E' un disco a tinte
tenui questo In the middle, esordio sulla “lunga distanza” dei ferraresi
Dropeners. Un rock (molto) venato di elettronica in cui l'ascoltatore viene
cullato in un'atmosfera lieve e vagamente nostalgica, con chitarre che
accarezzano fra riverberi ed incroci di arpeggi e la sezione ritmica ad
accompagnare efficacemente il tutto, prendendosi ogni tanto la meritata
ribalta.
Succede ad esempio con l'efficace linea di basso che accompagna i
vagiti elettronici della parte centrale di Normalize, terza traccia di
un disco che si apre col minimalismo elettronico di Rule of pressure,
invero un po' asettica fino all'arrivo di corno e trombone a dare al tutto un
vago sapore di frontiera.
L'utilizzo dei
fiati è sicuramente una delle armi vincenti che sfoderano i quattro ragazzi,
vista la marcia in più che dona il sax alla altrimenti un po' ripetitiva Ruins
behind e, soprattutto, il modo in cui il sax dona un vago sapore jazzistico
a piccole porzioni di Without colour: vale la pena spendere più parole su
questo brano, in cui il lento dipanarsi in crescendo della trama musicale dalle
prime note chitarristiche delayate è orchestrato magistralmente, con una
sezione ritmica efficace e l'utilizzo dell'elettronica in sottofondo a donare
magniloquenza al quadro generale.
Fra i brani degni
di nota vanno sicuramente annoverati anche Distance, in cui il basso si
erge a vero protagonista con derive simil-synth efficacissime nel finale, e la
conclusiva Western dream, quasi spettrale nella sua parte iniziale ma
capace di aprirsi ed illuminarsi a metà brano prima di sfumare fra echi
elettronici (ma attenzione alla ghost track, una versione acustica di Without
colour meno efficace però dell'originale). Convince meno invece Mr.
President, incapace di variare efficacemente registro nei suoi quasi
quattro minuti di durata, e lascia qualche perplessità anche il cantato di
Vasilis Tsavdaridis, ben amalgamato nell'atmosfera soffusa generale ma
raramente in grado di farsi apprezzare per soluzioni fuori dagli schemi: non
una pecca vera e propria, quest'ultima, ma certo un utilizzo più coraggioso
delle linee vocali avrebbe donato qualcosa di più ad un album che in alcuni
frangenti sembra scorrere in maniera fin troppo monotematica.
In definitiva i
Dropeners dimostrano con questi dieci brani una grande coesione sonora e
la capacità di trovare guizzi improvvisi che catturano l'orecchio, merito anche
di una folta schiera di ospiti (l'ampia sezione fiati ne è un esempio). Manca
ancora però un po' di coraggio, quello necessario per sondare soluzioni diverse
(soprattutto vocalmente) senza perdere la propria identità: difficile, ma
questo In the middle getta delle basi sicuramente promettenti. Stefano Ficagna
Nessun commento:
Posta un commento