I fan di Happy Days contro Jovanotti. Il cantante che aveva aveva definito il telefilm «una vaccata» su “Tv Sorrisi e Canzoni” ha aizzato un coro di proteste convogliate sul sito “Qui Mediaset” con l’Happy Days Fan Club sul piede di guerra che ricorda a Lorenzo Cherubini come negli anni ’80 abbia lui stesso consegnato a Henry Winkler, l’attore che interpretava Fonzie, il Telegatto di Sorrisi e Canzoni.
La polemica è nata con la dichiarazione di Jovanotti che sul settimanale diretto da Alfonso Signorini ha spiegato: «mia figlia Teresa ha 12 anni, si è letta sette libri di Harry Potter e guarda “Glee”. Noi avevamo “Happy Days” che, diciamolo, era una vaccata. Oggi i ragazzi sono svegli e fortunati». Apriti cielo. L’Happy Days Fan Club, storica associazione internazionale nata nel 1997 attorno al culto del telefilm evergreen (fino a poco tempo fa in onda su Mediaset Extra), non ha fatto tardare la replica per bocca del suo Presidente, Giuseppe Ganelli, che ha parlato di «giudizio irrispettoso e ingeneroso verso un telefilm che ha fatto la storia della televisione e che ha rappresentato un momento di svago e di aggregazione per intere generazioni». Ganelli ha quindi spiegato che “Happy Days” «non ha mai voluto essere un qualcosa di educativo», ricordando le parole di Garry Marshall che spiegava: «a scuola c’è l’ora di storia, di geografia, di matematica e poi c’è il momento di ricreazione. Ecco, Happy days è il momento di ricreazione». r.co.
30 aprile 2011
Il Concertone del 1 Maggio al tempo delle divisioni sindacali e dei negozi sempre aperti
Da Ennio Morricone a Caparezza passando per Dalla-De Gregori, Gino Paoli e tanti altri, il Concertone del Primo Maggio tocca come mai prima le sponde della musica italiana. Non mancherà neppure la satira ma sarà in salsa “par condicio”.
Le elezioni sono vicinissime. Il presidente Rai Paolo Garimberti, aprendo la consueta conferenza stampa in Viale Mazzini, ha evidenziato un aspetto unico di questo primo maggio che “cade” nell’anno delle celebrazioni dell’Unità d’Italia: «Diventa così indissolubile il nodo fra la Festa del Lavoro e il 150esimo». Presente anche Neri Marcorè che quest’anno fa il suo debutto alla conduzione del Concertone: «La parte dedicata alla satira - annuncia - sarà molto sacrificata. Ma io e Luca Barbarossa faremo qualcosa che abbiamo già sperimentato in “Attenti a quei due”, naturalmente tenendo conto della par condicio che impone di fare satira in parti uguali per maggioranza e opposizione. Anche se - tiene a rimarcare - la satira dovrebbe essere libera».Marcorè, che assicura, «non mancheranno momenti per la riflessione», canterà anche “Dolcenera” di Fabrizio De Andrè «in omaggio al Giappone colpito dal terremoto. Ci sarà poi - rivela l’attore- un contributo di Camilleri e di Celestini. Ma non solo». Si partirà, annuncia l’organizzatore storico del Concertone Marco Godano «con il pezzo straziante ed emotivo scritto appositamente dal premio Nobel Ennio Morricone dal titolo “Elegia per l’Italia”. Si proseguirà con il “Va pensiero” (Gino Paoli ne canterà una propria versione cui seguirà quella lirica) e con “Il trovatore”, rendendo omaggio al grande direttore Arturo Toscanini che, dopo essersi rifiutato di dirigere “Giovinezza” (all’epoca obbligatorio) e in concomitanza con le leggi razziali si trasferì negli Usa». Non mancherà “Bella Ciao”, un altro tassello importante nel percorso artistico del Concertone. Alle 23 e 30 orchestra e coro si uniranno per l’Inno di Mameli, ma ci sarà anche la versione rock di Eugenio Finardi. Tanti gli artisti che riempiranno con la loro musica la grande piazza oltre a quelli già richiamati: Daniele Silvestri, Peppe Servillo e Fausto Mesolella, Modena City Ramblers, Bandabardò, Edoardo Bennato, Paola