Con
i suoi quarantacinque anni d’età, quasi vent’anni di carriera e otto album
all’attivo, Gazzè rimane il cantautore
estroso di sempre, che sa passare dalle canzonette simpatiche ai versi
romantici con estrema disinvoltura, ma che è anche capace di proporre argomenti
finora inediti; quali?, scopriamoli lasciamo parlare il disco e partendo
proprio dal brano che gli dà il titolo, Sotto
casa, appunto, la canzone con cui Max si è esibito all’ultimo Festival di
Sanremo (che ha passato il turno nello scontro con I tuoi meledettissimi
impegni) e che sta risuonando in questi giorni nelle radio, una canzone ironica
ma che offre interessanti punti di riflessione. E’ nata dopo un avvenimento
reale, mentre un giorno Max e il fratello (storico ed inseparabile coautore dei
brani) stavano lavorando al disco, due ragazzi hanno bussato alla porta, erano
due Testimoni di Geova e i due Gazzè hanno, prima, deciso di ascoltare quello
che avevano da dire, dopo, hanno provato ad immaginare quello che sarebbe
successo se nessuno avesse aperto loro la porta. E così che ha avuto origine Sotto
casa, un monologo fuori la porta che rappresenta una riflessione sulla chiusura
tra il mondo laico e quello credente, ma, anche, un invito al dialogo tra
religioni e fedi diverse, un tema attualissimo. E’ un invito di Gazzè ad aprire
le porte, a lasciarsi catechizzare dalla gentilezza delle persone che hanno
qualcosa da dire (“possa la bontà del vostro cuore riscoprire che la verità si
cela spesso dentro una persona sola”) a non rimanere barricati dietro l’uscio
per il timore di chissà quale pregiudizio o verità da scoprire. Le parole del
brano sono ben rese dalle immagini del videoclip, in cui Max compare
provocatorio e bizzarro ma consono al suo modo d’essere ironico, una vera
chicca cinematografica a cui ha preso parte anche il figlio.
Insomma,
da affermazioni quali “ma andate a cagare voi e le vostre bugie […] siamo
uomini troppo distratti da cose che riguardano vite e fantasmi futuri” di La
favola di Adamo ed Eva a “ficcatevelo in testa: non si viene al mondo tanto per
godere, ma soltanto perché un Bene superiore ci ha creati” di Sotto casa qualcosa
è cambiato, alla base del cambiamento c’è una profonda spiritualità, un nuovo
tema molto caro che Max oggi sente maggiormente, tanto da diventare presente nella
sua vita e quasi tangibile nella sua musica; non credere in nulla implica
impegno, quanto credere, con la differenza che la seconda condizione è un
trampolino di lancio verso la speranza fiduciosa al cambiamento per chi segue
il proprio istinto, e con cui andrebbero contagiati anche “tutti i poveretti
che hanno perso il senso immenso della vita”, bravo Max.
Con
questa ventata d’aria fresca tornano, anche, i vecchi temi tanto cari al
cantautore romano: le varie facce dell’amore, quello che finisce, quello che
resiste nel tempo, quello viziato dalla gelosia, quello violento e quello
mitologico, il tutto reso maggiormente arioso da una novità: la presenza di una
sezione d’archi nelle musiche in quasi tutti i brani che seguono.
L’amore
che finisce è il tema portante di due testi: E tu vai via che, con semplicità disarmante e sintetica ma potente
(“e tu vai via, mi fissi gli occhi come un cieco e poi vai via, strascico passi
da ubriaco e tu vai via”), racconta il momento in cui la “lei” protagonista se
ne va, e a “lui” non rimangono altro che le immagini languide di quando le cose
andavano bene, e di Con chi sarai adesso,
dove la fine dell’amore si mescola con l’amore geloso (“tu la tua gelosia
maledetta che dall’amore si scappa quando ce l’hai dappertutto come l’assedio
di un’ombra”), e in cui la scelta dell’uomo di porre fine alla storia è
tormentata dal pensiero di lei con un altro uomo.
