In occasione del secret concert dei Piccoli omicidi a Novara, abbiamo intervistato la band emiliana nel salotto di casa, mentre in cucina preparavamo la pastasciutta e tiravamo fuori dal frigo le lattine di birra. Questo è ciò che ne è uscito.
Domanda scontata (tant'è che
Piergiorgio me la anticipa): da dove proviene il vostro nome? Mi lascia
suggestioni cinematografiche, dal film Piccoli
omicidi tra amici all'omonimo Piccoli
omicidi di cui sono venuto solo recentemente a conoscenza...
In parte viene da lì: hai
giustamente citato il film di Danny Boyle, uno dei registi che ci piace di più
e che ha questo gusto particolare di mettere in mostra le cose più drammatiche
in maniera sempre abbastanza ironica e dissacrante. E' un po' quello che facciamo
anche noi, che in parte affrontiamo argomenti più o meno importanti e pesanti
ma mantenendo una vena d'ironia ed amarezza. Al di là di questa influenza le
nostre canzoni hanno spesso a che fare con quelle piccole cose della vita che
ti turbano, ed i piccoli omicidi sono anche i tentativi di cancellare queste
cose che capitano e vuoi eliminare: è poi fantastico l'accostamento volutamente
forzato, visto che un omicidio è tutto tranne che un evento di “piccola”
rilevanza!
Il vostro secondo album, di
prossima uscita, è stato finanziato attraverso Musicraiser: com'è stato
lavorare con questa piattaforma alle spalle?
E' stato un secondo lavoro!
(Ride) E' una bella occasione perché ci siamo resi conto che al di là del
contributo economico che può dare la cosa, che è relativo ma ci ha permesso di
fare un salto in avanti a livello di produzione, è stata la possibilità di
coinvolgere direttamente i fan ed interagire con loro il valore aggiunto.
Aprire una campagna di crowdfunding non si esaurisce al solo atto dell'apertura,
aspettando che la gente venga da sé, è come fare un porta a porta visto che
siamo andati in pratica a parlare singolarmente alle persone che potevano
essere interessate. E' una cosa impegnativa perché non basta illustrare il
progetto che hai in mente chiedendo dei soldi in cambio, ma devi rimanere
costantemente in contatto con chi ha contribuito: è un sistema che divide, ma
molti si sono trovati male col crowdfunding perché alla fin fine non hanno
seguito la base che aveva contribuito al loro progetto, anche nomi illustri del
cui progetto non si è saputo nulla anche per un anno e mezzo. Noi abbiamo
cercato di creare una campagna interessante, con delle ricompense abbastanza
fantasiose come una grigliata insieme ai nostri “finanziatori”, siamo andati a
suonare e cucinare in casa d'altri... Non si può stare ad aspettare che il
contributo di una persona venga da solo insomma. I nostri tempi sono stati
abbastanza lunghi, perché abbiamo cominciato la campagna ancora prima di
attaccare fisicamente gli strumenti e all'uscita del disco sarà passato circa
un anno, ma siamo rimasti sempre in contatto con ci ha aiutato lungo questo
periodo.
Dal punto di vista artistico è
limitante sapere di essere finanziati dai propri fan, magari pensando di dover
scendere a qualche compromesso per non deludere chi ha contribuito attivamente
al disco?
Sinceramente non abbiamo neanche
preso in considerazione la cosa... Pensiamo di aver fatto un bel passo avanti
rispetto al primo disco, e siamo fiduciosi che possa piacere. Molte persone di
quelle che hanno contribuito comunque le conoscevamo, quindi sapevamo già cosa
pensavano di noi prima. Non credo che sia una cosa che condizioni, o almeno non
dovrebbe farlo.
Come mai avete deciso di
registrare il disco in Slovenia?
Abbiamo voluto fare una
produzione qualitativamente importante, e farlo in Italia non è possibile. Non
è stato un capriccio andarci, hanno delle strutture assolutamente
all'avanguardia col grande vantaggio che costa molto meno. Per assurdo andando
all'estero siamo andati al risparmio, mi è stato inoltre consigliato questo
studio da Michele Pazzaglia, che aveva già lavorato sul nostro precedente disco
e coprodotto questo con me: era già stato lì con Paolo Benvegnù e si era
trovato benissimo, è stato naturale quindi che lo proponesse anche a noi come
sede di lavoro.
Nel disco precedente avete
lavorato anche con lo stesso Benvegnù: come vi siete trovati con lui e come è
nata questa collaborazione?