Turci, Enzo Avitabile (con Raiz e Cò Sang), Bandervish, ed Edoardo De Angelis. Grande rilievo avrà quest’anno il ruolo dell’Orchestra Roma Sinfonietta composta da 72 elementi a cui si accompagneranno i 60 del Coro. E tutti saranno sempre sul palco. Ragione per cui è stato necessario modificare il solito assetto. Questa volta ci saranno due carri a 50 metri l’uno dall’altro che diventeranno due palchi su cui i concerti si muoveranno. L’Orchestra Roma Sinfonietta sarà diretta in momenti diversi da tre grandi direttori: Ennio Morricone che, alla sua “prima” sul palco di Piazza S. Giovanni, dirigerà la sua “Elegia per l’Italia”; al Maestro Francesco Lanzillotta sarà affidata la direzione dei brani dedicati alle celebrazioni dell’Unità d’Italia “Bella Ciao”, l’Inno di Mameli e Te vojo bene assaje con Peppe Servillo e Fausto Mesolella. Mentre l’incontro tra la musica sinfonica e il rock di alcuni tra gli artisti di questa edizione sarà invece diretto dal Maestro Alessandro Molinari. Anche il rapper napoletano Lucariello sarà sul palco del primo maggio e presenterà live il nuovo album “I Nuovi Mille”. Aprirà la sua esibizione con una strofa del brano Cappotto di Legno, nato qualche anno fa da un’intensa corrispondenza con lo scrittore Roberto Saviano e ispirato alle vicende di “Gomorra”. r.co.
12 aprile 2011
Intervista a Max Gazzè che svela i segreti di un album interrogativo
Abbiamo intervistato Max Gazzè in occasione del suo concerto al Phenomenon di Fontaneto d'Agogna, live dal ritmo incalzante nel quale il cantautore romano ha proposto un gran numero di brani della sua lunga carriera, in particolare tratti dai primi dischi. Non dimenticando perle dall'ultimo "Quindi?", canzoni in grado di creare ottimi momenti di suggestione e di far gridare a suqrcia gola un publico variegato, che in buona parte conosceva a memoria le delicate parole dei brani di Gazzè.
A cura di Roberto Conti
Come sta andando la tournée?
La prima parte del tour ha registrato il tutto esaurito, e la seconda tranche, anche. Abbiamo debuttato a Napoli con il sold out e così sono state anche le tappe successive, quelle di Firenze e Roma. Ora stiamo cercando di portare lo spettacolo anche in provincia, coprendo tutta Italia nel modo più capillare possibile.
Hai sempre la stessa passione ad esibirti dal vivo?
Assolutamente si, è una passione immutata.
Quale concerto della tua carriera ricordi con particolare piacere?
Al momento ricordo con piacere, non è un concerto, ma una performance, mi riferisco a quella di Sanremo 2008, serata dei duetti, quando ho suonato, con grande armonia ed intesa con Paola Turci e Marina Rei.
Come giudichi le tue ultime esperienze al cinema e a teatro?
Amo il cinema e l’atmosfera del teatro soprattutto quello che nasce da un percorso d’autore e diventa un punto di riferimento frutto di coerenza, al di fuori dei parametri effimeri. Il brano "Mentre dormi" è stato scelto come colonna sonora del film "Basilicata coast to coast" di Rocco Papaleo, film nel quale ho anche recitato. E' stata un'eserienza di grande interesse che mi ha divertito e regalato più di una soddisfazione.
Lavori in ambiti pesantemente segnati dai tagli alla cultura: qual è la tua opinione sulla situazione italiana?
Ora siamo in una profonda crisi. Ma non è la musica ad essere in crisi, è mercalo musicale. Oggi il mercato ti chiede di essere tutto e subito. Una condizione in cui ci rimettono tutti, anche le case discografiche. Io, però, non ho dubbi: la musica ce la farà!
“Quindi?” viene considerato fra i tuoi album più maturi: perché un titolo interrogativo?
“Quindi?” è un disco dedicato ai punti di domanda, a quello spazio che c’è tra l’ansia di partire e la frenesia di arrivare: la meta non importa, il bello sta nel mezzo. .
