Stromboli è una realtà musicale come non se ne vedevano da anni, in Italia. Per varie ragioni: in primo luogo pubblica il suo primo disco in formato tape: cassettina, sì, quella roba lì. Sei tracce, sei brani su nastro. Ho girato concerti di mezza Europa e tra distribuzioni, banchetti e negozi posso assicurarvi che su cassetta un lavoro così è difficile trovarlo. Sì, perché Stromboli suona una battaglia di effusioni e ritorsioni sonore al limite dell’ipocondria e dell’animosità, un divagare di effetti elettronici e ritmi più spiccatamente noise nei quali non mancano sezioni ambient, tribali e psichedeliche.
Mi piace usare il termine “post-qualsiasi cosa” nelle mie recensioni, avrei voluto utilizzarlo anche per Stromboli ma non ce la faccio perché questo S/T, uscito il 17 febbraio per Maple death records, è ante-qualsiasi cosa. È un brodo primordiale come Bonsai superstar dei Brainiac e come tutti i Man is the bastard. Mi vengono solo similitudini così, scusatemi.
Canyons e Program 2 , per esempio: non ci si accorge nemmeno di ascoltare musica, ci si perde nella curiosità per come andrà a finire la storia. Scricchiolii ed altisonanze la fanno da padrone, rendendo il tutto allo sesso tempo frugale e maestoso.
Grandi loro, insomma, e pregevole la supervisione al loro primo lavoro da parte di questa neonata etichetta bolognese che ha appena rilasciato lo split su LP tra Havah e His electro blue voice. C’è finalmente chi ha il coraggio (e in Italia di realtà che l’hanno fatto ce ne sono e ce ne sono state tante, basti pensare a Two two cats bad tapes e To lose la track) di lanciare gruppi al di fuori della dinamica “fast food” del compact disc, salvaguardandone in questo modo la passione e le volontà di fare della sana musica indipendente. Musica nel vero senso della parola. Perché alla fine Stromboli è il vulcano più attivo di sempre in mezzo a un mare sempre monotono. Capiamolo. Andrea Vecchio
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