L'ho conosciuto parecchi anni fa
ad un seminario sulla scrittura ed in quell'occasione gli avevo lasciato
qualcosa di nostro da fargli ascoltare, lui è una persona molto alla mano e si
mette almeno alla tua altezza quando ti parla, se non al di sotto, ed
essendogli piaciuto quello che ha ascoltato mi ha detto che quando avessi
voluto partire col progetto avrebbe gradito far parte dell'operazione. Questo è
dovuto anche al fatto che a livello di scrittura ha riconosciuto un'indole
simile alla sua, perchè le cose troppo diverse da quello che fa in prima
persona preferisce evitarle, comunque da lì è partito tutto e possiamo dire che
la sua figura ha dato un valore aggiunto al lavoro: l'unico “rischio” se
vogliamo è che finisca per esserci troppo di lui nel disco, essendo molto
presente in tutta la fase di lavorazione,
tanto che l'album nuovo abbiamo deciso di produrlo più in autonomia per
farne un prodotto veramente nostro. E' stato molto utile perché ci ha aperto la
visione a 360 gradi, l'importanza del suo contributo la si può vedere da quanto
ha dato di buono il suo lavoro in svariati dischi prodotti al di là del nostro,
senza che abbia lasciato nulla di cattivo.
Come mai per il nuovo album
avete deciso il titolo L'incomparabile
fortuna di non andare mai di moda?
In realtà è un sottotitolo, una
definizione che diamo a noi stessi in generale. Per quanto possa essere
controproducente pensiamo che a questo livello non abbia senso seguire le mode
del momento, e valga di più fare quello che ci piace nella migliore maniera
possibile. Il disco non ha un titolo e non glielo daremo, un po' come i Led
Zeppelin! (Ride)
Ci puoi rivelare qualche
anticipazione su ciò che troveremo nel disco a livello di evoluzione sonora?
E' stato suonato praticamente dal
vivo, con qualche sovraincisione e ritocco ovviamente in seconda battuta, ma ci
teniamo a dirlo perché dà un tocco molto più personale: siamo più “noi”, ha un
approccio molto più diretto. E più rock e concreto rispetto al primo disco, è
anche molto vario ma senza essere talmente variopinto di generi da non poterlo
definire... Lo riteniamo un passo avanti incredibile per la nostra maturità
artistica. Abbiamo pensato non a fare un disco ma tanti singoli, perché
pensiamo che ogni canzone debba avere un senso all'interno del lavoro completo
e non debba fare da semplice riempitivo.
Com'è stata l'esperienza del
Jack On Tour?
E' stata molto bella perché è
arrivata anche inaspettata. Siamo stati contattati da loro per fare un video
dato gli era piaciuto molto il singolo che gli avevamo proposto, e ci siamo
ritrovati in questa situazione che pensi possa capitare solo ai grandi artisti,
coccolati e riveriti con trenta persone che lavoravano per noi. La cosa è nata
e morta lì ma ci ha aiutato molto anche a livello di visibilità.
Proprio Sole e venerdì, la canzone di cui avete realizzato il video, è
stata anche una sorta di anticipazione dell'album: è stata una cosa voluta
farla uscire così tanto tempo prima dell'uscita del disco?
Così tanto no in realtà, ed è il
motivo per cui parlavo di Musicraiser come di un secondo lavoro: per almeno
quattro mesi la campagna di crowdfunding ci ha portato via tutto il tempo,
quindi la nostra idea di lavorare all'album nel mentre non si è realizzata ed
invece di uscire col disco dopo pochi mesi dall'uscita del singolo questo lasso
di tempo si è protratto per un anno circa. Questo ci ha portato anche a
ri-registrarlo, per dargli una rinfrescata.
Assieme a questa canzone
avevate anche registrato Povera patria
di Battiato, mentre sul disco avevate registrato una vostra versione di Vedrai vedrai di Tenco. Nello scegliere
le cover non avete timori reverenziali evidentemente...
E' sempre un rischio andare a
pescare artisti e canzoni simili, ma noi ci teniamo a dare il nostro tributo a
questi personaggi perché riteniamo l'Italia un paese di cantautori validi come
da altre parti non ce ne sono. Cerchiamo di farlo regolarmente ma consci del
fatto che non possiamo dare qualcosa in più a simili canzoni, possiamo darle
un'altra intenzione ed interpretazione ma comunque nell'ordine di idee che il
risultato deve essere ottimo perché se no non ha senso... Se ci accorgiamo di
aver fatto una “cacata” ritorniamo indietro subito! (Ride)
Avete anche scritto una canzone
sulla tragedia del Vajont, intitolata Va
Giù (Vajont): vedendo quanto regolarmente succedono ancora disastri causati
dall'incuria cosa vi sentite di dire al riguardo?
E' scontato dirlo ma purtroppo
non si impara mai... Quello è stato il primo grande caso di corruzione secondo
me: c'era qualcuno che ha portato avanti il progetto a tutti i costi perché se
no ci perdeva dei soldi, e cose del genere le continuiamo a vedere oggi sia a
livello ambientale che nella società, non ultimo il caso di Roma capitale... Intervista a cura di Stefano Ficagna
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