Il quinto disco dei Vanessa Van Basten da Genova e Trieste non è un album dove vengono suonate delle cover. O per lo meno, non lo sembra. Attivi dal 2005, propongono quattro brani da Disintegration dei Cure proprio come, secondo me, loro li intendono. A loro non interessa il parere degli altri, loro suonano pesante e cupo come suonano da dieci anni, loro si chiamano Vanessa Van Basten e arrivano da due città di mare tra le più significative del mondo.
I quattro brani sono, nell’ordine, Plainbong, Doseclown, Fashination trip e Retitled. Mi ricordo tanto tanto l’originale solo del primo; mi ricordo che ascoltavo quella canzone sempre, andando a fare ripetizioni di matematica ai tempi della quarta liceo.
Lo ammetto, non sono stato mai un grande fan dei Cure. Anzi non lo sono mai stato, un vero e proprio fan. Sono da sempre stato fan della Robotic empire, invece: etichetta di Richmond per la quale esce questo Disintegration EP e che ultimamente, a mio parere, stava passando un periodo meno spigoloso ed innovativo rispetto ai tempi di Daughters e Verse en coma, per non parlare dei Page99 di Document #8.
L’influenza Cave-in si sente ancora di più in questo lavoro che, per esempio, ne La stanza di Swedenborg del 2007, vero capolavoro della band. Comunque, i pezzi sono una magia unica e rivoluzionaria; sono capaci di estraniare l’ascoltatore da qualsiasi contesto sonoro e socialmente utile; sono una fusione perfetta tra i termini “new” e “wave”, sono la saggezza dei Cure rivisitata come tutto noi avremmo voluto fosse rivisitata; sono un ritmo frenetico di raggi fotonici e similitudini. I Vanessa Van Basten non hanno scelto le canzoni più conosciute del disco come per esempio Pictures of you. Ci sarà stato un motivo e non sono certo io la persona più adatta ad indagare. Anzi no, voglio dare comunque un mio parere: ascoltatevi Retitled e il modo in cui, seguendo una specifica linea temporale, viene riproposto e scarnificato il motivo centrale di tutta la canzone, da una sottile linea di piano a un'ossessiva risonanza di batteria sino a un definitivo e lapidario stacco di chitarra doom. Andrea Vecchio
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