Di sicuro i canadesi di Montrèal stanno facendo un percorso in continua evoluzione e, dopo il precedente concept, arriva questo coraggioso doppio che farà sicuramente discutere. Piaccia o non piaccia, gli Arcade Fire di volta in volta continuano ad innovare la new wave aggiungendo sfumature mai banali e per lo più sorprendenti.
Già l’apertura affidata all’ononima title track (da cui è stato tratto il videoclip diretto da un mostro sacro come Anton Corbijn), in cui si mixa electro e disco in sette minuti di crescendo, è un inizio tanto coraggioso quanto riuscito. E dopo la volutamente interlocutoria We exist (in cui si fa sentire la registrazione all’incontrario e accellerata dell’intero album!) ecco il reggae ipnotico dell’irresistibile Flashbulb eyes.
Lo standard del primo cd resta altissimo grazie a gemme come Here comes the night time, Normal person e Joan of Arc. A queste si aggiunge You already know, che segue quell’umore cabarettistico che già si era manifestato in Ready to start.
La seconda facciata si apre con la solenne ed eterea Here comes the night time II, poi arriva la new wave pù classica con It’s never over. Afterlife va a ritmo electro-pop alla Depeche Mode, mentre la programmatica Porno si muove sexy sospinta da melodie sintetiche. Chiude l’intero lavoro Supersimmetry, sintetica e allo stesso tempo epica con le voci di Win Butler e di Regine Chassagne che duettano in grande armonia.
Quello che sono stati i Talking Heads negli anni ’80 lo sono gli Arcade Fire negli anni 2000: coraggiosi, ispirati e sempre in cerca di soluzioni innovative. “Reflektor” è un album bellissimo che, nonostante paghi un po’ per la lunghezza di alcune canzoni, rappresenta la maturità ormai raggiunta da parte di Butler e soci. Difficile nei tempi odierni, fatti per lo più di consumismo becero, stare dietro un doppio cd da 80 minuti effettivi ma, una volta ascoltato, vien da pensare che ne è valsa la pena. E ve lo dice una persona che non è mai impazzita per i polistrumentisti di Montrèal. Non fosse prolisso in certi punti “Reflektor” sarebbe un capolavoro assoluto, ma va assolutamente applaudita la verve nel fare cose sorprendenti degli Arcade Fire. Marco Pagliari
Ancora una volta gli Arcade Fire ci spiazzano con un album potente, ricco di suoni, comunque pop, nell'accezione di "popular", anche perché pezzi come la title track Reflektor rimangono immediatamente in testa.
Un marketing martellante, per mesi, ci ha accompagnato, tant’è che ero molto preoccupato che il disco si rivelasse tanto fumo e poco arrosto. Invece devo dire che sono al terzo ascolto e già adoro quest’album.
Sì comincia appunto con il singolone Reflektor, davvero un brano dance coinvolgente che secondo me tocca l’apice della sua bellezza con quei sax finali, si passa a We exist dove il giro di basso mi ha ricordato vaghe sonorità anni 80 e i coretti una certa dance anni 70’.
Terza traccia Flashbulb eyes, dove salta fuori forse la vera novità targata Arcade Fire: il ricorso a ritmi tribali e sonorità quasi doub-raggae, per poi passare all’altro singolo Here comes the night times, dove l’elemento tribale c'è ma passa in secondo piano, mentre prende forma anche un certo sound Anni 80’ che a qualcuno ha ricordato i primi The Cure.
Normal person invece torna ad assomigliare alle ultime produzioni, con un bel tiro pop rock impreziosito da piano e chitarre; si passa poi a You already know forse la canzone meno riuscita dell’album.
Track numero 7 Joan of Arc torna a far tirate il ritmo del disco con un bel sound che introduce il cd 2 dove c'è un reprise di Here comes the night 2, ritmo rallentato, tappeti di synth, ma niente di sconvolgente direi, mentre nella track Awful sound (oh Eurydice) si torna ai ritmi afro e a un finale in cui si può gustare qualche reminiscenza sixties.
It’s never over (hei Orpheus) segna il ritorno alla dance stile Arcade Fire che si mischia comunque con le chitarre distorte creando quel mix coinvolgente, con quel cantato un po’ alla Prince, Porno invece è ancora un bell'esempio di come il produttore possa influenzare l’artista, ma senza cambiarne troppo i connotati del suo lavoro. Qui James Murphy (Lcd Soundsystem), che ha curato la co-produzione, impreziosisce il brano con particolari che lo rendono godibilissimo e rock anche se gli stratagemmi sono quelli della sua musica; Afterlife torna ad assomigliare ai vecchi Arcade Fire; infine in Supersymmetry torna prepotentemente l’influenza di Murphy, ma la canzone sicuramente è bella ed è quella che alla fine emerge tra le decine di arrangiamenti che la circondano. Gli Arcade Fire stupiscono ancora, presentando un lavoro alla cui base ci sono le canzoni di Butler e soci ma con una veste nuova, fresca, ballabile. E noi queste cose le apprezziamo molto. Marco Colombo
ottime le due recensioni! album bellissimo... chi mai si era sognato di mischiare gli anni '80 con le danze sacre di Haiti... senza banalizzare entrambe le cose!!! uno di quei dischi che creano un sound che molti imiteranno nei prossimi mesi!
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