A causa della crisi
quest’anno in Italia la programmazione musicale dal vivo è abbastanza povera, e
neanche i locali più importanti organizzano qualcosa per cambiare questa
prospettiva. Poi, tutto ad un tratto, il Bloom di Mezzago (MB), il locale
famoso per aver portato in Italia i Nirvana, propone in una sola serata dieci
ore complessive di musica indie di altissimo livello. Senza troppa pubblicità e
senza troppo clamore, il Neverland festival di sabato 27 aprile 2013 ha portato
in Brianza nomi abbastanza grossi e sicuramente piacevoli. Si parte nel
pomeriggio con gli emergenti: Paletti (progetto solista del cantante dei The
R’s), gli ottimi Albedo, i bergamaschi Karenina (in rappresentanza di una
realtà musicale geograficamente vicina al Bloom), e i Sakee sed, la cui ascesa
sta prendendo una piega insolitamente rapida. In serata si esibiscono
Alessandro Fiori (in acustico), Diaframma (sul palco elettrico), Giancarlo
Onorato con Paolo Benvegnù (in acustico) e Pan del diavolo come gruppo di punta
sul palco elettrico. Come degna conclusione della serata, dirige le danze il dj
set di Davide Facchini di Radio popolare. C’è da fare un applauso agli
organizzatori per la coraggiosa programmazione della serata in tempi di crisi,
sfidando le probabili defezioni a causa di maltempo, scarsa promozione e già
noti limiti tecnici del Bloom (è scomodo da raggiungere per chi non è della
zona, è piccolo, lo spazio per i live in acustico è inadeguato mentre nella
sala al piano terra l’acustica non è buona, insomma una bella sfida
organizzativa). Un punto a favore è sicuramente il prezzo del biglietto: dieci
euro spesi benissimo. A sfavore i prezzi delle bevande (oltretutto gravati da
un euro di cauzione sui bicchieri) e soprattutto il comparto ristorazione. Il
Bloom ha allestito un enorme gazebo esterno con cena esclusivamente a base di panino
con salamella grigliata e l’unica scelta del menu era se aggiungere anche i
peperoni oppure no. A parte la mancanza di attenzione per esigenze alimentari
particolari, sembra assurdo pagare 3,50 euro un panino che si mangiava
letteralmente in due bocconi. 4 euro se al mini panino con mini salamella si
aggiungeva anche un peperone. Uno, di numero. Ma evidentemente, in qualche
modo, il Bloom doveva rientrare coi costi, e quindi gli si perdona anche
questa, specie se all’interno dell’area ristorazione si può trovare un Federico
Fiumani in formissima e disponibile a foto e discorsi esistenziali. In effetti,
dato il target del locale, l’esibizione di Fiumani coi suoi Diaframma è quella
che merita due parole in più. Entrato da anni in uno strano limbo nel quale è
idolo degli addetti ai lavori ma ignorato dal grande pubblico, il toscano
propone ormai uno spettacolo autocelebrativo nel quale non esiste parete
divisoria tra lui e l’altra parte della barricata. Soundcheck effettuato con il
pubblico già in sala e dialogo continuo con le prime file e col fonico
(memorabile la richiesta, quasi seria, di poter avere sul palco un po’ di
cocaina da pippare, quando il fonico lo avverte che è ora di iniziare a suonare).
Ma anche tante perle naif verso fine concerto, tra cui: mollare la chitarra a
canzone in corso per tirar fuori un fazzoletto di stoffa e soffiarsi il naso,
improvvisare la scaletta accennando Anarchy
in the U.K. dei Sex pistols ed Eroi
nel vento degli amici Litfiba per coprire venti minuti finali non previsti,
ma soprattutto interrompere bruscamente Marta
dopo la prima strofa sentenziando: “Basta, questa viene troppo di merda”. E c’è
il sospetto che dietro questi atteggiamenti di anti-divo ci sia qualcosa di
sapientemente calcolato, perché gli ottimi bassista e batterista seguono senza
tentennamenti ogni follia e colpo di testa del leader della band. Perfino l’esibizione
acustica di Alessandro Fiori con le sue canzoni che parlano della cacca
sbiadisce con Fiumani sul palco.
Giancarlo Onorato e Paolo Benvegnù presentano
invece un curioso progetto ricco di cover insolite: Lou Reed, Velvet
underground, Stranglers, Tom Waits e addirittura Nine inch nails e Radiohead
(con riarrangiamenti geniali in acustico). Gran finale affidato ai siciliani
Pan del diavolo, con il loro show elettroacustico infuocato. Ottima la
partecipazione del pubblico ma scaletta troppo tirata e troppo lunga: per il
loro genere, quaranta minuti sarebbero più che sufficienti. Due parole sulla
scelta tecnica di alternare le esibizioni in acustico a quelle elettriche:
funzionerebbe meglio se il locale fosse strutturato meglio. Per i live acustici
è stata riadattata la sala cinema al piano superiore, con ambiente chiuso ed
insonorizzato e posti esclusivamente a sedere. Ma questa è difficilmente
raggiungibile ad esibizione già in corso e quindi come pubblico non è pensabile
alternarsi tra le varie esibizioni. Di fatto, chi rimane giù al bar e al palco
principale si perde le esibizioni acustiche, e chi è nella sala cinema si tiene
ben stretto il posto. In conclusione, pur rimanendo intatta l’impressione di
un’ottima serata con una lodevole programmazione, è inevitabile pensare a
quanto potrebbe essere più soddisfacente un festival del genere in un ambiente
meglio attrezzato. O forse la magia di Neverland è possibile proprio grazie al
fascino antico del Bloom. Marco Maresca
Nessun commento:
Posta un commento