Lo confesso: ho
sempre odiato la deriva “cantautorale” che ormai domina il panorama
indipendente italiano da un paio d’anni a questa parte. Sono un vecchio rocker,
cresciuto a pane, indie, punk e metal che proprio non riesce ad entusiasmarsi
per tutti questi piccoli “Battisti per alternativi” che ultimamente sbucano
come i funghi. Per cui quando mi è capitato tra le mani questo Funerali alle Hawaii, esordio
discografico di Calavera, alias Valerio Vittoria (ex Froben, Matildamay, Paolo
Mei & Il circo d’Ombre nonché chitarrista di Colapesce nel tour di Un meraviglioso declino), il primo
pensiero è stato quello di liquidarlo subito come l’ennesimo, inutile disco di
un artista bravo con le parole, ma inconsistente dal punto di vista musicale.
Invece, mai fare i conti senza l’oste!
Nonostante la diffidenza iniziale,
questo Funerali alle Hawaii mi ha
lentamente conquistato. Merito di un mix equilibrato e vincente tra un pop
molto raffinato ed elegante (fatto di chitarre acustiche, sinth, drum machine,
percussioni), un’eccellente produzione (i suoni del disco sono davvero
bellissimi) e un immaginario intimo e riflessivo che, per usare le stesse parole
dell’autore, “senza finestre sul mondo, celebra una fine, con l’entusiasmo di
un nuovo inizio”. In questo
viaggio agro-dolce tra relazioni finite, abbandoni, lutti, ossessioni e cose
irrisolte, brillano per immediatezza le raffinate melodie de I miei discorsi, La libertà nascosta, Mentre
dormi e della bellissima e personalissima cover de Le case d’inverno di Luca Carboni (da Persone silenziose, 1989). Come i fiori, con il suo incedere dolce
e malinconico, rappresenta la chiave di lettura dell’intero disco: come un
funerale alle Hawaii, l’ascoltatore è colpito da questa contrapposizione tra
ritmo, danza e fiori da un lato e il dolore per un lutto dall’altro. Dopo
l’amara constatazione della «distanza siderale tra me e te» di Se finisce il mare (in assoluto il brano
più cupo del disco) e l’inutile tentativo di farcela nella «vita nascosta delle
case» per «risolvere» e «risolversi», Le
cose non risolte riaffiorano come iene a ridere di noi. I nove pezzi di Funerali alle Hawaii immaginano spazi
lontani chiusi in un ambiente domestico. La casa: punto di partenza e punto d’arrivo
del viaggio intimo di Calavera, tra ritmo e malinconia. «Devo avere una casa
per andare in giro per il mondo» dicevano anni fa gli Assalti frontali. Qui
nessun viaggio può colmare il vuoto e la nostalgia per una casa che non c’è
più. Sentimenti cupi, espressi con un linguaggio semplice e diretto, che
colpisce e convince nel suo vivisezionare il triste teatrino della quotidianità
borghese. Totò Santino
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