La
tematica dell’amore che resiste nel tempo è presente in I tuoi maledettissimi impegni, che con Sotto casa è il punto di
forza dell’intero album; con un giro melodico del ritornello, e con forti
venature sentimentali, è un brano che ti entra nel cervello e te lo succhia
come una cannuccia. Parla dello sconforto accorato di un uomo che non riesce a
condividere, quanto e come desidera, il tempo con la sua amata perché lei è
assorbita dalla sua miriade di impegni; non rimane al povero innamorato, ricco
di fantasia, che elencare ipotetiche soluzioni, immaginarie, fantasiose e
deliziose, per far sì che lui possa essere sempre con lei: “e non c’è una
soluzione se non quella di rimpicciolirmi a dismisura fino al punto di
traslocare nella borsa tua con gran disinvoltura […] o c’è una soluzione buona
in più: potrei farti da fermaglio per capelli se per sbaglio ti venisse voglia
di tenerli su”. E’ un romanticone Gazzè, diciamolo. Ma il romanticismo non
sempre è caratteristica onnipresente nel rapporto tra uomo e donna, nemmeno
nella musica, anzi, spesso viene proprio a mancare; è la realtà con cui ci
scontriamo ascoltando Atto di forza,
dove l’amore sfocia in violenza, ma la capacità compositiva ed interpretativa
di Max fa passare quasi in secondo piano la descrizione dell’atto di abuso
perché la musica e le parole ci trasportano in una dimensione eterea in cui la
realtà, tremendamente tangibile e drammatica per la protagonista, si mescola
con una dimensione puramente sensoriale e quasi onirica (“si attacca alla
panchina, un vento di latta la frusta sulla schiena e aspetta la grandine come
un ceffone […] fasci di gelo inchiodano gli alberi allo sfondo e quest’ingombro
di nuvole in nero sfoga rovesci come minacce”).
La mia libertà e Quel cerino sono canzoni che racchiudono un senso assoluto, quello
di osservare le cose che cambiano senza forzarle, farsi trasportare e lasciare
che tutto sia, epurando l’essere umano dall’ambizione razionale di dare una
dimensione ai sentimenti ed agli eventi secondo canoni oggettivi e deduttivi:
“non trovi meno astratto che l’autonomia sentimentale sia abolita sempre dal
concetto esatto per la quale un sintomo d’amore si misura in dosi come un
recipiente?” dice Max nella prima, e “vento, lo trovi divertente quando la
nebbia è un muro stare lì a non fare niente?” si interroga poi nella seconda.
Osservare serenamente le cose che cambiano senza resistere: è la libertà che
canta Gazzè.
E’
un album poliedrico questo, con diverse facce, o meglio, tratta diverse realtà
mettendo in scena situazioni non certo abusate nella canzone italiana, L’amore di Lilith ne è un esempio. Tra
tutti è il brano che mi convince di meno perché, nell’intento di dargli
un’impronta psichedelica, si è esagerato negli effetti speciali e il risultato
è una successione di suoni pasticciati e distorti che distraggono dal testo
che, comunque, merita di essere ascoltato per le citazioni di diverse figure
mitologiche, tra cui Lilith, che risollevano il brano conferendogli un non so
che di affascinante: secondo gli antichi ebrei, Lilith è stata la prima moglie
di Adamo precedente a Eva, e ripudiata dal marito perché disobbediente.
Concludo,
non a caso, con i miei brani preferiti, Buon
compleanno e Il nome delle stelle;
poetici e scivolosi nei testi, melodici ed orecchiabili, non banali. Il primo è
una dichiarazione d’amore che parte dal più semplice, ma anche il più
personale, augurio, costruita su misura attorno e addosso alla donna amata,
nella sua essenza e nella sua quotidianità: “il vantaggio di avere a
disposizione almeno le prime ore del pomeriggio e passeggiare, sta nel tuo
quasi astratto abituale dosaggio nelle cure che rivolgi al cane, e non rimane
che lasciarti fare”. Il secondo è una lode e un atto di riconoscenza verso il
creato, le stelle nello specifico, compagne fedeli di un uomo che, nei momenti
di sconforto e solitudine, trova gioia alzando gli occhi al cielo stellato:
“basterà l’odore della notte, e posso dare un nome a tutte le stelle che
riaccendono i miei occhi quando sono tanto tristi, ma sempre così innamorati”.
Non
occorre aggiungere altro, per riconoscere che Max Gazzè è uno dei migliori
cantautori italiani in circolazione. E noi ne siamo fieri. Certo, c’è da
riconoscere che un ascolto completo, dalla prima all’ultima traccia, rischia di
annoiare ma, prese da sole, le canzoni di Sotto casa sono quasi tutte di
livello alto. Bentornato Max. Sonia Stevanini
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