6 dicembre 2014

Esce per la tedesca Fuego records il nuovo album degli Eva's milk, un orgoglio tutto novarese

La scorsa estate abbiamo incontrato gli Eva's milk in un paio di circostanze. La prima volta in occasione del loro concerto nella splendida cornice estiva della Casa di paglia di Fontaneto d'Agogna (NO), a bordo di una avveniristica tensostruttura gonfiabile, in mezzo alla campagna. Un corpo estraneo che dava sfogo ai propri mostri interiori in un'atmosfera surreale. La seconda volta, in piazza Gramsci a Novara. Anche in quel caso, durante l'esibizione della band, agli occupanti della piazza dev'esser sembrato di essere finiti in una dimensione parallela.
Il power trio novarese si muove infatti in completa discontinuità da quanto musicalmente e stilisticamente avviene intorno. Il nuovo album, intitolato semplicemente Eva's milk, è la loro quinta esperienza discografica, terza per quanto riguarda i full-lenght album. Che non c'entri niente con resto delle cose che ascoltiamo lo si capisce già dalla magnifica copertina, con inquietanti esseri mostruosi, forse arpie di mitologica memoria, che anticipano quello che sarà il contenuto del disco: un viaggio psichedelico a conoscere i mostri che popolano la ordinaria ma folle mente di tutti noi. L'etichetta è la tedesca Fuego records, che da tempo ha saputo apprezzare le strane atmosfere degli Eva's milk. Paolo Contribunale, bassista della band, tiene a far sapere di essere autore dell'intero processo di registrazione e mixaggio del disco, e di essere in tutto ciò un esordiente assoluto. Il materiale è stato poi inviato a Seattle presso Chris Hanzsek per le operazioni di mastering. Il disco ha una caratteristica, che poteva essere un difetto ma che si rivela essere un enorme pregio, dovuta all'autoproduzione: rispecchia al 100% l'essenza della band. Non c'è un inseguimento delle tendenze altrui, una ricerca del sound tipico di un genere. Non è un disco che assomiglia ad altri cento. Ha una sua essenza ed una sua unicità talmente forti, da essere qualcosa di cui musicalmente ci si può innamorare. Come ascoltare un disco dei Melvins o dei Dinosaur Jr. in pieni anni '80, o nei momenti più melodici i Meat puppets, il tutto abbinato ad una violenza da power trio, tipo Shellac, i quali però appartengono già agli anni '90, mentre le influenze del trio novarese vanno probabilmente ricercate ancora negli anni '80 americani. Inutile entrare nel merito dei significati dei testi, perché spesso sono visionari, onirici, allegorici. Si può fare un tentativo con l'iniziale Pendulum, che potrebbe (ma il condizionale è d'obbligo) parlare di una sorta di orgia mascherata, perché le persone al giorno d'oggi non riescono a lasciarsi andare se non sono coperte da una maschera. Commovente il finale della canzone, in cui il tempo cambia bruscamente passando ad un sognante sei ottavi che canta di una ritrovata innocenza. Toy boy, forse la traccia più convenzionale del disco, è quella col testo più lineare: una forte critica al mondo odierno fatto di apparenze, in cui "morti gli eroi / ecco i toy boy". Badishù, "l'alieno che vive / nell'armadio di casa mia", in quanto a chitarre ricorda i Pixies di Velouria e Monkey gone to heaven. Altri brani, tra cui la tesissima Odio i Rockets, è impossibile anche solo tentare di capire di cosa parlino. Difficile anche capire in che modo la band francese dei Rockets abbia potuto nuocere agli Eva's milk. Il mare sordo è un brano surf estivo rielaborato secondo la maniera allucinata del trio, un po' come nei film di Tim Burton in cui anche le situazioni allegre si tingono di macabro. Se si dovesse nominare una cosa che stupisce durante tutto il disco è il lavoro della batteria: ogni volta sempre qualcosa che non ci si aspetta, come i bruschi e inattesi cambi di tempo in Doomboh e Odio i Rockets. Lorenzo Stangalini come batterista ricorda Steve Shelley dei Sonic youth, ma molto meno lineare e molto più impulsivo. E poi c'è Andrea Zanolli: chitarra mai banale, che dal grunge di Seattle arriva alla wave italiana di Fiumani (Fontanelle), e voce allucinata, tenuta bassa nel mix forse perché canta cose che non si capiscono e non si devono capire: testi mai banali ma la cui poesia sta proprio nel fatto che, un po' come i Verdena, vanno compresi dall'ascoltatore secondo la propria sensibilità. Insomma, se non si fosse capito ci troviamo di fronte ad un gran disco. Basteranno due liriche per darvi un'idea di chi abbiamo davanti? Se sì, citiamo: "Aspetterò le piogge / per non sputar solo" (Odio i Rockets) e "L'orizzonte è / del cielo l'imene" (Doomboh). P.S. per i detrattori: come già accaduto per altri dischi di band novaresi, quando son decenti lo diciamo, quando fanno schifo lo diciamo ugualmente. Non facciamo sconti né diamo premi solo per vicinanza geografica. E questo è un disco che si può ascoltare tre volte di fila. Marco Maresca

Tracklist:
1. Pendulum
2. Odio i Rockets
3. Patti coi Luciferi
4. Consolamentum
5. Justine
6. Il mare sordo
7. Toy boy
8. L'orrore si veste sottile
9. Badishù
10. Doomboh
11. Fontanelle
12. Lì è il domani

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