Nuovo
album per gli Antinomia, band torinese che dopo l'esordio con Illusioni
ottiche del 2012 torna a farsi sentire con un carico di 11 pezzi, sotto la
supervisione alla produzione di un grosso nome come quello di Madaski.
L'esperienza del membro degli Africa Unite si riflette in un uso maggiore, ma
comunque mai invasivo, di una componente elettronica che nel precedente album
rimaneva più sullo sfondo, ed anche in un suono più pulito rispetto al passato.
Purtroppo questi sono praticamente gli unici cambiamenti rispetto a due anni
fa, perchè gli Antinomia sembrano riproporre gli stessi difetti di allora.
Il
paragone coi Litfiba (gruppo per il quale hanno aperto un concerto allo stadio
di Firenze come risultato della vittoria di un concorso promosso dalla stessa
band e Virgin Radio) non era azzardato allora e non lo è tuttora, ed è comunque
un'influenza apertamente ammessa dagli Antinomia. Il problema è che il maestro
continua a rimanere molto al di sopra dell'allievo, visto che lungo tutto
l'album mancano sussulti capace di far drizzare le antenne all'ascoltatore da
tutti i punti di vista: gli strumenti continuano a mancare di personalità,
compresa la parte elettronica, la voce di Riccardo è piacevole ma dà
costantemente l'impressione di accontentarsi di una buona impostazione invece
di infondere la sua anima nei pezzi, le strutture dei brani...beh, quelle sono
forse anche peggiorate. Brani come Inutile e Senza rancore
mancano totalmente di quell'aggressività che le distorsioni vorrebbero evocare,
nella prima si arriva addirittura al fastidio quando viene riproposto per la
quarta volta lo stesso riff di chitarra già di per sé poco accattivante al
primo ascolto: non va meglio con Jupiter, brano maggiormente elettronico
afflitto da parti vuote che stancano invece di far salire la tensione. La
ricerca di sbocchi diversi, pur rimanendo nel solco di un rock cupo e
muscoloso, è ammirevole, ma le insipide ballad Flashback e L'universo
lasciano qualche segno solo col cambio di ritmo dei ritornelli della seconda, e
le suggestioni orientaleggianti della conclusiva Exstasi, solo
timidamente accennate nel resto del disco, portando ad un brano strumentale
forse troppo dilatato per le poche idee che veicola. Non aiutano sul versante
del coinvolgimento neanche i testi, esageratamente didascalici e con ben pochi
punti d'interesse: peccato, perchè l'idea di indagare la natura della psiche
umana avrebbe potuto portare a ben altre ed interessanti conclusioni.
Mantra,
in definitiva, è un album in cui niente fa del suo meglio per far spiccare il
volo ai brani che lo compongono, e che risente paradossalmente anche di una
produzione più professionale, che toglie parte di quell'energia che nei vecchi
brani scorreva a sprazzi. E' un buon sottofondo, che riesce a mascherare sotto
una patina orecchiabile i difetti che risaltano invece ad un ascolto attento:
due anni non sono bastati per rendersi conto delle mancanze, ma se questa è la
scelta musicale intrapresa dalla band non posso che far loro i miei migliori
auguri. Consigliarlo no però, vedete voi se dare ascolto a me o a loro: a mio
sfavore va sicuramente ascritto che io non posso certo vantarmi di aver suonato
in uno stadio coi Litfiba. Stefano Ficagna
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