20 ottobre 2015

Torna Limone con "Secondo Limone", ma i giochi di parole hanno stufato

Limone, che di nome fa Filippo, è un cantautore veneto al suo secondo full lenght. Il primo, che avevo recensito credo un anno fa, era gradevolissimo e tangibilmente interessante. Questo "Secondo Limone", uscito per Dischi Soviet Studio, no. Suona un pop cantautorale che non è né spensierato, né riflessivo, né disperato.
Sinceramente non riesco a farne una descrizione plausibile di critica e non so se sia un bene o un male. Parla di quotidianità, sì, ma i ritornelli non rimangono in mente pur essendo ordinati e cantabilissimi. Parla forse un po’ troppo di quotidianità, ne parla in ogni sua canzone, ma il problema non è qui: il problema è che annoia mortalmente. Nei suoi testi non c’è mai una svolta, non c’è allegria e non c’è tristezza, non c’è conflitto e non c’è ritirata, non c’è ironia soprattutto. Rimangono lì a girare, a sillabare, mentre tu pensi inevitabilmente ad altro. Gli accorgimenti musicali, poi, sono sempre gli stessi (Babalot iniziò ad usare tastiere ed effettini circa dieci anni fa, mettetevelo in testa!), i suoni non incidono e sono lenti e maliziosi. Limone strizza l’occhiolino ma non incide nell’ascolto, per farla breve. Non attira l’attenzione, per niente. Riempie le sue canzoni di citazioni ma rimane in superficie ed è un peccato, perché le idee iniziali sono davvero buone: la voce è calda e “italianissima”, i ritmi sono danzerecci e le atmosfere, in generale, sono piacevolissime. Un breve inciso su un brano in particolare, che ha sin da subito catturato la mia attenzione:  Amanda Knox trova un nuovo coinquilino. La trovo una canzone sfacciatamente volgare, che non riesce ad essere abbastanza cinica per far ridere e non riesce ad essere critica per far riflettere, trasformandosi in una critica (?) sterile nei confronti della banalità dell’essere italiani tirando in mezzo politica e prelati. Antipatica e spiccatamente qualunquista. Basta. Andrea Vecchio

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