8 marzo 2016

Reverberi / Collini, ovvero gli Spartiti. Recensione di Austerità e intervista

Jukka Reverberi lo conosciamo grazie ai Giardini di Mirò e ai Crimea X. Ma Jukka Reverberi è anche il figlio di Jones Reverberi, storico segretario del PCI sezione Cavriago (il paese col busto di Lenin). Max Collini lo conosciamo grazie agli Offlaga disco pax. Noi di AsapFanzine, in particolare, lo conosciamo anche per Via Toschi 23, una sorta di reading sulla Reggio Emilia militante degli anni '80 scritto in coppia con Arturo Bertoldi e portato su tanti palchi tra cui anche quello di Fortissimo, l'anno scorso a Vinadio. Reverberi e Collini, gli Spartiti, sono accomunati da una militanza rossa come la copertina suprematista del loro primo album ma sempre accompagnata dal necessario distacco e da una grande ironia. Austerità (Woodworm / distribuzione Audioglobe) esce in formato libro + CD ed anche in doppio LP.

Non è questa la sede per paragoni o confronti con il post-rock dei Giardini di Mirò o con il singolare caso discografico Offlaga disco pax. E' giusto dare piena dignità artistica agli Spartiti come entità a se stante. Reverberi crea le basi, avvalendosi anche di qualche collaboratore tra cui Andrea Rovacchi del Bunker studio di Rubiera (RE) alle tastiere e alla batteria e Valerio Cosi al sax di Vera. Rovacchi si è anche occupato della registrazione e del mixaggio ed è coproduttore insieme a Jukka Reverberi. Max Collini fa ciò che sa fare meglio: declamare i testi. Tre testi su nove sono di provenienza altrui: Io non ce la faccio è l'incipit di Bassotuba non c'è di Paolo Nori; Babbo Natale è un racconto scritto da Simone Lenzi dei Virginiana Miller; Ti aspetto è tratto da Stanza 411 di Simona Vinci. E sui testi altrui accade l'inaspettato, e cioè che Babbo Natale sembra scritto da Collini e non lo è, mentre Austerità sembra tratto da un racconto e invece è opera di Max. Ascoltando bene il testo si capisce il perché di quella narrazione in terza persona così impersonale: è una storia talmente vera che raccontarla in prima persona sarebbe stato doloroso. Se non fosse che poi c'è Bagliore, altrettanto dolorosa se non di più. Una delle canzoni più tristi mai scritte e, se nell'ascolto dei brani precedenti si è stabilito il feeling con l'ascoltatore, è matematico che qui scenda una lacrima. In altre occasioni si ride, per fortuna. In particolare Sendero luminoso parla di un manifesto goliardico scritto da Max Collini e Arturo Bertoldi a metà degli anni '80, che alla sinistra da salotto contrappone una rivoluzione coi machete. Immaginiamo ai live un pubblico incontenibile al grido di "Ai machete, compagni!". Si ride ancora di più in Vera, uno sketch adolescenziale che farebbe invidia allo Zanardi di Andrea Pazienza. Il brano dura tredici minuti ma non risulta pesante, si ride e basta. C'è, poi, il Collini enciclopedico che racconta la storia di Basilio Albrisio in Nuova Betlemme e la storia della Cooperbanca in Banca locale. Una storia, quest'ultima, che va tramandata ai posteri per impedire che accada nuovamente, come narrato nel testo, che qualcuno pensi che Cooper sia una facoltosa famiglia di banchieri americani in stile Dallas. Il post-rock si sente sempre, lungo tutto l'album, ma è messo a servizio della narrazione di Collini in una maniera che, a memoria, ha come precedente soltanto gli irlandesi Whipping boy. La militanza, invece, è sempre assicurata. Anche se Collini è ironico da sempre sulla sua appartenenza. Sendero luminoso, infatti, mostra posizioni critiche nei confronti del PCI già dall'86 e Vera mostra come l'impegno politico serva, in realtà, a rimorchiare le liceali. Unica piccolissima nota stonata da rilevare, ma probabilmente imputabile al fatto che gli Spartiti siano ancora in rodaggio, è l'abisso, in termini di interpretazione e partecipazione emotiva, tra i testi altrui e quelli di produzione propria. Ma finché i testi scritti da Collini mantengono la qualità di Sendero luminoso e Vera ci auguriamo altri cento album così. Nel brano Austerità si arriva addirittura a confrontarsi con la convenzionale forma-canzone, giungendo a qualcosa che ha la musicalità di una specie di ritornello. Cosa mai accaduta nel repertorio di Collini, chiunque siano i suoi soci. Grande esordio, per davvero. E al concerto speriamo di trovare qualche machete per portare avanti il messaggio rivoluzionario del Compagno Gonzalo. Marco Maresca



Abbiamo intervistato Max Collini e questo è ciò che ci siamo detti.