A quale brano sei particolarmente legato?
Questo mio ultimo disco ha pezzi interessanti, scritti con il nuovo partner nella scrittura dei testi, Gimmi Santucci. Fra i tanti mi piacere “Il Drago che ti adora” la storia del principe azzurro che si scopre drago e quindi non può combattere se stesso.
Cosa t’ispira nei testi oltre alla tua vita personale?
La natura, il cosmo, le favole, la filosofia… .
Leggevo che sei solito scrivere e solo successivamente comporre il brano: è un modo per dare il giusto valore alle parole e non “forzarle” all’interno di una struttura iniziale?
In realtà io sono più bravo come oratore che come scrittore, prediligo la musica alla parola e pezzi con Gimmi Santucci nascono proprio da lunghe chiacchierate, davanti a un tè caldo. Gimmi ha una grande proprietà di linguaggio.
Quali sono gli autori che senti più vicini per poetica e sensibilità?
Mi piace molto Battiato.
Come hai visto cambiare la musica in questi anni?
Direi che la musica è rimasta uguale, piuttosto è diversa la manualità nel processo creativo. Bisognerebbe mantenere spontaneità e imprecisioni, oggi abbiamo tutti la fissa del correggere gli errori.
11 aprile 2011
Paolo Benvegnù - Hermann, disco per molti ma non per tutti
Una meravigliosa conferma il nuovo disco di Paolo Benvegnù, autore ispiratissimo che molti si ostinano a voler confinare in una nicchia riservata a critici e ragazzini pluritrentenni presi male.
Il nostro "eroe" della musica contemporanea continua invece instancabile a produrre materiale di qualità assoluta, da quando dopo l'indimenticata espereinza con gli Scisma sono arrivati i primi dischi solisti, Piccoli fragilissimi film su tutti. Con questo suo Hermann, Benvegnù cerca di stregare nuovamente il suo pubblico (e anche di catturarne di nuovo) con un grande disco. L'apertura, Il pianeta perfetto ci guida attraverso i riflessi di un lago, aiutandoci a distinguere il tempo perso da quello vissuto, accompagnati da una chitarra, da una voce e da archi sapientemente inseriti al momento giusto nel posto giusto. Poi Moses e Love is Talking, pezzi rock. Avanzate Ascoltate, ballata capolavoro, con un ritornello di una bellezza che rimani lì, come del resto rimani a bocca aperta e orecchie spalancate ascoltando Andromeda Maria, sconvolgente, che ti chiedi come sia possibile che la gente non possa ascoltare e innamorarsi di certi pezzi, ma preferisca incensare pseudo cantautori assuefatti alla demagogia, che si ergono a poeti. Achab in New York, con nel titolo un capitano di melvilliana memoria, pianoforte e chitarra, archi e ottoni, preludio di un finale più aggressivo e forte e liriche solo apparentemente dolci, precede un trittico interessante: Sartre Monstre, Good morning Mr. Monroe e Date fuoco, con quest'ultimo che ricorda l'ultimo, bellissimo, Battisti con i testi di Panella. Chiudono Jonnie e Jane, la dolcezza, prima di Il Mare è bellissimo, con ritmo serrato e basso che scandisce gli ottavi, adatto a un viaggio senza destinazione in un'autostrada deserta e del pezzo finale, L'invasore, scritto e cantato da Andrea Franchi.
Un disco imprescindibile, di un artista che, sbagliando, altri definiscono per pochi.
Attraverso le liriche e le musiche di questo incredibile personaggio, si viaggia nei pensieri verso un mare verticale di rara intensità art istica. Può essere lui che ci guida verso il cambiamento di costumi e abitudini di cui abbiamo bisogno, con un'opera che assolutamente lascerà il segno. g.oc.
