Qualche mese fa i Decibel pubblicarono sulla loro pagina Facebook un curioso articolo datato 7 ottobre 1977, a firma Alfredo Venturi (la testata giornalistica non era indicata ma dall'anno di fondazione si può azzardare che fosse La Stampa). Pare che quell'articolo fosse il primo in cui i media italiani utilizzavano il termine "punk" in correlazione ad un fenomeno musicale. In sintesi, i Decibel avevano promosso tramite volantinaggio selvaggio il loro spettacolo punk rock a Milano, ma la serata di fatto non si svolse perché all'arrivo degli spettatori, di composizione eterogenea o, come diremmo oggi "generalista", la vigilanza antifascista irruppe con la necessità di far capire che il fenomeno punk era da considerarsi "di destra" e quindi lo spettacolo non era da farsi. In sostanza, la sinistra milanese, figlia della borghesia perbenista, non sapendo cosa fossero i "punk" e vedendoli brutti e cattivi e vestiti di nero, pensava fossero un gruppo di neo-fascisti. Assurdo? Surreale? Eppure più vero che mai. Era la Milano del 1977: la gente non usciva di casa al sabato pomeriggio perché quasi a cadenza settimanale ci scappava il morto.
Una rissa come quella, dopotutto, era da considerarsi assolutamente normale nel suo contesto. E i Decibel assistevano allo spettacolo dalla finestra, con la mente rivolta all'Inghilterra dei Clash o all'America dei Television, ma coi piedi piantati in una Milano nella quale non si riusciva ad uscire neanche per una passeggiata. Increduli, perché l'omologazione e la categorizzazione del pensiero era proprio ciò che la loro musica combatteva spietatamente. Va puntualizzato, comunque, che la formazione di allora non era quella di adesso: Silvio Capeccia all'epoca era fuoriuscito dal gruppo, per rientrare poi nel 1979 insieme a Fulvio Muzio. Dei Decibel di adesso, l'unico ad aver assistito alla scena della rissa era Enrico Ruggeri. Ma questo Noblesse oblige vede protagonisti proprio i tre che abbiamo appena nominato. Un trio con una coesione di intenti ed un'insuperabile alchimia che ha portato ad un album indimenticabile come Vivo da re, del 1980. Ruggeri ha poi intrapreso una carriera solista ricca di soddisfazioni sia come cantante che come autore. Gli altri due hanno portato avanti percorsi professionali importanti che in alcuni casi si sono anche intrecciati col mondo musicale. Ora hanno sessant'anni e si sono ritrovati. L'alchimia è la stessa di un tempo, anche se il mondo è cambiato. I poli non sono più due, forse sono tre, ma se hai un cervello e pensi fuori dal coro vieni sempre categorizzato come una volta. Pazienza: i Decibel da un certo momento in poi non hanno fatto più niente né per confermare né per smentire. Ci bastano le loro canzoni. La band milanese ci tiene a dire che il rock è ormai per l'epoca odierna quella che era un tempo la musica classica. E merita quindi un equo trattamento: un cofanetto per collezionisti venduto a caro prezzo e un tour nei teatri senza alcuna rissa fuori dai cancelli. E soprattutto un nuovo album, intitolato Noblesse oblige ed uscito per Sony music / RCA. Il sound dei Decibel è sempre riconoscibile: i tre sembrano una cosa sola, come all'epoca, e anche a livello compositivo sono in ottima forma. Complici i corsi e ricorsi storici, che hanno fatto in modo che il loro sound new wave basato su mellotron, minimoog e Vox Continental sia improvvisamente tornato di moda. Escludendo due tracce, L'ultima donna e Crudele poesia, che sembrano prolungamenti del Ruggeri degli ultimi tempi, il resto ha un sound caratteristico invidiabile. Notevole e ricca di riferimenti musicali (dai New York dolls a Lou Reed agli Stranglers) la traccia d'apertura, My my generation, in cui il "my" aggettivo possessivo del titolo potrebbe essere un "mai" inteso come avverbio (non tanto di tempo quanto di negazione). Spiccatamente Decibel la seconda traccia, Noblesse oblige, nella quale tutti gli automatismi di un tempo funzionano a meraviglia e senza ruggine, e con in più un assolo in stile Tom Verlaine, tanto per ricordare quali sono gli influssi musicali a cui ispirarsi. Universi paralleli vira verso il tema filosofico di altri mondi che potrebbero coesistere e apre all'idea che il modo per arrivarci sia essere aperti a qualsiasi possibilità. L'apertura a pensieri diversi dal proprio per i Decibel va sempre di pari passo col rifiuto di uniformarsi, ed è bene mettere in chiaro questo punto. C'è un pezzo fortissimo, in tal senso, che oltretutto è quello che maggiormente richiama i Decibel dei vecchi tempi. Si intitola Triste storia di un cantante ed è un piccolo capolavoro che fa sorridere e contemporaneamente capire come solo guardando dall'esterno si possa comprendere