Dopo la lunga egemonia di San Siro tocca all’Olimpico di
Torino prendersi il ruolo di teatro ospitante per i concerti di massa. Dopo le
date di Vasco Rossi, ecco i Muse che si fermano nel capoluogo piemontese per la
seconda volta di fila dopo l’estate del 2009. A mesi di distanza dall’ultimo
riuscito lavoro The 2nd Law, Matthew Bellamy, Chris Wolfstenholme e Dominic
Howard fanno visita in Italia durante il loro nuovo megalomane ed ambizioso
tour.
Palco imponente con figure di ogni tipo proiettate sul megaschermo,
botti e fiamme, un robot gigante e tanti effetti scenici di canzone in canzone.
Il trio inglese tende a dare sempre più un’immagine “tamarra” e spettacolare di
sè, una visione nemmeno lontana parente dei primi anni di carriera in cui
venivano considerati i nuovi alfieri dell’indie-rock. Come maestosità il loro
live si avvicina parecchio a quello degli U2 delle ultime due decadi e, per
almeno per quanto riguarda lo spettacolo, non delude assolutamente
nessuno.
Per documentare l’evento abbiamo assistito alla prima data
del "2nd Law Tour” in programma proprio all’Olimpico di Torino. I due gruppi
spalla – i garage-indie Arcane Roots e i banalotti pop-punk We Are The Ocean –
non convincono granché. Attendiamo le 9 e mezza in modo che vada via un po’ di
luce del sole, mentre il mega-robot ha fatto il suo ingresso sul palco
vociferando Unsustainable.
Il via è affidato a
Supremacy, in cui i nostri fanno il proprio ingresso tra le fiamme che
esplodono. In seguito ecco Panic station,
in cui si nota sul megaschermo un simpatico balletto delle personalità più
imponenti del pianeta. Il pubblico torinese esplode di gioia al momento di Plug in baby, l’unico momento in cui i
britannici rivisitano i primissimi anni della carriera (ma alla seconda data
all’Olimpico si sono esibiti con chicche come Bliss, New Born e Sunburn!).
L’esibizione si concentra particolarmente sull’ultimo disco,
da cui vengono estratte ben dieci tracce. Un po’ troppe considerando il fatto
che alcune non si dimostrano particolarmente adatte per un concerto di massa.
Ad esempio avremmo evitato la pur toccante Explorers
e Liquid State, cantata dal
bassista Wolfstenholme. Ma per il resto il concerto è assolutamente memorabile,
con attori dei mini-clip che fanno il loro ingresso sul palco (come nel caso di
Animals e Feelin’ Good), effetti scenici spettacolari (i paesaggi
space-western in Kinghts of Cydonia,
le tv sovrapposte in Stockholm syndrome
e vari effetti specchi multipli in Uprising)
e qualche intermezzo cover riuscito (Dracula
Mountain, Monty Jam, Freedom).
Ovviamente non mancano i successoni Time is running out, Undisclosed
desires, Follow me e Starlight, che conclude l’esibizione tra
l’Olimpico in estasi. In altre parole il concerto dei Muse è puro spettacolo
hi-tech che lascia a bocca aperta i fan, che comunque hanno accettato e
condiviso il loro passaggio a band mainstream di massa. In quanto ad effetti
scenici non possiamo che consigliare di andare almeno una volta ad un live di
Bellamy & co. che, nonostante siano in tre con un solo tastierista
aggiunto, riescono a tenere più che dignitosamente il palco. Forse troppo
commerciali, forse hanno un repertorio costruito troppo sui loro singoli, ma
una “serata da stadio” con i Muse va assolutamente vissuta. Marco Pagliari
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