Marco Giambrone è un fotografo ed
un pittore, oltre che un musicista già attivo nella scena siciliana con alcuni
progetti (Marlowe e Nazarin). Silent carnival è il suo progetto solista, un
progetto molto lontano dalle atmosfere che la sua terra può evocare, tanto
lontano che forse solo la terra rossa di alcune location dei film di Sergio
Leone può stargli bene come vestito territoriale. Non aspettatevi però sparatorie
e battute, né espressioni banali (col cappello o senza cappello?): immaginatevi
piuttosto una carovana che vaga per un deserto roccioso, le speranze dei
componenti che scemano man mano che ci si accorge che il viaggio non ha meta. E
là, in fondo alla strada, ad attendere tutti c'è solo la morte.
E' un'atmosfera claustrofobica ed
opprimente quella che si respira fin dalle prime battute dell'omonimo album di
Silent Carnival (uscito per Viceversa Records / Old Bicycle Records), una
specie di esperimento folk scarnificato dal ritmo lentissimo su cui si
appoggiano dolenti gli strumenti. Batteria minimale, chitarre che incidono la
pelle con le loro rade distorsioni (Existence dilania l'anima col suo
incedere sempre più ossessivo), vagheggiamenti elettronici a rendere più
inquietante il viaggio ed una voce profonda che accompagna l'ascoltatore in
questo viaggio fra l'onirico ed il rassegnato. Il sole fa capolino raramente
nella musica di Marco, e quando lo fa brucia: è forse la malinconica June
l'unico momento dell'album in cui un po' di luce viene a rischiarare la strada,
ma non è che un miraggio lungo il cammino...per quanto lungo ed intenso. Per il
resto del tempo la carovana si sposta lenta ma inesorabile, palesando qualche
timida reminescenza (anche vocale) con l'ultimo Lanegan nelle percussioni
soffocate e le incursioni elettroniche di Crying dance (omaggiata da un
convincente sax nel finale), virando sul funereo spinto (saranno i suoni quasi
organistici in sottofondo?) nella splendida Gare du nord, rianimata nel
finale da un incrocio di arpeggi su cui i colpi di basso e batteria cadono come
rintocchi, lasciando sfogare qua e là gli archi come nella parte centrale di It's
not real. Vivono di momenti e di emozioni questi dieci pezzi, emozioni
diluite in una tempistica spesso superiore ai 5 minuti ma che riesce ad essere
attraente grazie ad una sapiente mistura di minimalismo e sperimentazione
(un'anima, la seconda, perfettamente incarnata dalla conclusiva Restless
love, su cui si appoggia eterea una convincente voce femminile). Una
mistura che funziona, e rende vario un viaggio che affascina e inquieta al
tempo stesso, persi in una dimensione in cui si va avanti come incantati a
seguire ogni sofferta nota.
Tutto si può dire di questo
esordio del progetto Silent Carnival, ma di sicuro non che sia banale: Marco
sfodera un'atmosfera che, nella sua volontaria pesantezza espressiva e nel suo
incedere stanco e decadente, riesce a creare un micromondo il cui valore
complessivo è maggiore delle singole canzoni (alcune delle quali comunque
spiccano, con menzione particolare per la già citata Gare du nord). Un ascolto non per
tutti, ma di cui vale la pena avere almeno un piccolo assaggio. Stefano Ficagna
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