Compatibilmente con le nostre tempistiche recensiamo ciò che ci viene mandato. La successione temporale spesso non viene rispettata ed è così che ci troviamo adesso a recensire Utopia di un'autopsia, l'album di una band milanese che si chiama La Linea del pane, nella quale milita Teo Manzo, del quale avevamo già recensito il disco solista, che però rispetto all'album della band è uscito più tardi. Nella recensione di Utopia di un'autopsia, disco uscito per QB music qualche mese fa, vediamo in che misura Teo Manzo e La Linea del pane differiscono e fino a quanto, invece, si sovrappongono.
Partiamo dalla struttura del disco. Undici brani, suddivisi in preludio, tempo primo, tempo secondo ed epilogo primo. Ne consegue, almeno nelle intenzioni, l'idea che l'album sia concepito come un'opera unitaria che ha bisogno di tutte le singole parti nel corretto ordine. Cosa che avviene solo in teoria, perché nella pratica abbiamo un disco di sessantacinque minuti (comprendenti una ghost track), di difficile ascolto per motivi che vedremo, che forse da una scaletta un po' più ridotta avrebbe tratto giovamento. Ci saranno, poi, nelle intenzioni degli autori, ottime motivazioni per la scelta fatta, ma all'ascoltatore passa (come già era successo per l'album solista) l'idea che il disco duri troppo. In questo, Teo Manzo e La Linea del pane non differiscono di una virgola. Il lato positivo durante l'ascolto è che, sebbene lo stile cantautorale si applichi anche ad un album di gruppo, il power trio ha una sua ragion d'essere e si sente che questo è l'album di una band e non di un singolo. Ci sono dei momenti luminosi nei quali emerge la coesione di band, ad esempio il finale strumentale di Nekrópolis che conduce verso il bell'epilogo Solstizio d'inverno. C'è un basso che avvolge tutto e delinea la struttura di brani pieni di variazioni, come nel prog. C'è una voce calda, intonata, sempre piacevole da ascoltare. C'è una predilezione per le ballate in tempi ternari. Poi ci sono, invece, tutte quelle cose che non riusciamo a digerire. Le troppe parole, come se si trattasse di racconti più che di canzoni. Ambrosia, ad esempio, che comunque è il brano migliore dell'album ma ha un testo di due pagine. Non amiamo la scarsa compiutezza dei brani, tra cui l'iniziale Apologia della fine, con gli accordi che cambiano in un modo quasi mai prevedibile. Intendiamoci: le canzoni dall'impostazione imprevedibile in genere sono bellissime. Ma una struttura definita, benché sorprendente, devono averla. Non ci piacciono nemmeno le troppe (e troppo forzate) rime e i vari giochi di parole, sempre troppo artificiosi. Ci sono addirittura due "indovinelli": Favola non violenta e la sua reprise, con l'ascoltatore chiamato ad indovinare i soggetti protagonisti. Non ci piace, oltretutto, la fatica che si fa a capire le parole, poiché il basso si mangia tutto e bisogna realmente impegnarsi a fondo per cogliere il cantato. Ad esempio in Occhi di vetro, da quando subentra l'armonica in poi, il cantato cosa dice? Meno male che c'è il libretto... Comunque, questo stile di mixaggio andrebbe bene se non si volesse dire niente di particolare ma, dal momento che tutto sembra porre in enfasi l'uso delle parole, sarebbe bene fare in modo che (almeno in quello) l'ascoltatore non si dovesse sforzare. Perché, come si era detto in altra occasione, se si obbliga l'ascoltatore a mantenere così alta l'attenzione per più di un'ora, poi bisogna prendersi la responsabilità dell'ora di vita altrui presa in ostaggio ogni volta. Si crea necessariamente un collegamento tra ciò che si trasmette e ciò che dall'altra parte si riceve. E il pubblico può sentirsi in diritto di esprimere con parole sue cosa ha colto del lavoro. E non sempre ciò che coglie equivale a ciò che si vorrebbe esprimere. Ma chi siamo noi per dare consigli? Certo che, però, se si potesse darli, i consigli sarebbero: tagliare riducendo tutto il tagliabile, privilegiare i momenti suonati (prendiamo i pregi: gli arrangiamenti da power trio quando sfruttati funzionano molto, molto bene) ed un rilassante e prolungato bagno di umiltà. E, quando si è sicuri di essere diventati umili, bruciare (o meglio regalare al sottoscritto) tutti i vinili di Claudio Lolli, anche se lo si ama, perché per diventare un maestro bisogna uccidere un maestro. Marco Maresca
Tracklist:
Preludio
1. Apologia della fine
Tempo primo
2. Urlo di Ismaele
3. Tempo da non perdere
4. Favola non violenta (indovinello n. 1)
5. Specchio
6. Ambrosia
Tempo secondo
7. Occhi di vetro
8. Gli alberi di Sophie
9. Favola non violenta (indovinello n. 2)
10. Nekrópolis
Epilogo primo
11. Solstizio d'inverno
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