Giorni Usati è il nuovo album di
Michele Anelli, uno che gira l’Italia dal lontano 1989 ovvero l’anno in cui
fonda i Groovers, band scioltasi da alcuni anni dopo un ventennio di condivisione
musicale. Una carriera multiforme che lo ha visto alternarsi fra libri (l’ultimo,
Radio Libertà, attraverso la storia dell’omonima emittente biellese fa un sunto
di ciò che le radio libere hanno rappresentato nei tumultuosi anni settanta),
band e progetti musicali in solitaria, anche se questo nuovo disco è a tutti
gli effetti l’esordio da solista (il precedente album del 2014 era condiviso
con la band pavese Chemako). Melodia e grinta che si alternano nei dieci brani
che compongono l’opera, con qualche aggiunta spiazzante a mischiare le carte.
La grinta Michele la tira fuori
fin dalla prima traccia Lavoro senza
emozioni, in cui contrabbasso e batteria dettano un ritmo coinvolgente che
viene solo in parte scalfito da un utilizzo esasperato del vocoder e da una
struttura fin troppo ripetitiva, ma è Adele
e le rose a lasciare le migliori sensazioni per quel che riguarda il lato
più rock dell’album: introdotta da un giro d’organo che entra subito in testa la
traccia funziona anche nei suoi ritornelli tranquilli, e si concede un finale
strumentale in cui ogni strumento riesce a risaltare. D’altra pasta invece una
canzone come Giulia, morbida e sensuale
ma con pochi sussulti lungo i suoi poco meno di quattro minuti di durata,
traccia che lascia intravedere un’insospettabile legame con Battisti avvalorato
dalle fasi iniziali di Gospel. Quest’ultima,
coerentemente col titolo, lascia spazio da metà brano al clapping ed all’incrocio
di voci, spiazzando abbastanza ma con un effetto piacevole. Non è questa l’unica
digressione verso orizzonti musicali diversi da parte di Michele, che conclude
l’album con le atmosfere placidamente jazzistiche della title track riuscendo
ad allargare lo spettro sonoro e sfoderando qui la miglior performance musicale
ed interpretativa. C’è spazio anche per un doppio omaggio in Cento strade, uno volontario a Peppino Impastato
(parte di una sua poesia trova spazio nelle strofe) ed uno, chissà se involontario
o meno, ad un Finardi che Michele evoca piacevolmente con un modo di cantare
più enfatico.
Non tutto funziona nel disco, va
detto. Leader recupera efficacemente l’andamento
poco incisivo con una parentesi a base di synth ed archi da applausi, alla
rockeggiante Tu sei me non riesce
però lo stesso gioco con l’assolo convulso d’organo che parte a metà del pezzo.
Alice spreca un buon potenziale dato
dalla ritmica funky e dall’innesto della tromba a causa di ritornelli che
rallentano troppo l’andamento generale, Eco
merita invece un plauso per l’arrangiamento ma tarda forse troppo ad alzare il
tono, vista la drammaticità con cui gli archi ammantano il finale.
Un buon disco questo di Michele
Anelli, capace di variare il tiro con operazioni quasi azzardate riuscendo a
cavarsela col mestiere ed un’indubbia perizia tecnica. Testi che non sono
riusciti a coinvolgermi abbastanza nonostante premesse importanti (Giulia nasce dall’esigenza di raccontare
i dolori provocati dall’amianto) ed alcuni brani ben confezionati ma privi di
pathos sono i difetti principali che posso imputare a Giorni Usati, peccati
forse veniali ma che stonano comunque al cospetto di una carriera così lunga e
piena di soffisfazioni. Stefano Ficagna.
Tracklist:
1. Lavoro
senza emozioni
2. Leader
3. Adele
e le rose
4. Alice
5. Giulia
6. Gospel
7. Eco
8. Tu
sei me
9. Cento
strade
10. Giorni
usati
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