“Sarà un disco di passaggio, un
nuovo ponte che vorremmo costruire per affermare d'essere un gruppo in continuo
movimento affascinato sia dalla sperimentazione che dalla nostra stessa classicità.”
Con queste parole gli Il disordine delle cose, band novarese giunta al terzo
album, presenta il nuovo disco Nel posto giusto. Una metafora, quella
del movimento, che ben si associa all'album in questione, che migra pian piano
d'atmosfera col passare delle canzoni.
L'inizio è sorprendente:
dall'iniziale Non basta mai al primo singolo Hawaai, passando per
Conseguenze, il gruppo dimostra una capacità orchestrale di grandissima
levatura. La prima traccia è la più lieve, con anche una pausa strumentale
minimale col piano in primo piano (scusate la ridondanza), ma le sue aperture
magniloquenti con gli archi a fare la voce grossa sono memorabili, al pari dei
momenti in cui nella seguente Conseguenze arriva a dare manforte il sax
di Claudio Guida, creando un'atmosfera da big band in alcuni punti che dà una
marcia in più ad un brano che già col suo andamento soavemente irregolare
riesce ad irretire perfettamente l'ascoltatore.
Il meglio lo danno però con Hawaai,
dove ad un ritmo trascinante viene affiancata una verve orchestrale che esplode
in tutta la sua potenza nei ritornelli, merito anche e soprattutto dell'organo:
a metà brano l'atmosfera si fa più tranquilla, ma è solo un fuoco di paglia
destinato a mutare in breve tempo (grazie anche all'apporto, ancora
fondamentale, del sax) e che porta ad un finale dove, riprendendo il
ritornello, si va verso la naturale conclusione dopo 5 minuti davvero intensi e
mai stancanti.
La statua rappresenta una sorta di spartiacque: energica, con una
base sonora rock dal basso grintoso su cui archi e piano si adagiano alla
perfezione, questa traccia rappresenta il canto del cigno di quella verve
orchestrale, qui già più dimessa, che ammanta di magniloquenza la prima parte
del disco. Non che spariscano le cose buone, sia chiaro: il crescendo finale
di A costo di sbagliare, diviso
fra le distorsioni grevi in sottofondo ed il piano angelico che le cavalca, la
verve con cui gli archi (protagonisti unici del breve episodio strumentale Just
woods) riescono a dare una marcia in più a Un ponte sul fiume,
queste sono solo alcune delle cose che stanno lì a dimostrare quanto Nel
posto giusto sia un album meritevole d'attenzione. E' però indubbio che la
sfera più intimistica in cui vengono racchiusi i brani della seconda metà
dell'album convince meno, dalla cupa Il giorno più normale alla
conclusiva Sulla schiena, fin troppo tranquilla uscita di scena a base
di voce, piano ed organo.
Nel posto giusto è un album che mi fa sentire orgoglioso di essere
conterraneo della band che lo ha prodotto, allo stesso tempo però mi lascia un
lieve amaro in bocca per quel che sarebbe potuto essere di ancora migliore. Se
questa sensazione sia dovuta alla qualità eccelsa dei primi brani o alla minor
presa dei seguenti non saprei dirlo... ma propendo per la prima ipotesi: il
video di Hawaai, magistralmente montato con estratti del film
Metropolis, vi aspetta per farvi un'idea personale. Stefano Ficagna
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