Ai Marta sui tubi è successo esattamente questo. Ed è proprio per questo motivo che scegliere per il disco "delle masse" un allungo sperimentale, mi pare una mossa ardita e non particolarmente fruttuosa.
In questi anni, la band si è evoluta, arricchendo ed elaborando sonorità che - con il crescere del numero effettivo dei componenti - sono divenute pesanti orpellature che accompagnano l'intelaiatura chitarristica di Carmelo Pipitone, che costituiva l'agile e versatile fulcro dei brani degli esordi, che nei concerti lo si voglia o no, risultano ancora quelli più graditi.
Detto questo, una scelta più easy-listening e meno sperimentale sarebbe stata più oculata per Cinque, la luna e le spine, disco complesso ed articolato uscito per Bmg.
Ma entriamo nel vivo parlando dei brani. Partiamo da Dispari, incalzante pezzo sanremese con un'importante morale legata alla solitudine che serpeggia nascosta dietro le schermate dei social network. Unico neo: quel "Benvegnù" citato nella prima performance all'Ariston e scomparso dal testo: sacrilegio! Vorrei mi piace meno, con quel testo alla Francesco Renga, anche se perlomeno c'è la chitarra pipitoniana che mi gusta così tanto...
Desiderio personale: vorrei dei Marta sui tubi meno virtuosi, con un Gulino meno performante e più accorato.
Una breve intro strumentale introduce a Il primo volo che è un saliscendi di ritmo e melodia in cui un Gulino senza peccato sa creare un buon equilibrio. Vagabond home è invece una ballata folk cantata in inglese in cui piano e chitarra fanno da sfondo a questa “fotografia” descritta dai Marta sui tubi in un crescendo che porta a un finale suggestivo che forse somiglia a qualcosa che ho sentito in un vecchio album di Prince. Ci troviamo di fronte al primo pezzo in inglese dei Marta sui Tubi, se si esclude la cover di Tomorrow never knows dei Beatles in C’è gente che deve dormire: se tralasciamo la pronuncia, di questa canzone possiamo lodare l'intensità, con un finale in crescendo ben calibrato anche nella durata, a differenza di Polvere sui Maiali, che presenta una coda strumentale che mi permetterei solo se avessi messo code strumentali in tutti i dischi fatti finora, non nel sopracitato disco "delle masse".
Maledettamente breve è fatta di rock che sul finale riporta nei ranghi con delicatezza, ma anche Grandine sa riempire di emozione.
Maledettamente breve è fatta di rock che sul finale riporta nei ranghi con delicatezza, ma anche Grandine sa riempire di emozione.
Nel complesso il disco è convincente e di ottima qualità: i Marta sui tubi non hanno bisogno di dimostrare niente e Cinque è tutto da ascoltare, senza eccezioni, con buona pace di chi preferiva la band agli esordi.
Roberto Conti - Alessandra Terrone
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