Ho
aspettato un po’ a scrivere del concerto che Niccolò Fabi ha tenuto venerdì 1
marzo al Teatro Civico di Vercelli, perché le emozioni che regalano le melodie
e le poesie hanno bisogno di essere elaborate per poter essere raccontate; sì
perché Niccolò Fabi è ben oltre un cantante, è un poeta. Aspettando questo
tempo (necessario), ho ascoltato e riascoltato Ecco, il suo ultimo lavoro:
titolo azzeccatissimo, un avverbio indicativo che annuncia un’urgenza creativa
e una voglia smisurata di raccontarsi. Nella copertina del disco Niccolò appare
elegante, con l’aspetto maturo e pieno di ricci scompigliati, tra le mani tiene
un arco teso con una freccia pronta a colpire. Un cd che fa centro già dalla
copertina. Chi dice “ecco” mostra o porge qualcosa, una piccola parola adatta a
tante circostanze, così come tante sono le sfumature emotive e sonore che
abitano in questo cd.
Al
disco hanno preso parte alcuni tra i giovani musicisti innovatori del panorama
italiano, una family band che Niccolò si è portato anche sul palco, a
cominciare da Roberto Angelini (sì, proprio quello di Gattomatto) che ha aperto il live con una performance degna di lode
per l’immensità della sua voce, calda e coinvolgente, la bellezza e la
passionalità dei testi, ed il talento cristallino dimostrato nel suonare la sua
sfilza di steel guitar; con lui, al synth ed alle tastiere, l’ex Tiromancino
Daniele “Mr Coffe” Rossi. E poi Pier Cortese alla chitarra ritmica ed ai cori,
Fabio Rondanini alla batteria, Gabriele Lazzarotti al basso. Peccato per
l’assenza del bravo Andrea Di Cesare, il violinista (da me scoperto ed
apprezzato proprio al Civico di Vercelli ad un concerto che Carmen Consoli
tenne qualche anno fa). E poi c’è lui, Niccolò Fabi e il suo legame col
pubblico, fraterno e amichevole, complice e forte, unico. Due ore e mezzo di
live, pienissime ed emozionanti, di musica e parole che non si sentono tutti i
giorni.
E si
inizia con Indipendente, una ballata ariosa, in cui si respira l’atmosfera di
gruppo (a dispetto del titolo) perchè è vero che «non c’è cosa che sia più
importante perché da indipendente si esiste e si resiste» ma «chi è davvero
indipendente? È poi felice chi è indipendente da tutto?». Prima di introdurci
al brano successivo, Niccolò ci dà il benvenuto, lamentando che scalpitava dal
desiderio di suonare visto che il concerto precedente del tour si era tenuto
venti giorni prima. E applaudendolo, noi accogliamo la sua Io, una canzone
stile reggae concentrata su questo pronome che Fabi, cantando, rimarca
ossessivamente al microfono ma che in realtà tutto è tranne una canzone
egocentrica, anzi, è un canto di
protesta contro l’egoismo della società fatta da individui che soffrono di
“egomania”, la nuova malattia, una riflessione che non pare del tutto
inverosimile, direi. Nel finale, in un ripetersi tachicardico, il brano ricorda
il sapore del sud, delle tarante (non a caso, dato che l’album è stato
registrato negli studi pugliesi di Roy Paci), di una cantata stile coro da
osteria che ripete “non è il mestiere mio assomigliare a Dio”; Fabi e gli altri
sembrano divertirsi nel farlo e a noi la cosa piace.
Segue E’ non è, un brano immenso nel contenuto, interpretato con una tale intensità
che trasuda umanità, e che, assieme ai due brani precedenti, forma una stupenda
trilogia dell’essere, una fotografia con sfumature anche dolorose ma pur sempre
sviluppata negli acidi della speranza; una rappresentazione della società a
volte estremamente miope per tutto quello che non ruota attorno al sé. Ma
l’obiettivo della musica è quello di trasportarci fuori dal quotidiano, e Fabi
questo lo sa bene, lui stesso afferma di essere su quel palco, immerso nel buio
di un teatro, proprio per questo; l’oscurità nutre i sogni e la musica ci fa
viaggiare, a volte fuori in luoghi immaginari inesplorati ed altre volte Dentro: «vi voglio accompagnare in un viaggio che porta dove recita il titolo
di questa canzone», attacca la musica e
parte la poesia che racconta dell’esplorazione dell’anima, esplorazione
profonda, che permette di comprendere che la cura dei nostri mali è dentro di
noi. Quale viaggio migliore. Stupendo.
Arriva
poi E’ solo un uomo, la confessione intima di un’anima che si racconta. Un
uomo che, parola dopo parola, si spoglia; velo dopo velo, si rivela fino a
mostrarsi nell’essenza. La voce di Fabi è tremante e da brividi. Gli intermezzi
musicali tra un brano e l’altro sono evocativi, richiamando a tratti
l’atmosfera creata dai suoni armoniosamente distorti dei Sigur Rós, e luminosi,
per il risultato dell’effetto luci ben curato. E con questo intro vede la luce
uno dei miei brani preferiti, Elementare, che è più di una canzone, è un
coinvolgimento di anime, impossibile non notare la sintonia e la comunicazione
puramente sensoriale tra Fabi ed Angelini: potere della musica. Bella, ricca di
sfumature. Interpretata con una voce leggera e dolce, che appartiene ad una
dimensione onirica, in cui Niccolò canta la voglia di cambiare le cose, lasciandosi
trasportare da ciò che i disagi trascorsi della vita hanno portano a
dimenticare ed ignorare ma che, sostanzialmente, sono elementari, appunto, come
“un bacio in una favola, il sonno la domenica, un’altalena libera, un pallone
che rotola”. Una preghiera ad abbandonare il passato, a non tenerlo ancorato a
noi tenendo il piede sul freno, a correre ed abbracciare il futuro che ci
aspetta, rassicurati dalla presenza di “una mano leggera che sfiora il viso”
che ci accompagna e ci aiuta a comprendere che tutto ciò di cui abbiamo bisogno
è lì, nella stanza del nostro cuore.
