La preservazione della natura è un tema caro ad ogni
Cheyenne che si rispetti, compresi i membri della band sarda che dalla tribù
indiana prende il nome. Gli Cheyenne last spirit hanno pubblicato infatti Il giardino del tempo (Areasonica
records / Materiali musicali): un disco che parla di tempo, in tutte le sue
accezioni, e di natura, in tutte le sue connotazioni, e lo fa utilizzando i
suoni del sano e robusto rock 'n' roll.
Recensione in 10
parole: italiano (il cantato), introduzione (strumentale, intitolata
giustamente L'inizio, fa pensare a
qualcosa di completamente diverso da ciò che poi si sente), Negrita (per questo
album sono loro forse il riferimento principale nella ricerca di un rock in
italiano, già a partire dal brano Le
nostre paure), progressive rock (qua e là c'è qualche concessione al prog
italiano dei primordi, forse un po' fuori tempo massimo, ad esempio nello
sviluppo del brano Canzone del 68),
Queen (da fan della band britannica non posso non notare l'omaggio a The prophet's song nell'esperimento di
poliarmonia vocale, sempre nel brano Canzone
del 68), disomogeneo (non è che siano troppi i generi musicali proposti nel
disco, ma non sono messi insieme con criterio, e ciò è molto penalizzante),
focalizzarsi (le accozzaglie di tante cose troppo diverse non vanno mai bene se
le redini non sono tenute ben salde. Neanche se i brani sono suonati bene),
cosa rimane (dopo l'ascolto di questo album? Sicuramente emerge la passione per
le tematiche ambientalistiche trattate, ed è già sufficiente, ma dal punto di
vista artistico si può fare di più). Marco
Maresca
Voto: **
Tracklist:
2. Le nostre paure
3. La canzone del poeta
4. Il giardino di Bianca
5. Canzone del 68
6. Il viandante
7. Maestrale
8. Tutto normale
9. Le lucciole
10. E fa male
11. La mia energia
12. Nero il lavoro bianca la morte
13. La fine
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