31 dicembre 2014

Silent carnival, l'esordio folk claustrofobico di Marco Giambrone

Marco Giambrone è un fotografo ed un pittore, oltre che un musicista già attivo nella scena siciliana con alcuni progetti (Marlowe e Nazarin). Silent carnival è il suo progetto solista, un progetto molto lontano dalle atmosfere che la sua terra può evocare, tanto lontano che forse solo la terra rossa di alcune location dei film di Sergio Leone può stargli bene come vestito territoriale. Non aspettatevi però sparatorie e battute, né espressioni banali (col cappello o senza cappello?): immaginatevi piuttosto una carovana che vaga per un deserto roccioso, le speranze dei componenti che scemano man mano che ci si accorge che il viaggio non ha meta. E là, in fondo alla strada, ad attendere tutti c'è solo la morte.

E' un'atmosfera claustrofobica ed opprimente quella che si respira fin dalle prime battute dell'omonimo album di Silent Carnival (uscito per Viceversa Records / Old Bicycle Records), una specie di esperimento folk scarnificato dal ritmo lentissimo su cui si appoggiano dolenti gli strumenti. Batteria minimale, chitarre che incidono la pelle con le loro rade distorsioni (Existence dilania l'anima col suo incedere sempre più ossessivo), vagheggiamenti elettronici a rendere più inquietante il viaggio ed una voce profonda che accompagna l'ascoltatore in questo viaggio fra l'onirico ed il rassegnato. Il sole fa capolino raramente nella musica di Marco, e quando lo fa brucia: è forse la malinconica June l'unico momento dell'album in cui un po' di luce viene a rischiarare la strada, ma non è che un miraggio lungo il cammino...per quanto lungo ed intenso. Per il resto del tempo la carovana si sposta lenta ma inesorabile, palesando qualche timida reminescenza (anche vocale) con l'ultimo Lanegan nelle percussioni soffocate e le incursioni elettroniche di Crying dance (omaggiata da un convincente sax nel finale), virando sul funereo spinto (saranno i suoni quasi organistici in sottofondo?) nella splendida Gare du nord, rianimata nel finale da un incrocio di arpeggi su cui i colpi di basso e batteria cadono come rintocchi, lasciando sfogare qua e là gli archi come nella parte centrale di It's not real. Vivono di momenti e di emozioni questi dieci pezzi, emozioni diluite in una tempistica spesso superiore ai 5 minuti ma che riesce ad essere attraente grazie ad una sapiente mistura di minimalismo e sperimentazione (un'anima, la seconda, perfettamente incarnata dalla conclusiva Restless love, su cui si appoggia eterea una convincente voce femminile). Una mistura che funziona, e rende vario un viaggio che affascina e inquieta al tempo stesso, persi in una dimensione in cui si va avanti come incantati a seguire ogni sofferta nota.

Tutto si può dire di questo esordio del progetto Silent Carnival, ma di sicuro non che sia banale: Marco sfodera un'atmosfera che, nella sua volontaria pesantezza espressiva e nel suo incedere stanco e decadente, riesce a creare un micromondo il cui valore complessivo è maggiore delle singole canzoni (alcune delle quali comunque spiccano, con menzione particolare per la già citata  Gare du nord). Un ascolto non per tutti, ma di cui vale la pena avere almeno un piccolo assaggio. Stefano Ficagna

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