L’esordio dei Danubio è uno di
quei dischi che ti sembra di aver già sentito, anche se non sai esattamente
dove. O almeno lo saprei se avessi una memoria selettiva, ma visto che le cose
mi vengono in mente quando vogliono loro mi devo accontentare di andare a
braccio per descrivere quella strana sensazione di dejà vu che mi rimane
impressa durante tutto l’ascolto del disco del quartetto cuneese.
Il paragone più facile, forse
perché quello più altolocato, è quello coi Verdena, ma in realtà sono solo il
cantato ed i testi ad evocarlo. Nel primo caso non funziona male la voce di
Alessandro Osella, anche se la spinta che dà ai ritornelli limpidi di Wojtek, uno dei pochi attimi luminosi di
un album perlopiù virato su toni cupi, piacerebbe sentirla anche nei pezzi dove
invece non riesce a far risaltare le parti robuste come dovrebbe, soprattutto
in Albicocca dove anche la metrica fa
storcere il naso: tutt’altro discorso per i testi, visto che più che criptici
sembrano semplicemente incompleti, e pur lodando la scelta dell’italiano come
lingua devo rimarcare che l’intenzione di comunicare qualcosa in brani come Nuoto perpetuo e Quello che tutti aspettano da tempo è fallita, mentre va meglio con
l’alone surreale che viene creato da Il 3
gennaio sulla spiaggia.
Musicalmente la prima cosa che mi
viene in mente sono i misconosciuti Miavagadilania, che ascoltai anni fa e mi
diedero la stessa impressione di malinconia associata ad un suono comunque
intriso di distorsioni, ma come in quel caso al di là delle atmosfere non si
riscontra né nella scrittura né nei suoni niente di nuovo. Pregevoli alcuni
riff di chitarra, come quello che introduce le strofe iniziali di Nuoto perpetuo, interessanti gli incroci
fra gli strumenti nella nervosa Tre, se
conti me, con la voce ospite di Federico Chiavassa che evocando Godano crea
però un paragone decisamente scomodo coi Marlene, curiosa e caso a sé Quello che tutti aspettano da tempo, un
incrocio fra gli Il Pan del Diavolo ed i Soundgarden dei brani più sperimentali
che funziona egregiamente, ma tutto questo non basta per fare un buon disco. L’impressione
generale è di una band che deve ancora indirizzare bene il tiro, che spreca
cartucce potenzialmente buone come la conclusiva Dov’è la psicopolizia quando serve?, non amalgamando bene il ritmo
col cantato, e fatica a volte a trovare il modo di accendere la miccia, ad
esempio lasciando scivolare l’iniziale Dailan
in una piattezza in cui si percepisce a fatica lo stacco fra strofe e
ritornelli, non aiutati da un finale energico ma senza pathos.
Idee buone ma confuse insomma
quelle dei Danubio, una band di cui si fatica a capire dove potrà portare l’evoluzione.
La storia ci dirà come andrà avanti la loro carriera musicale, per ora
ascoltare pezzi come la placida ed incisiva Naìma,
graziata da ritornelli davvero efficaci, è un piacere che non basta a far venir
voglia di lasciare il disco nel lettore troppo a lungo. Stefano Ficagna
Tracklist:
1. Dailan
2. Wojtek
3.Nuoto perpetuo
4. Naìma
5. Quello che tutti aspettano da tempo
6. Albicocca
7. Il 3 gennaio sulla spiaggia
8. Tre, se conti me
9. L'incendio doloso di A.
10. Dov'è la psicopolizia quando serve?
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