11 febbraio 2014

Pregi e difetti ben in vista nel nuovo disco degli Zen Circus, Canzoni contro la natura

Tralasciando il fatto che ogni volta che si sente cantare Appino sembra di ascoltare un Alberto Fortis che in un impeto di follia si è mangiato Finardi. Tralasciando anche il fatto che questo Canzoni contro la natura più che un album degli Zen circus sembra appunto un'appendice dell'album solista di Appino. Cosa sono gli Zen circus esattamente? Non si è capito. Una volta cantavano in inglese e bazzicavano un giro piuttosto fighetto, poi son passati all'italiano, sono apparsi più poveri e sporchi e hanno iniziato ad avercela con tutti. Poi Appino ha intrapreso una strada solista che forse ha più coerenza e più senso della band stessa. Probabilmente è irrispettoso iniziare con questi toni la recensione di un album tutto sommato atteso ed importante, ma è difficile accostarsi al nuovo materiale senza pensare a ciò che c'è dietro. Detto ciò, iniziamo subito col dire che è un bel disco: abbastanza coraggioso nei testi (anche se si conferma oltremodo retorico, come ampiamente previsto), ben fatto, con dei brani interessanti. A proposito: per la registrazione di questo disco la band non si è avvalsa proprio di nessuno. Né fonico, né produttore, nulla. Il trio ha fatto tutto da sé, dimostrando peraltro di saperci fare.
L'etichetta è sempre La Tempesta dischi, che ha accolto a braccia aperte gli Zen circus da quando sono passati alla lingua italiana. Il brano di apertura, Viva, benché ampiamente retorico, è interessante. La band si scaglia contro l'insensata mania degli italiani di supportare con fervore quasi calcistico qualsiasi moda, benché passeggera. Il coraggio sta nello schierarsi addirittura contro il Movimento 5 stelle. Qualsiasi altra band ci avrebbe pensato dieci volte prima di procurarsi dei sicuri nemici grazie ad un messaggio politico così netto. Estremamente coinvolgente il crescendo della canzone, ma chi ha ascoltato Il testamento è già abituato a questa attitudine di Appino di buttare tutto sull'emotività. Bellissimo il messaggio finale: "vivi si muore". Fosse anche l'unica cosa che rimarrà di questo album, ne è valsa la pena. Due parole vanno anche al videoclip del brano, estremamente originale, a firma Sterven Jonger. Merita davvero un'occhiata. Postumia si collega direttamente col brano d'apertura e parla di com'è conciato il Paese ereditato dai nostri nonni. Si cade però nella retorica pura e quasi sgradevole. Canzone contro la natura parla di un altro tema musicalmente abusato: l'umanità che spinge in direzione opposta a quella della natura. In alcuni punti il brano ha anche la pecca di citare (inconsapevolmente) I Cani e la loro San Lorenzo. In conclusione c'è anche la voce di Pasolini che spiega in cosa consiste un atto contro natura. I ritmi da rodeo di Vai vai vai introducono il tema dell'esigenza giovanile di partire, andare, senza sapere dove e perché. Albero di tiglio riprende il tema naturalistico dell'album. Gli Zen circus fanno parlare un tiglio e gli mettono in bocca (in senso figurato, essendo un albero) concetti filosofici su un universo principalmente orientato verso il male, essendo il bene un'invenzione dell'uomo per giustificare i propri scopi, comunque meno importanti della vita di un tiglio (ma un tiglio che esprime vaneggiamenti filosofici non è un'invenzione dell'uomo?). Con questo brano gli Zen circus si accaparreranno la quota degli antispecisti che al momento sembra andare così forte sui social network. A chi invece non crede alla nostra tesi secondo la quale Appino è nato da un'unione incestuosa tra Fortis e Finardi, dedichiamo il brano L'anarchico e il generale, ma anche la successiva Mi son ritrovato vivo. Strana accoppiata di brani da cantautorato vintage, ma evidentemente Brunori ha aperto la strada a molti. A seguire c'è Dalì, con un'atmosfera da sottofondo di b-movie anni '70. Un brano che non si capisce quanto sia dedicato all'artista spagnolo e quanto sia autobiografico. Con No way si prosegue con caparbietà sulla strada dell'autoindulgenza e dell'autoreferenzialità. Per fortuna alla fine del brano (effettivamente un po' troppo arrogante) c'è un certo Giorgio (che sia Canali?) che con una frase ad effetto, chiusa da una oltraggiosa bestemmia censurata, fa notare alla band che la canzone non è di suo gradimento, come peraltro tutto il resto dell'album. La chiusura è affidata a Sestri Levante. A proposito di questo brano vogliamo dire che vanno sempre più di moda le citazioni palesi. Non serve altro. Forse non serve neanche riassumere il senso di questo album: tutti i punti di forza e tutte le debolezze sono in evidenza senza il bisogno di ricamarci su, ed ulteriori considerazioni le lasciamo a chi si vanta di capire gli Zen circus meglio di noi. Ad ogni modo, il messaggio antispecista è sgradevole, così come la retorica, ma il resto va bene. Marco Maresca

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