però adesso non ho voglia di raccontargli cosa successe in quella vendemmia di tanti anni fa, perché voglio godermi ancora per qualche minuto un ricordo che credevo perso; oltre le teste dei contadini che parlano della grandine adesso riesco a vedere una collina coperta di vigneti, un sentiero che divide, due uomini che sbraitano e un “dottorino” del ministero che prende il treno per Roma.
Come se non mi fossi mai staccato da quei posti, come se non mi fossi mai allontanato da quegli anni. Dalla vendemmia del ’63.
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