Il nostro "eroe" della musica contemporanea continua invece instancabile a produrre materiale di qualità assoluta, da quando dopo l'indimenticata espereinza con gli Scisma sono arrivati i primi dischi solisti, Piccoli fragilissimi film su tutti. Con questo suo Hermann, Benvegnù cerca di stregare nuovamente il suo pubblico (e anche di catturarne di nuovo) con un grande disco. L'apertura, Il pianeta perfetto ci guida attraverso i riflessi di un lago, aiutandoci a distinguere il tempo perso da quello vissuto, accompagnati da una chitarra, da una voce e da archi sapientemente inseriti al momento giusto nel posto giusto. Poi Moses e Love is Talking, pezzi rock. Avanzate Ascoltate, ballata capolavoro, con un ritornello di una bellezza che rimani lì, come del resto rimani a bocca aperta e orecchie spalancate ascoltando Andromeda Maria, sconvolgente, che ti chiedi come sia possibile che la gente non possa ascoltare e innamorarsi di certi pezzi, ma preferisca incensare pseudo cantautori assuefatti alla demagogia, che si ergono a poeti. Achab in New York, con nel titolo un capitano di melvilliana memoria, pianoforte e chitarra, archi e ottoni, preludio di un finale più aggressivo e forte e liriche solo apparentemente dolci, precede un trittico interessante: Sartre Monstre, Good morning Mr. Monroe e Date fuoco, con quest'ultimo che ricorda l'ultimo, bellissimo, Battisti con i testi di Panella. Chiudono Jonnie e Jane, la dolcezza, prima di Il Mare è bellissimo, con ritmo serrato e basso che scandisce gli ottavi, adatto a un viaggio senza destinazione in un'autostrada deserta e del pezzo finale, L'invasore, scritto e cantato da Andrea Franchi.
Un disco imprescindibile, di un artista che, sbagliando, altri definiscono per pochi.
Attraverso le liriche e le musiche di questo incredibile personaggio, si viaggia nei pensieri verso un mare verticale di rara intensità art istica. Può essere lui che ci guida verso il cambiamento di costumi e abitudini di cui abbiamo bisogno, con un'opera che assolutamente lascerà il segno. g.oc.
9 aprile 2011
PJ Harvey - Let England Shake disco politico appena sufficiente
Oltrepassata la soglia dei quarant'anni, PJ Harvey è diventata artista dalle molte sfaccettature e imprevedibili prospettive. La sua figura forse non sarà mai più centrale come lo è stata in passato: l'epoca reclama interpreti nuovi e diversi, ed è giusto così. Ma tutto lascia credere che saprà condurre una marginalità intensa e staordinariamente peculiare.
Questo profilo si addice molto bene a Let England Shake, disco molto politico e diretto più che in passato. E proprio dalle ballate per piano quasi spettrali di White Chalk (2007), PJ passa con Let England Shake a un sound più marcatamente folk, scelto per raccontare la società inglese di oggi e il rapporto che la cantautrice ha maturato con lei. Un album intellettuale? Assolutamente no: molto più ‘accessibile’ del suo predecessore, questo è un cd eclettico e aperto, capace di affrontare temi seri e complessi con la semplicità di brani come The last living rose e The words that maketh the murder. Non mancano sconfinamenti in campo rock, un campo che Polly Jean domina completamente. E lo dimostra in pezzi come In the dark places e Bitter Branches.
Accompagnata da amici e musicisti di vecchia data – uno su tutti il grande John Parish – PJ Harvey resta salda nel suo ruolo di icona, anche con un disco non esaltante. Un disco dove la disillusione marcia a fianco di un esercito cencioso e sfinito sulla polvere di una terra devastata. Let England Shake è un album dove le parole contano più della musica, come è giusto che sia su un disco che cerca di suturare le ferite di quei soldati spossati, un album che finirà per piacere tanto agli inglesi e un po meno altrove, soprattutto nella nostra italietta dove le concessioni alla melodia e al ritmo contano sempre più di tutto il resto. g.oc.
Accompagnata da amici e musicisti di vecchia data – uno su tutti il grande John Parish – PJ Harvey resta salda nel suo ruolo di icona, anche con un disco non esaltante. Un disco dove la disillusione marcia a fianco di un esercito cencioso e sfinito sulla polvere di una terra devastata. Let England Shake è un album dove le parole contano più della musica, come è giusto che sia su un disco che cerca di suturare le ferite di quei soldati spossati, un album che finirà per piacere tanto agli inglesi e un po meno altrove, soprattutto nella nostra italietta dove le concessioni alla melodia e al ritmo contano sempre più di tutto il resto. g.oc.
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