Più che un esordio questo In
other words we are three è un nuovo inizio, visto che i Moon In June provengono
tutti da precedenti esperienze in varie band che, chi più chi meno, hanno fatto
parlare di sé nel panorama indie degli anni duemila (vi dicono niente i nomi
Annie Hall e Le Man Avec Les Lunettes? A me sì). Il trio (e non poteva essere
altrimenti visto il titolo, anche se c’è un esplicito intento citazionista verso
Charles Mingus) si dà in questo caso al pop-rock sporcato di blues, piazzando
undici tracce che evidenziano una profonda coesione.
E’ spesso il basso il vero
trascinatore, e basta già ascoltare il singolo Again per capire che la scelta di lasciargli meritatamente spazio è
azzeccata. Lungo tutto il disco Giorgio Marcelli azzecca riff trascinanti, e la
sua voce sporca fa venire in mente in alcuni momenti gli Stone Roses. Non
bastano però solo due elementi a fare un buon album, e nelle undici tracce di
In other words we are three si riesce a farsi trascinare solo a tratti. Sembra
mancare spesso quell’attitudine ad osare un po’ di più, rendendo il ritornello
di Ready or not qualcosa di più
vitale di un ‘more of the same’ con una chitarra più incisiva, o facendo
crescere l’energia rock’n’roll di People
at the windows oltre il pur buono ma insufficiente riff chitarristico
iniziale.
Qualche episodio sopra la media
si incontra qua e là, come una The
picture che diverte e si sviluppa in maniera interessante od una Movin’ slow dai toni più riflessivi, che
si concede un breve momento cupo e quasi dissonante prima di aprirsi ad
orizzonti più placidi ed orecchiabili nel finale, ma le tracce che rimangono
veramente in testa sono due. L’iniziale Desert
innanzitutto, dove si viene trascinati fra la polvere di un proto-stoner lento
ed essenziale che muta efficacemente in lidi fra il pop e la psichedelia nella
seconda metà, e proprio poco prima del finale (lasciato ad una rivisitazione
più abrasiva ma meno d’atmosfera della Angelene
di PJ Harvey) cattura l’incedere tetro e vibrante di When we met: strofe che giocano di sottrazione e si fanno forza
della voce di Giorgio, ritornelli che rilasciano quel tanto che basta di
energia per calamitare l’attenzione, chitarra e batteria che riescono con poco
a salire alla ribalta come raramente nel resto del disco…funziona tutto
insomma.
Facendo i conti finali vien da
chiedersi perché i Moon In June non abbiano puntato maggiormente sulle
atmosfere scarne piuttosto che propendere per una serie di brani che, nel loro
alternarsi di rock e pop, riescono raramente a rimanere in testa. Il potenziale
di brani come Desert e When we met sta lì a dimostrare che
lavorando di sottrazione la band dà il meglio di sé, il resto del disco scivola
purtroppo troppo spesso in una carenza d’energia che porta a volte alla noia. Stefano Ficagna
Tracklist:
1. Desert
2. Again
3. Ready or not
4. The picture
5. Something sweet something bad
6. Movin' slow
7. People at the windows
8. Videopoker
9. Please don't care about me
10. When we met
11. Angelene
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