I Selton, band folk rock brasiliana trapiantata a Milano,
portano nelle mie orecchie una ventata di spensieratezza proprio quando siamo alle porte della
stagione che dovrebbe essere propizia a questo stato d'animo e invece si trascina in un'interminabile coda piovosa.
Il modo
scanzonato di fare musica di questi quattro ragazzi a tratti mi fa venire in
mente band Anni Sessanta d'oltreoceano, California in particolare. Il tema della
nostalgia (saudade) per qualcuno o per la propria terra viene
raccontato in musica con estrema leggerezza: Saudade è infatti il
titolo del terzo album dei Selton, che arriva dopo Banana à milanesa, in cui hanno reinterpretato classici della tradizione milanese come Jannacci e Cochi&Renato, e dopo l'omonimo Selton, secondo
disco della band.
Si sono formati come gruppo nel 2005 a Barcellona dove sono
stati notati dal programma televisivo Italo-Spagnolo di Fabio Volo che ha aperto loro le porte dell'Italia dove riescono a destreggiarsi con disinvoltura dal club semivuoto al grande festival, fino alle ospitate televisive. Dalla loro musica traspare come detto spensieratezza, ma
anche colore e gioia di vivere, forse un paradosso visto che la
nostalgia è il leit motiv del disco. La malinconia che un amore concluso ci lascia sulla pelle viene portata via
dalle onde di un oceano che lascia una spuma contagiosa.
Le dieci tracce alternano italiano, inglese e portoghese: un amore un po' alcolico sguazza tra vino e whiskey con
autoironia in Piccola sbronza a
cui ha partecipato anche Dente; questo brano propone riflessioni su
coloro che amiamo e su come a volte ci facciano del male anche involontariamente. Vi avverto, Piccola sbronza ha un pericoloso
tasso di memorizzazione immediata.
Il cantautorato italiano si mescola a suoni elettronici, cori
e doppie voci nel brano Un ricordo per me. In Across the sea si respira un'atmosfera da spiaggia. Qui Nem Gilò-Saudade, con la partecipazione di Arto Lindsay, è un altro brano in piena atmosfera carioca.
Eu nasci no meio de um Monte de gente, cantata in
italiano e portoghese, inizia piano per poi svilupparsi con riusciti coretti che ci fanno sentire
ancora bambini. Infine cito Ghost song in cui sembra di sentire quei
vecchi jingle che si usavano negli USA negli anni '50, per certe bevande in particolare... indovinate
quali?!.
Se si mettono da parte per il tempo necessario i personali
gusti musicali, questo è un disco adattissimo a
staccare la spina e ad abbandonare per strada problemi e ansie (e non è poco), possibilmente a
bordo di un maggiolone vintage decapottabile con tavola da surf ben in vista. Alessandra Terrone
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