«Come
è andato il viaggio?», ci domanda Fabi ben consapevole della risposta. «Avete
incontrato fantasmi simpatici o scheletri ben vestiti? Sì perché, se è vero che
gli scheletri stanno nell’armadio allora tanto vale, dico io, che sfruttino il
nostro guardaroba», che strani discorsi che intrattiene Fabi. Viva le persone
strane, quelle che si fanno domande. Come diceva Fabrizio de Andrè “Per me, una
persona eccezionale è quella che si interroga sempre, laddove gli altri vanno
avanti come pecore”. E Fabi, eccezionale, lo è per davvero. Sulla scia di
questi discorsi, Niccolò spiega la genesi di “Sedici modi di dire verde” ed il
legame con l’organizzazione Medici con l’Africa Cuamm (con una “googleata”
troverete tutte le informazioni circa le iniziative a favore dell’infanzia
promosse da questa associazione non governativa); un brano che, a sentirlo,
sembra una filastrocca con le sembianze di una melodia, poi ti fermi ad
ascoltarlo e scopri che ogni singola parola ed ogni virgola non sono messe lì a
caso. Sedici modi di dire verde è poetica, coinvolgente ed avvolgente; è
narrativa: “la notte qui è notte davvero è la madre del buio, ed il nero è
soltanto il colore della realtà”; è riflessiva: “essere bianco non è
esattamente essere candido”; è contemplativa: “le donne sopportano il peso
meglio di me”. Snocciola perle di saggezza di vita, tangibili e calde, che
scorrono tra le mani come pietre preziose e circolano in corpo come la linfa
vitale delle verdi piante. Sì perché la vita è un concentrato di sfumature di
colori, non sì può ridurre solamente al bianco e nero, Niccolò ci invita con
questo brano a cercare una via o, semplicemente, cercare, come lui stesso ci
dice.
Segue Vento d’estate dove la voce di Pier Cortese prende la parte che era di Max
Gazzè, tanto nostalgica ma altrettanto calda visto che la temperatura si alza
per accogliere prima “Costruire”, deliziosamente arrangiata (come se non fosse
già bella), e poi Cerchi di gesso che si unisce a Age of Aquarius tratto
dal musical “Hair” accostato con ironia ad una irriconoscibile Capelli abbellita fisicamente, nel senso letterale del termine, dall’accentuato
gesticolare di Niccolò.
Si
avvicina il finale del concerto con la lieve e solare Lontano da me, con cui
Fabi ci porta a spasso alla ricerca di noi stessi, e dall’oscurità del Teatro
di Vercelli voliamo “in un caffè in Provenza” fino ad approdare “in un mercato
in Turchia” per scoprire che “alla giusta distanza la vista migliora” e che
“allontanarsi è conoscersi”. E poi, ancora, lontano in Oriente, terra di
carisma spirituale, come carismatica ed energica è la nuova versione del brano,
soprattutto sul finale.
Seguono Offeso e Lasciarsi un giorno a Roma che generano dei veri e propri momenti
di enfasi, alleanza, vicinanza tra noi e i musicisti, fatti di battiti di mani
e partecipazione attiva sotto al palco che chiudono il primo set.
I
bis iniziano con Niccolò che, solo sul palco, presenta con l’onestà della sua
voce e il suono intimo della sua chitarra Fuori o dentro. Poi entrano
Angelini e Cortese per uno dei momenti più intensi del concerto: Lontano da
tutto, così delicata e raffinata e Negozio di antiquariato, di cui il
pubblico canta ogni singola parola.
A
seguire, si aggiungono gli altri componenti del gruppo per eseguire Una buona
idea, una ballata fatta di musica in crescendo e riflessioni sui valori della
vita sociale e politica di cui ci sentiamo un po’ orfani tutti e sulla
necessità di mettere in circolo delle buone idee; un brano in cui la parola
padre si ripete diverse volte e, probabilmente, sottolinea il percorso
personale di Niccolò, la paternità volata in Cielo assieme alla sua bimba
Olivia. Andando avanti nello sviluppo ascensionale del brano, l’idea che un padre
possa sentirsi orfano fa gelare il sangue.
Un
concerto suonato per ognuno di noi, così lo ha definito Fabi, parole a cui non
ha aggiunto altro se non quelle del brano conclusivo: Ecco; il poeta degli
stati d’animo ci saluta così, il brano è una melodia penetrante con parole che
sanno di verità, descrizioni di traiettorie verso la speranza, di un ritorno al
nuovo, per sfociare in un grido penetrante che dice “di certo non ti lascerò
mai andare, di certo non ti lascerò sparire” che non lascia scampo alle
emozioni, potentissima. Un brano per ognuno di noi e per la persona che
sentiamo viva nel cuore.
Per
Niccolò, non è difficile immaginare chi sia, dopo che egli stesso ha spiegato
in un’intervista di aver “visto tanta vita, dunque tanta morte e tanta vita,
tanto tutto” per la perdita della figlia e che senza la sua compagna, Shirin,
non ce l’avrebbe mai fatta.
Ecco,
non è solo un album bello con la B maiuscola, è una curva emotiva,
un’esplosione esistenziale. A fine concerto, avrei voluto fare tante domande a
Niccolò Fabi, ma mi sono limitata ad osservarlo mentre lui, tra le mie mani,
autografava il suo cd. Sonia Stevanini
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