C’era davvero bisogno di un nuovo disco degli Shandon? Ci soffermeremo su questo avverbio durante tutta la recensione: “davvero”. Insomma, tutti conosciamo gli Shandon. Concerti da vent’anni, uno dei primi gruppi a suonare di spalla ai vari festival di fine anni ’90 ai nostri idoli californiani, una valanga di canzoni scritte e soprattutto pionieri di un genere che in Italia non ha mai avuto la possibilità e le capacità di esprimersi a livelli davvero meritevoli.
Non ascoltavo un loro disco per intero dai tempi di Nice try, per intenderci, e mai mi sarei aspettato che potessero ancora sfornare qualcosa di nuovo, soprattutto dove le varie vicissitudini musicali di Olly che, tra The Fire e il grande punto interrogativo dei Rezophonic, pareva ormai definitivamente diretto verso un futuro da disinvolto quarantenne rockeggiante. Comunque. Questo nuovo Back on board esce per Ammonia records ed arriva dopo dodici anni di silenzio in studio più quattro anni dall’ultima reunion: mi sarei aspettato qualcosa di davvero diverso. E invece no, continuano a proporre il solito andazzo punkeggiante e poco californiano dello skacore made in Italy, dimostrando di non aver ancora imparato le semplici lezioni di Mad caddies, Mighty mighty bosstones e Less than Jake: chitarre alte, velocità che rasenta l’hardcore melodico, fiati a mille e testi al minimo. I brani sono in totale undici, comprese due cover messe lì a caso, al secondo e quinto posto, che davvero non c’entrano niente. Non per la posizione nel disco, ci mancherebbe altro. Ma ce n’era davvero bisogno? Locked out of heaven di Bruno Mars passi, ci sta il pezzo mainstream. Ma Proud Mary dei Creedence Clearwater Revival no: non è tutta ska, non è tutta veloce, non si capisce dove si voglia arrivare. E poi i Lagwagon ci passarono sopra, i Creedence, in maniera inimitabile, scusatemi, è la forza dell’abitudine. Inascoltabile. Andando avanti, ci si aspetta almeno un brano che ricalchi in qualche modo le ineluttabili innovazioni che portarono brani come Diamanda, Uniform, Calorifero o Where did you go? alla fruibilità di tutti, con grande merito peraltro: dei veri capolavori per l’epoca. Ma forse solamente la prima canzone, Tony Alva, lascia qualche speranza. Per il resto, è una storia già ascoltata, cantilene che stentano a rimanere impresse: Vuoto con la voce di Bunna sembra un pezzo degli Africa unite fatto e finito, Skate ska sembra una canzone dei Pietasters rifatta alla festa di fine anno del Liceo, Festa l’ho tirata avanti dopo la seconda strofa, The miracle è carina, invece, molto Sublime per intenderci, e finalmente i fiati sono lì a spingere dove serve. Ecco, i Sublime mettevano le cose al posto giusto. Concludendo, non era davvero necessario un nuovo disco degli Shandon. Facevano parte del nostro passato, delle nostre prime feste con la casa libera, dei nostri primi concerti a pogare sotto al palco quando il palazzetto era ancora vuoto, quando davvero questo genere significava qualcosa. Back on board non deluderà sicuramente i fans più o meno sfegatati, ma personalmente non mi ha comunicato quasi nulla. Andrea Vecchio
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