Si intitola Disguise
of the species il primo disco, autoprodotto, dei bergamaschi Glass cosmos.
Il quartetto punta ad un alternative rock di stampo internazionale, con alcuni
richiami new wave. Il sound della band si caratterizza per groove energici e
potenti aperture di delay e di riverbero che creano un'atmosfera suggestiva e
melodica.
Recensione in 10
parole: inglese (la lingua dei testi), volume (di certo è un disco di forte
impatto sonoro e rende molto di più a volumi sostenuti, con quel suono saturo
di chitarre che a chi fu adolescente negli anni ’90 fa sempre piacere
riascoltare), forma (c’è sempre la ricerca, forse ancora un po’ immatura, della
formula giusta. Del brano giusto. Eppure la band dà il suo meglio nei brani in
cui si lascia più andare e costruisce anche secondo formule non canoniche, come
in It won’t be long till dawn), The
Cure (la finale Chrono li ricorda un
po’), scrittura (alcuni pezzi si perdono un po’ e specialmente verso fine album,
intorno al brano numero nove, O tempora,
o mores, si inizia ad accusare stanchezza), inizio (non convince il brano
iniziale Milestone: musicalmente non
dice la verità sugli intenti della band e bisogna arrivare verso metà album per
capire), osare di più (e costruire di meno a tavolino: imperativo assoluto.
Imparare a capire che un brano non è per forza quello giusto soltanto per
merito di un riff azzeccato). Marco
Maresca
Voto: **/
Tracklist:
- Milestone
- Libreville
- Last night I killed Godot
- Shine in its own light
- It won’t be long till dawn
- New shores
- The Bilderberg club
- Redemption is a pathway to nihilism
- O tempora, o mores
- A slim pixie, thin and forlorn
- Chrono
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