quanto ogni categoria, compresa quella degli artisti, risulti omologata ed assoggettata ad uno schema di pensiero, fondamentalmente per debolezze interiori ed esagerato narcisismo. Il cantante descritto nella canzone conosce solo il proprio mondo, non frequenta altri ambienti se non ne ricava un vantaggio immediato quanto effimero. Ma fondamentalmente è chiuso, ha paura del suo stesso pubblico e non è in grado di dare niente perché in verità dentro di sé è vuoto. Poiché praticamente tutte le persone che conosciamo nell'ambiente musicale sono fatte così (tranne rarissime eccezioni) dobbiamo ammettere che su questo argomento i Decibel hanno colto nel segno come nessuno prima di loro. A fine album c'è un altro brano parecchio forte, intitolato Il primo livello. Il tema è sempre quello caro ai Decibel: puoi credere quanto vuoi di avere un pensiero diverso da quello degli altri ma questo pensiero non è deciso da te ma da qualcuno che sta sopra di te e quindi tutto sta a capire chi occupa questo famigerato "primo livello" all'interno del quale si decidono i pensieri della gente. Molto diversa dal resto del materiale ma particolarmente toccante è la canzone Gli anni del silenzio. Le ritmiche richiamano un po' i Diaframma degli ultimi tempi e la storia parla di una donna di mezza età, ormai annoiata dalla propria relazione, che nonostante il silenzio esteriore ha ancora la forza di provare internamente segrete passioni. Il jackpot racconta una realtà urbana decadente, ma sempre coi toni di Ruggeri: sempre narrativi, sempre descrittivi, sempre osservativi, mai giudicanti. Mai inquadrabili in una scuola di pensiero. Sarà per questo che dopo quarant'anni i Decibel esistono ancora e tutto il resto no. Fashion è un altro pezzo abbastanza forte e parla, oggi come tanti anni fa, di mode effimere e di un'omologazione che porta in realtà alla perdita del valore dell'individualità. La bella e la bestia è commovente e anche qui il sound e la poetica dei Decibel raggiungono vette elevate: una sorta di marcetta che accompagna i passi di un uomo che si sente inadeguato nei confronti di una donna fortemente idealizzata, ma che alla fine scoprirà che la propria inadeguatezza è data dal conformarsi al pensiero stereotipato invece di seguire la propria individualità. I Decibel, poi, si confrontano anche con due loro successi. Il primo è l'immortale Contessa, con un arrangiamento simile all'originale e che differisce più che altro per una ricerca più accurata dei registri sonori per quanto riguarda le tastiere. Il secondo è Vivo da re, all'epoca un continuo crescendo caratterizzato dall'assenza della solita struttura strofa / ritornello / strofa, qui riarrangiato in una versione rallentata, con un coretto robotico iniziale che ricorda O Superman di Laurie Anderson, e con un finale spaziale molto diverso dall'originale. Alcune note tecniche: Ruggeri, nonostante la prolifica carriera solista, è l'anello debole del trio. Ma non perché sia debole lui, ma perché sono mostruosamente forti gli altri due. La chitarra di Fulvio Muzio arriva sempre dritta e spietata dove deve arrivare ed il brano Noblesse oblige coi suoi fraseggi e le sue fermate e ripartenze ne è la prova lampante. Silvio Capeccia alle tastiere fa un lavoro magistrale, ma è il suo momento, perché la casualità vuole che i suoni da lui amati stiano vivendo attualmente una seconda epoca di giovinezza e quindi è l'uomo giusto al momento giusto. I turnisti (tra cui tante conoscenze del mondo Decibel nelle sue varie declinazioni) svolgono egregiamente il proprio dovere e c'è una bella ricerca dei suoni originari, tra cui il drumming di Contessa molto fedele agli anni '80 ed un basso che fa sempre quello che è chiamato a fare senza uscire dai canoni new wave (ad esempio nel brano Gli anni del silenzio). La produzione è notevole, il mix è perfetto e sono adorabili le seconde voci, che rinnovano il marchio di fabbrica dell'epoca di Vivo da re. Insomma tanta buona musica nuova senza mai omologarsi. Piccolo parere tecnico: enormemente meglio la seconda parte dell'album rispetto alla prima. Infine, una breve nota conclusiva: Ruggeri nella sua carriera solista ha già detto tutto. Per varie contingenze, non potrà fare più di ciò che ha fatto finora. Se dedicasse la futura parte della propria vita artistica ai Decibel avrebbe invece ancora molto da dire, ne uscirebbero album ancora più convinti di questo Noblesse oblige, che stupisce ma è ancora un po' timido. Per finire: in base a tutte le belle cose che abbiamo detto, com'è possibile che nel '77 qualcuno volesse menare chi ascoltava i Decibel? Siamo tuttora increduli. Marco Maresca
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