Dopo un ottimo album d'esordio che ha consentito ai Nadàr solo di aprire i concerti di gente come Bugo, Pan del diavolo, Perturbazione, Amor fou e Teatro degli orrori, la band ritorna con Diversamente, come? (Massive arts / distribuzione Self). Undici canzoni che parlano di amori falliti per incapacità umana, di vite in standby ammalate di impotenza, della genuflessione emotiva e psicologica di un Paese, delle sue anime e del suo cuore in calma piatta. La musica, semplice, fresca, vitale (a volte solare e a volte cupa), racconta quel che si agita sotto il pelo di un'acqua apparentemente immobile, dove le correnti preparano la tempesta che verrà. Le canzoni suonano tutte un po' distanti, ammantate di quel riverbero naturale lasciato dai sogni poco dopo il risveglio, perché quando la vita fatica a darti quello che vorresti, tutto si allontana un po', sbiadisce e si lascia anticipare dalla sua eco.
La musica, in questo album, è il sentimento vitale irriducibile che ribolle sotto la cappa di quell'impotenza che i testi raccontano. Tra le canzoni, ce n'è una che forse contiene tutte le altre. Si intitola Il vento. Parla di un mondo in cui il vento ha smesso di soffiare. Un mondo afflitto dall'inerzia, in cui tutto ha smesso di muoversi. Una fotografia del sentimento che ha invaso la nostra epoca, di una generazione presa in mezzo tra un futuro angoscioso e un passato dimenticato, costretta a vivere in un presente cristallizzato e avaro di promesse. Pierpaolo Capovilla del Teatro degli orrori ha contribuito come autore a questo testo, portando con sé anche una visione sentimentale in senso stretto, inventando una doppia lettura che non c'era. E' venuto così ad abitare il brano una sorta di Don Chisciotte contemporaneo e malinconico, reduce smarrito dalla scomparsa di un amore e per giunta privato, insieme al vento, dei grotteschi mulini contro cui lottare. La canzone contiene un interrogativo che appartiene tanto a chi è rimasto troppo a lungo senza amore, quanto a chi per troppo tempo ha visto scomparire le redini della propria esistenza: e se un giorno il vento tornasse a soffiare, se tornasse l'amore, se la vita tornasse a chiamarmi, che cosa farei? Sarei pronto a ricominciare? Questo, in fondo, è l'interrogativo inquieto che attraversa, a partire dal titolo, l'intero album. E succede così che in Tra le piume qualche fremito di vita scalpiti a ritmo di colpi veloci di batteria, lontanamente derivanti dall'hardcore di New day rising degli Hüsker Dü. Succede anche che nel brano Le case senza le porte la cadenza da filastrocca bambinesca non susciti spensieratezza ma cupezza e rassegnatezza. Intensa anche La ballata del giorno dopo, a dimostrazione della diversità stilistica dei vari brani dell'album e la notevole padronanza di tutte le atmosfere proposte. Particolarmente ispirato e struggente anche il brano finale, I tuoi orecchini, ultimo fremito di un album che raccoglie perle dall'inizio alla fine.
Ascoltando questo album ricco di scalpiti di vita che contrastano l'immobilità, è inevitabile sentire la vita che ricomincia a bussare, e chiederci se abbiamo voglia di riprovarci, diversamente. I Nadàr solo, con le loro nuove canzoni, ci suggeriscono come fare. Marco Maresca
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