Non ho un quaderno nuovo dove appuntarmi i punti salienti e le osservazioni più importanti sul nuovo album di Dente e sto quindi utilizzando la vecchia agenda del 2016. 16 novembre. Anche il 17 novembre, pagina intonsa: ottimo autunno.
Prima di iniziare a scrivere mi sono continuato a ripetere “la colpa è di quelli che lo ascoltano” per almeno dieci volte. Perché lo ammetto, parto sempre prevenuto nei confronti di una certa scena italiana, quella indie. Canzoni per metà è un album che non mi piace e dal quale non riesco a trovare spunti di riflessione. Però è un album oggettivamente fatto bene e soprattutto studiato alla perfezione: le canzoni, innanzitutto, sono tante e corte, come dei sonetti facili facili o dei motivi da carillon sul comodino. Passano veloci, smembrano un’unicità difficile da trovarsi se si contempla il disco nella sua totalità.
Sin da Canzoncina e Geometria sentimentale la voce appare, comunque, troppo “italiana”, citando Larochelle. Troppo Renga, insomma, di quel nasale che impostato su altri frontman capisci da subito che non appartenga alla reale voce di chi canta, perché si capisce. Mi piace molto, invece, Come eravamo noi. Fa centro, Mogwai e Mùm ricadendo in un monotono e ipnotico stile di piano. E fa dimenticare la voce troppo nasale e secondo me forzata. La rotaia e la campagna e Appena ti vedo, poi, dimostrano come la chitarra, per fortuna, sia sempre al centro della composizione di Dente. E dico “per fortuna” perché “quelli che lo ascoltano” ci passano troppo spesso sopra, a questo particolare. A me invece piace parlare del giusto che può suonare un cantautore italiano, quando lo suona. E in “Canzoni per metà” Dente lo suona. Ripeto, tantissime canzoni ma corte e fruibili. Che sembrano davvero scritte a metà, troncate lì senza una coda o un congedo. Intelligente. Anche perché non esiste la canzone da radio o il pezzone che sanno già tutti ancora prima che esca il disco. Noi e il mattino viaggia tortuosamente su una base elettronica (una delle poche dell’album intero) molto grime e british. Curriculum e Il padre di mio figlio, la mia preferita, sono impolverati risvolti quotidiani immortalati come quando sghiacci il vetro della macchina prima di andare al lavoro, iniziando a poco a poco a vedere la strada e gli isolati che ti circondano. È un disco secondo me scritto con più caparbietà e voglia rispetto al precedente, di cui scrivevo (lo ammetto, svogliatamente) “Insomma, Almanacco del Giorno Prima è un album generazionale sino ad un certo punto, che millanta ma non diverte, che fa sperare che dal vivo, per lo meno, il Peveri faccia “quelle vecchie”. Dente sta cercando di svoltare definitivamente e non penso lo si possa biasimare”. Non vi è stata alcuna svolta, perché Dente penso abbia capito come fare a farsi ascoltare da quelli come me, che partono prevenuti e credono ancora che la colpa sia di quelli che ascoltano un artista e non dell'artista stesso, se le cose non vanno come dovrebbero andare.
Uscito ai primi dello scorso ottobre, ci ero andato vicino. Grafiche molto carine. Andrea Vecchio
Uscito ai primi dello scorso ottobre, ci ero andato vicino. Grafiche molto carine. Andrea Vecchio
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