Era il lontano 2010 quando mi
imbattei in circostanze che non ricordo (è normale, ho una memoria di merda a
parte per le trame di film e libri) in Sound Of The Vanishing Era, secondo
disco di una band che non poteva non starmi simpatica: vuoi per la bizzarria di
quel nome, Lush Rimbaud, che mi si stampò subito in testa, vuoi per il mix
eclettico di sonorità che coinvolgevano nel loro folle album, vuoi per l’aver
scritto precedentemente un brano intitolato Remember
Sammy Jenkins (e ora trovatemi da quale film proviene la citazione, dai che
è facile!). Da allora poche notizie, uno split condiviso con gli olandesi zZz
nel 2013 ed ora, finalmente, il seguito su lunga durata di quell’album che
ancora oggi ascolto piacevolmente, che mi ritrovo inaspettatamente fra le mani
grazie al puro culo che ho avuto nel prendere su, totalmente a caso, una
manciata di dischi arrivatici da recensire. Ma in dieci anni ne possono cambiare
di cose, e già quel L/R che rappresenta il titolo del disco manifesta l’intenzione
di prendere nuove strade, come fosse un altro inizio.
Che con l’elettronica ci
giocassero già i Lush Rimbaud è un dato di fatto, ma da componente aggiuntiva
di un sound principalmente basato sui classici strumenti rock ora questa si fa
preponderante, non tanto come presenza quanto come influenza verso gli altri
strumenti. L/R è un disco oscuro, dal ritmo coinvolgente ma mai esasperato se
non in pochi episodi (Acid Skyline su
tutte), fondato principalmente sul lavoro pulito e preciso della sezione
ritmica su cui si appoggiano poi synth, tastiere e chitarre effettate
nellemaniere più disparate. Marmite
primo singolo e canzone apripista dell’album, mette già in chiaro tutti questi
elementi, unendoci una voce che non
tende a spiccare ma ad amalgamarsi e quasi nascondersi dietro gli strumenti: il
ritmo è incessante per tutti i quattro minuti di durata, basso e batteria si
divertono a variare anche solo di poco riff e pattern che rimangono sempre
simili e tocca a chitarre e componente elettronica arricchire il tutto con
pennellate psichedeliche sparse lungo tutto l’arco della canzone. Acid skyline varia di poco il
canovaccio, mostrando sonorità più rock suggerite anche dal ritmo più intenso e
trascinante, ed è così con la successiva Never
regret che si arriva a sentire qualcosa di molto diverso: pezzo in
mutazione continua, si apre col sax per poi essere trascinato da una batteria
prima tribale e poi magnificamente ritmata, in un crescendo continuo interrotto
a metà giusto per prendere fiato un attimo e poi ricominciare la corsa,
lasciando alla fine spazio anche alla chitarra di afogarsi con un riff ciclico
quantomai efficace. Sicuramente il pezzo migliore del disco.
Qualche scricchiolio comincia ad
avvertirsi da qui. Non che manchino pezzi curiosi, come una Super-indian che sfrutta nuovamente un
sax dissonante in strofe scarne ed oscure trascinate dal basso per poi passare
improvvisamente ad un’apertura solare in cui chitarre ed una timida tastiera
prendono il sopravvento, ma l’impressione è che ci si perda troppo nella
ripetizione continua all’interno dei singoli pezzi. La mancanza di uno sviluppo
concreto nuoce gravemente a Silent room,
con l’affastellarsi di elementi su una base sonora liquida che non viene
esaltata da questo andazzo, e non va molto meglio con la precedente G-Spot. Un ritmo più sostenuto ed un
riff di basso da applausi aiutano Not the
monkey, piagata però da un cantato troppo monocorde per coinvolgere, e ben
venga quindi che anche la voce si prenda qualche libertà nel vorticoso turbinio
a ritmo quasi punk di The valley,
sorellina più scatenata ed “ignorante” (nel senso buono) di Acid Skyline. La chiusura con Dark side call ritorna inevitabilmente,
già da quel che recita il titolo, verso tinte cupe ed oppressive, in cui spiccano
l’utilizzo azzeccato del contrabbasso e di effetti elettronici che suonano come
un allarme antiatomico, due elementi che contribuiscono a farne un ottimo brano
di chiusura.
Della follia creativa dei Lush
Rimbaud è rimasto molto, ma se la band di sei anni fa saltava di palo in frasca
in maniera piacevolmente anarchica la sua versione 2015 preferisce invece
concentrarsi su un’idea di suono unitaria, cosa che rende L/R coeso ma anche
difficile da digerire nei suoi punti più rarefatti. Io rimango innamorato di
quel disco con Errico Malatesta a cavallo di un rospo deformato che corre sull’arcobaleno,
premessa visiva di quanto si ascolta all’interno, ma questa nuova deformazione
del suono della band marchigiana denota sicuramente idee chiare e grande
convinzione nei propri mezzi. E poi risentirli in forma dopo sei anni di attesa
è proprio una bella soddisfazione! Stefano
Ficagna
Tracklist:
1. Marmite
2. Acid
skyline
3. Never
regret
4. G-Spot
5. Silent
room
6. Super-indian
7. Not
the monkey
8. The
valley
9. Dark
side call
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