Sarà che ho impressi nella mente certi “puristi” del reggae,
sarà che ho le mie preferenze, ma il secondo disco dei Mellow Mood, Well
well well che ho ascoltato recentemente, non mi convince fino in fondo.
C'è però da dire che gli stessi puristi di cui sopra hanno
anche una mente aperta e quindi la filosofia da cui bisognerebbe partire è che
c'è spazio per tutti e ben vengano band
che suonano reggae raccogliendo innumerevoli consensi, come nel caso della band
di Pordenone.
E poi non dimentichiamo che il loro primo singolo Dance
Inna Babylon fece registrare 9
milioni di visualizzazioni su Youtube. Hanno anche vinto l'edizione 2009 del
Rototom Sunsplash e sono considerati tra le band reggae migliori in Europa (di
recente tour francese sold-out con i Dub Inc).
Io però lo voglio dire lo stesso. Troppa commercializzazione
(e vale per tutta la musica) in fondo potrebbe anche essere deleteria.
Faccio un esempio citando proprio il videoclip del nuovo
singolo dei Mellow e cioè Dig dig dig. Per quanto il video possa essere
divertente, c'è proprio tutto quello che serve a far vendere: musica ballabile,
spiaggia, l'altra metà del cielo che aggiunge alla coreografia l'inevitabile
movimento pelvico. Diciamo che l'essenza non è contemplata. Ci sono tutti gli ingredienti che per me fanno parte di
un filone stereotipato che si vede/sente tanto e forse troppo in rete anche
quando si parla di reggae recentissimo.
Parafrasando un intenditore autodidatta di distillati
inciampato sulla mia strada, è un po' come il rum, non è sufficiente dire che
hai tra le mani un prodotto caraibico. Ogni zona ha il suo distillato che si
differenzia per gusto, colori, aromi. E anche se il più venduto e conosciuto
è un commercialissimo rum molto famoso,
non è detto che questo sia il migliore e soprattutto non è detto che possa
piacere a tutti.
Per fortuna c'è anche
qualcuno che si distingue, proponendo al proprio pubblico la filosofia reggae
(che spesso porta con sé una spiritualità non irrilevante) a cui resta fedele
senza porsi il problema della vendita massiccia a tutti i costi.
Comunque, poiché ho troppo rispetto per il lavoro degli altri
e quindi anche per quello che fanno i Mellow, ma siccome ho ancora più rispetto
per gli artisti che fanno reggae in modo diverso da loro e per coloro che del
reggae hanno fatto una ragione di vita, non mi dilungherò oltre sulla
questione.
Questo Well well well è il secondo album dei Mellow
Mood, prodotti ancora una volta da Paolo Baldini, già produttore di Africa
Unite, Tre allegri ragazzi morti e Dub Sync.
I gemelli Garzia hanno voluto a quanto pare spaziare tra un
po' tutte le varianti che il reggae offre attualmente. Dal roots-reggae di Well
well well e Moses al rocksteady al reggae-funk di Refugee al
clubbing tribale.
Nonostante le indubbie capacità artistiche dei Mellow e la
loro contagiosa e condivisibile voglia di divertire e divertirsi, continuo ad
avere parecchi dubbi sulla genuinità e il cuore messo in questo disco. Penso ad
esempio che potrebbero aver fatto determinate scelte per incamerare consensi da
più parti. Non c'è niente di male in questo ovviamente.
Però non riesco a non paragonare la naturalezza e la
semplicità con cui alcuni riescono a suonare reggae (miscelando l'ispirazione
derivante dalle grandi “linee guida” del passato ai suoni del presente), ai tanti che invece si conformano alle
richieste sempre più pressanti del mercato.
Come canta qualcuno (dalle parti della Lanterna..) che ha
davvero questa musica nelle sue vene al posto del sangue, “music is
creativity”. Alessandra Terrone
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