8 marzo 2017

Esordio fra luci ed ombre per i cuneesi Danubio

L’esordio dei Danubio è uno di quei dischi che ti sembra di aver già sentito, anche se non sai esattamente dove. O almeno lo saprei se avessi una memoria selettiva, ma visto che le cose mi vengono in mente quando vogliono loro mi devo accontentare di andare a braccio per descrivere quella strana sensazione di dejà vu che mi rimane impressa durante tutto l’ascolto del disco del quartetto cuneese.

Il paragone più facile, forse perché quello più altolocato, è quello coi Verdena, ma in realtà sono solo il cantato ed i testi ad evocarlo. Nel primo caso non funziona male la voce di Alessandro Osella, anche se la spinta che dà ai ritornelli limpidi di Wojtek, uno dei pochi attimi luminosi di un album perlopiù virato su toni cupi, piacerebbe sentirla anche nei pezzi dove invece non riesce a far risaltare le parti robuste come dovrebbe, soprattutto in Albicocca dove anche la metrica fa storcere il naso: tutt’altro discorso per i testi, visto che più che criptici sembrano semplicemente incompleti, e pur lodando la scelta dell’italiano come lingua devo rimarcare che l’intenzione di comunicare qualcosa in brani come Nuoto perpetuo e Quello che tutti aspettano da tempo è fallita, mentre va meglio con l’alone surreale che viene creato da Il 3 gennaio sulla spiaggia.
Musicalmente la prima cosa che mi viene in mente sono i misconosciuti Miavagadilania, che ascoltai anni fa e mi diedero la stessa impressione di malinconia associata ad un suono comunque intriso di distorsioni, ma come in quel caso al di là delle atmosfere non si riscontra né nella scrittura né nei suoni niente di nuovo. Pregevoli alcuni riff di chitarra, come quello che introduce le strofe iniziali di Nuoto perpetuo, interessanti gli incroci fra gli strumenti nella nervosa Tre, se conti me, con la voce ospite di Federico Chiavassa che evocando Godano crea però un paragone decisamente scomodo coi Marlene, curiosa e caso a sé Quello che tutti aspettano da tempo, un incrocio fra gli Il Pan del Diavolo ed i Soundgarden dei brani più sperimentali che funziona egregiamente, ma tutto questo non basta per fare un buon disco. L’impressione generale è di una band che deve ancora indirizzare bene il tiro, che spreca cartucce potenzialmente buone come la conclusiva Dov’è la psicopolizia quando serve?, non amalgamando bene il ritmo col cantato, e fatica a volte a trovare il modo di accendere la miccia, ad esempio lasciando scivolare l’iniziale Dailan in una piattezza in cui si percepisce a fatica lo stacco fra strofe e ritornelli, non aiutati da un finale energico ma senza pathos.

Idee buone ma confuse insomma quelle dei Danubio, una band di cui si fatica a capire dove potrà portare l’evoluzione. La storia ci dirà come andrà avanti la loro carriera musicale, per ora ascoltare pezzi come la placida ed incisiva Naìma, graziata da ritornelli davvero efficaci, è un piacere che non basta a far venir voglia di lasciare il disco nel lettore troppo a lungo. Stefano Ficagna

Tracklist:

1. Dailan
2. Wojtek
3.Nuoto perpetuo
4. Naìma
5. Quello che tutti aspettano da tempo
6. Albicocca
7. Il 3 gennaio sulla spiaggia
8. Tre, se conti me
9. L'incendio doloso di A.
10. Dov'è la psicopolizia quando serve?

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