A quanto ne sappiamo, Max e Jukka, vi conoscete da molto tempo. "Spartiti" sembrava inizialmente un timido esperimento, un tour estemporaneo o poco più. Ora, con questo Austerità, siete arrivati all'album. Dobbiamo comunque considerarlo uno svago temporaneo o è l'inizio di un percorso duraturo?
Non definirei “svago” un percorso e una collaborazione che dura da anni ormai. Siamo giunti al disco in studio dopo decine e decine di concerti e abbiamo abbandonato l’estemporaneità da molto tempo, questo disco è già il compimento di un percorso duraturo e per quanto mi riguarda “Spartiti” è a tutti gli effetti il mio principale luogo di attività artistica da quando non esistono più gli Offlaga disco pax.

Tre testi su nove sono presi in prestito. Come mai avete scelto di confrontarvi con testi altrui in un terzo dell'album? Come ci si approccia al materiale scritto da altri?
Fin dall’inizio la nostra collaborazione era nata per affrontare testi scritti da me e da altri autori, più o meno in egual misura. La scelta dei testi di altri è sempre stata dettata da un sentimento non molto nobile, che è poi l’invidia per chi era riuscito ad esprimere quei contenuti in un modo secondo me particolarmente efficace e in cui mi riconoscevo compiutamente. Se faccio mio un testo altrui è perché mi sento rappresentato da esso e lo interpreto come se lo avessi scritto in prima persona. Devo dire grazie a Paolo Nori, Simona Vinci, Arturo Bertoldi e a Simone Lenzi, hanno apprezzato il nostro omaggio e ne sono stati contenti. O almeno così ci hanno detto. Speriamo sia vero. Mai dare niente per scontato.

I quasi tredici minuti di Vera sono epici. Chi ascolta il brano ride di gusto. Un po' meno, credo, i personaggi citati. Capita mai che qualcuno reagisca male quando viene citato con epiteti magari non proprio simpatici?
Intanto i nomi non sono esattamente quelli, perché le querele non piacciono a nessuno e meno che meno a noi. Poi nel caso che citi stiamo parlando di una storia ambientata trenta anni fa, in cui quello che fa la parte peggiore mi pare evidente sia io. Gli epiteti sono quelli che esprimevo allora nella mia (del tutto sedicente) verve antisistema e che oggi non mi permetterei mai di utilizzare. Sono convinto che se “Vera” oggi ascoltasse il brano si divertirebbe moltissimo nel rivivere la carognata che le era toccata in sorte quel giorno, ma nel dubbio facciamo che non le dirò niente. Non si sa mai…

Bagliore commuove. E' una storia vera, presumo. Come si fa, dal vivo, a mantenere il giusto distacco quando si narra ad una platea di sconosciuti una vicenda così personale e sofferta?
Per anni sui palchi ho affrontato ogni sera Venti minuti degli Offlaga disco pax, dopo una palestra del genere ritengo di poter “cantare” qualunque testo, anche il più complicato, senza restarci in mezzo. Fidatevi.

Ci sono tante donne, in questo album. In Vera, Bagliore, Austerità e soprattutto in Ti aspetto, brano al femminile nel quale emergono le amare ma sognanti parole scritte da Simona Vinci. Si può quasi dire che gran parte dell'album sia dedicato alla condizione femminile. E' una coincidenza o una scelta voluta?
Fino a questa intervista e a questa domanda non mi ero assolutamente posto la questione, devo pensarci. Sicuramente non è voluto, ma come sempre ogni cosa ha un perché anche se non necessariamente lucido ed evidente. Non mi pare però che sia questo l’argomento preponderante: le figure maschili e femminili sono equamente divise nei vari brani e in un paio di essi i protagonisti sono dei bambini. Forse è un disco sulla famiglia tradizionale, ma a me piace pensare che sia solamente un album su quello che avrebbe potuto essere e che non sarebbe stato mai.

Sendero luminoso si basa su un testo goliardico che Max aveva scritto trent'anni fa con Arturo Bertoldi. Il bersaglio era la sinistra da salotto. Siete stati e siete militanti ma sempre con un tocco di ironia. Ora la sinistra in Italia non c'è più e si sta tornando verso un partito unico che è una nuova forma di DC. Negli anni '80, invece, il Partito Comunista c'era eccome. Era un'illusione, una sorta di valvola di sfogo, o c'è stato un momento in cui valeva la pena di crederci e lottare davvero?
Il bersaglio non era certo la sinistra da salotto, ma solo il nostro senso di inadeguatezza provinciale rispetto a un gruppo dirigente della Federazione Giovanile Comunista Italiana che poi ha fatto, in alcuni casi, carriere importanti e predestinate, in qualche caso anche al di fuori del perimetro attorno al PCI. Nel 1986 i dirigenti della FGCI erano Pietro Folena, Gianni Cuperlo, Giorgio Airaudo, Stefania Pezzopane, Fabrizio Rondolino, Nichi Vendola e sicuramente altri altrettanto noti che ora non ricordo. Io e Arturo non avremmo mai pensato di poter fare carriera politica e infatti non l’abbiamo fatta. Loro lo pensavano e l’hanno fatta. Volere è potere. Circa.

Ci congediamo con un'ultima domanda. Questa volta riguardante i live. Dobbiamo aspettarci una distribuzione di machete, anche simbolici, per onorare tutti insieme il “sentiero luminoso” del Compagno Gonzalo?
Nessun simbolismo. Machete per tutti.

Ringraziamo Max Collini (e Fabio Diana di Big time) per la gentile concessione.

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