Il primo interrogativo da affrontare accingendosi a
recensire il nuovo album degli MGMT (intitolato, in modo molto originale, MGMT) è il seguente: a chi può interessare
questo album? E l'interrogativo è direttamente collegato ad un'altra questione:
a chi possono interessare gli MGMT oggi? Sicuramente non agli annoiati radical
chic che nel 2007 acclamavano Oracular
spectacular: per prima cosa, al giorno d'oggi la band originaria del
Connecticut fa una musica completamente diversa dagli esordi, e poi nel
frattempo è anche passata di moda così come lo era diventata, anche a causa di
scelte artistiche abbastanza bizzarre.
Ci troviamo davanti ad un disco
supportato da una fase di registrazione a budget praticamente illimitato: le
idee non ci sono, i mezzi tecnici sì. Il tutto si risolve, quindi, in una
carrellata di artifici tecnici per far sembrare valido qualcosa che di valido
non offre molto. Una prima dimostrazione di carenza di contenuti è The optimizer, che non è una canzone ma
un artificio tecnico che gli MGMT hanno applicato all'album: una sorta di
aggiunta al CD, grazie alla quale è possibile abbinare le canzoni ad una serie
di filmati in computer grafica, per contestualizzare meglio i brani e far
rendere al meglio la componente psichedelica. Sì, perché agli MGMT di oggi è
rimasta solo la psichedelia. Si parte con la tetra voce da bambino che apre Alien days, brano il cui testo funge da
introduzione ad un mondo psichedelico i cui contorni rimarranno sbiaditi anche nei
brani successivi. I suoni sono a volte futuristici, ma il più delle volte
confusi, a causa di un'iperproduzione che soffoca tutto ciò che vorrebbe
valorizzare. Le atmosfere tra il tetro e il futuristico proseguono in Cool song no. 2, per la quale è stato
realizzato anche un complesso videoclip. Di questo brano colpisce il testo, che
parla del timore dell'ignoto, e di come sia poco saggio l'atteggiamento di chi
cerca di sviscerare tutto e trovare le risposte. Una sorta di manifesto del
pensiero degli MGMT: esplorare gli stati di coscienza alterati ma conservando
il rispetto per la profondità degli abissi in cui ci si può immergere. Sarà
anche per questo che i brani dell'album proseguono in modo non particolarmente
limpido: forse vanno vissuti così, e non tutti possono capire. L'ascoltatore
potrebbe chiedersi se ci sono ancora quelle brevi ma geniali sequenze di tasti
premuti quasi a caso sul sintetizzatore, che caratterizzavano canzoni come Electric feel o Kids. E la risposta è no. Qualcun altro potrebbe chiedersi se
quindi gli MGMT hanno perseguito quel misto tra psichedelia e rock progressivo
che aveva caratterizzato Congratulations.
Ma anche in questo caso la risposta è no. Le contaminazioni musicali, sempre rivolte
verso alcune semisconosciute realtà di progressive psichedelico ben lontane dai
colossi del prog britannico o italiano, non sono cambiate: passano
semplicemente in secondo piano. C'è infatti una cover, Introspection, di un oscurissimo artista lisergico degli anni '60
chiamato Faine Jade. Ed è uno dei brani più interessanti dell'album. Per il
resto la struttura dei brani non conta più di tanto, perché tutto è sepolto da
fitti strati di suoni artificiali. Si salva I
love you too, death, in cui c'è un crescendo degno dei vecchi tempi, con un
testo che parla di un progressivo e artificiale distacco dal mondo e dalle sue
incongruenze, fino a giungere ad una sorta di pace e di saggezza molto vicina
alla morte. Gli stati di coscienza alterati sono una costante, così come la
necessità di distaccarsi da una vita, quella vera, che è altrettanto
artificiale, come nel robotico e martellante singolo Your life is a lie, con il quale gli MGMT hanno spiazzato proprio
tutti, e forse non proprio in maniera positiva. Dopo aver ascoltato questo
album, ciò che rimane è una bella confusione in testa, oltre che un nuovo
interrogativo: a chi può davvero piacere un album del genere? E' brutto dirlo,
ma è come se questo album servisse solo ad onorare il milionario contratto con
la Columbia. Quella della psichedelia sembra proprio una scusa grazie alla quale
la band si sente legittimata a fare ciò che vuole, incurante dell'ascoltatore.
Ma forse il parere di chi scrive è quello di chi nutriva troppe aspettative per
un album che mancava da tempo, e forse nel frattempo gli MGMT sono rimasti
inglobati in un gioco più grande di loro, dal quale cercano di fuggire facendo
finta che il mondo reale non esista. D'altronde sono una delle poche realtà
musicali che al giorno d'oggi vengono ancora pagate a peso d'oro per comporre
dischi a scadenze più o meno regolari. Peccato: davano l'idea di avere un
grande potenziale. Marco Maresca
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