Ascolto il nuovo e quarto album di Beatrice Antolini in
quella che possiamo considerare una delle prime giornate calde e soleggiate di
giugno, ma nonostante tutta questa luce, in Vivid ho trovato diversi
angoli bui. Il disco è uscito il 14 maggio scorso, anticipato dal singolo Pinebrain,
e segna un cambiamento nel modo di proporsi dell'artista: dai primi tre album
suonati con strumenti tradizionali a questo in cui vira decisamente sulla
musica elettronica.
Per quanto si possa considerare un album dall'ascolto
piacevolmente leggero, non ho trovato niente di particolarmente entusiasmante.
E mi dispiace un po'. Ad esempio nel suo
album del 2008 A due in cui gli strumenti erano parte integrante del
lavoro si sentiva la personalità dell'artista, in un certo modo a mio parere
rappresentava meglio la sua attitudine musicale. Forse ora dando meno spazio
agli strumenti e in un certo senso alla musica così come lei la sente, perde un
po' della sua genuinità. Insomma non mi convince fino in fondo, ma è solo
un'opinione personale ovviamente.
I dieci brani di Vivid scorrono via senza problemi uno dietro l'altro senza desiderio di soffermarsi o magari di tornare alla traccia precedente per un secondo ascolto. Dal
sopracitato Pinebrain a Vertical love che racchiude in sé suoni mediterranei miscelati con l'elettronica, l'album è un concentrato di
pezzi legati tra loro da queste sonorità che più che frutto di una ricerca o di
una evoluzione artistica paiono essere una scelta quasi obbligata per la cantante
di Macerata che sembra come rassegnarsi ad assecondare il trend elettro tanto in voga in questi ultimi tempi.
Purtroppo il rischio è che tutta questa smania di musica
elettronica possa sminuire il talento e il lavoro di alcuni artisti che magari
avrebbero frecce più interessanti nella propria faretra. Forse è meglio
lasciare l'elettrosound a chi si sente
veramente ispirato e non sceglierlo perché così fan tutti... Da questa giovane e simpatica artista ci si aspetta molto di
più. Alessandra Terrone
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