10 ottobre 2008

Le fotografie di Moltheni a ritmo di folk

Moltheni riesce ancora una volta a stupire tutti quanti con il suo quinto album I segreti del corallo che ha prima di tutto il merito di rincuorarci sul presente e sul futuro della discografia italiana. Lontano da etichette di genere, Umberto Giardini è in grado di rinnovarsi continuamente, mantenendo come capi saldi un gruppo di musicisti collaudato e una scrittura metaforica e surreale vero e proprio marchio di fabbrica, sceglie per questo ultimo lavoro una dimensione folk che si evolve attraverso un percorso simile ad un album di fotografie che raccontano episodi di vita, descrivono alla perfezione attimi e sentimenti. La prima parte del disco è più suonata e contiene brani che piaceranno sicuramente a chi apprezzò Toilette memoria e in parte anche Natura in replay. Vita rubina, la prima traccia, è di certo uno degli episodi più densi di suggestione: le passioni, le colpe, i delitti, restano fissati per sempre, incollati dalle parole e dal ritmo di un pezzo inquieto e commovente (e quando dico commovente vuol dire che ascoltandolo mi è scesa una lacrimuccia). Ci sono anche canzoni ariosissime, come Gli anni del malto o L’amore acquatico che ci donano un Moltheni sereno nel raccontare i sentimenti e la natura (perpetue armonie che mi trascinano e mi comprendono). Nella prima parte c’è anche il consueto brano strumentale Che il destino possa riunire ciò che il mare ha separato e poi In porpora, canzone ripescata da Splendore terrore in una nuova veste arricchita di strumenti, così come Suprema, ultimo ‘segreto del corallo’ ad essere svelato. La seconda parte del disco sceglie invece sonorità acustiche più minimali, nude, sullo stile del recente ep registrato in Svezia Io non sono come te. E così sono i testi a diventare assoluti protagonisti: “Vittime di noi, cavie prima o poi, porci pensieri in me riemergono… ultima fermata le tue labbra”. Le canzoni de I segreti del corallo vanno sorseggiate piano, altrimenti si rischia di perdere gran parte della fantasia e della poesia con le quali sono state scritte. Roberto Conti

6 ottobre 2008

Calexico, nel concerto milanese sold-out anche un cammeo di Vinicio Capossela

Arriviamo al Rolling Stone alle nove meno un quarto, incredibilmente riusciamo anche a trovare posteggio e a passo svelto ci dirigiamo verso l’ingresso per non perdere nemmeno una nota di questa serata che vede on stage i Calexico e, in apertura, Moltheni, che inaugura il tour de I segreti del corallo. Naturalmente Moltheni ha appena finito di suonare (maledetti locali milanesi: una persona che lavora che deve fare, mettersi in ferie!) e quando apprendo la notizia da un ragazzo del pubblico mi rammarico un poco. Il locale è pienissimo per l'unica data italiana di John Convertino, Joey Burns e dei loro Calexico, il cui seguito italiano credevo sinceramente fosse più modesto. Personalmente ho cercato di documentarmi al meglio per non arrivare del tutto impreparato al concerto, ma con risultati frammentari di cui mi scuso anticipatamente con i lettori. L'ultimo album della band di Tucson (Arizzona) Carried to dust propone un nutrito repertorio di ballate e pezzi rock/wave, tutti accuratamente confezionati ed arrangiati per suonare perfetti e senza sbavature. La scaletta della serata attinge prevalentemente proprio alle ultime canzoni con l'aggiunta di qualche più datato, come Across the wire. Difficile trovare una vera definizione al genere di questa band, che un po’ affascina, un poì stupisce e un po’ annoia sulla lunga distanza: più che country, come ipotizzavano le mie aspettative pre-concerto, abbondano qua e là le derive psichedeliche dall'inconfondibile sapore western, parola quest’ultima utilizzata con un’accezione positiva, naturalmente.Un elegante suono di gruppo e di atmosfera è sicuramente la carta vincente della band in cui spiccano chitarre di nylon, slide, ottoni, senza farsi mancare qualche deriva post-rock (vedi The black light). Menzione d'onore per la cover dei Lovedi Arthur Lee Alone again or, primo brano del loro capolavoro Forever changes, un "classico" del repertorio live dei Calexico. Nel finale del lungo live ecco a “sorpresa” fare la sua comparsa Vinicio Capossela, travestito da creatura oscura. Prende il via un duetto, applauditissimo: anche i sonnolenti fotografi che sedevano nel tavolino a fianco al nostro decidono che è arrivato il momento di “lavorare” e salgono sulle sedie per rubare uno scatto (naturalmente per tutto il resto del live non avevano mosso nemmeno un dito, anche quest sta nelle brutture del mondo della discografia). Ecco allora Polpo d'amor e La faccia della terra.Nuova pausa e nuova serie di bis per degli instancabili Calexico che chiudono l’esibizione con Red blooms con tanto di flicorno e le sonorità latine di Guero canelo.
Poi gli applausi plaudenti del pubblico. Roberto Conti