Gli Afterhours provano a tornare grandi con il doppio album Folfiri o Folfox, disco cupo ma avvolgente nel quale Manuel Agnelli non nasconde la sofferenza legata alla dolorosa morte del padre. Una marcia funerale rock e sinistra, umorale, di sentita interpretazione, nella quale chitarre distorte fanno il paio con sintetizzatori lugubri.
E' un disco sulla malattia, ma anche sulla cura, con frequenti allusioni (fin dal titolo) ai farmaci chemioterapici, un disco coraggioso che necessita molti ascolti per una corretta metabolizzazione. Tra invettive, laiche preghiere, commoventi ballate rock, apprezzo certamente l'intensità musicale e l'interpretazione (Grande), tuttavia non riesco ad entrare in completa empatia con Manuel, troppo deciso e mai sommesso, oltre che incoerente nel proporre un disco ostico e meraviglioso, salvo poi sputtanarsi completamente andando a fare il giudice di X Factor. Tra gli episodi meno riusciti Il mio popolo si fa un polpettone industriale e acidissimo di riflessione sociale in cui entrano cocaina, trans e ludopatie. Pollice su invece per l'ariosa Non voglio ritrovare il tuo nome dall'incantevole arrangiamento.Gli Afterhours – ora senza Ciccarelli e Prette ma con Pilia (Massimo Volume) e Rondanini (Calibro35) - hanno ritrovato ispirazione e idee, dopo la nebbia di Padania. Un disco come questo, in anni in cui vanno per la maggiore Calcutta, J Ax e Fedez dovrebbe essere salutato come un autentico capolavoro, per tema, arrangiamenti, testi e ispirazione... e pazienza se anche la sofferenza ha la sua data di scadenza. Roberto Conti
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