Knots è il titolo dell’ultimo dei Crash of Rhinos. Questa volta il quintetto di Derby sceglie To Lose la Track come partner italiana, dopo una collaborazione con Triste per ciò che riguardò la loro precedente uscita, intitolata “Distal” e datata 2011. Mi ricordano i tempi in cui ordinavo le compilation Deep Elm “The Emo Diaries” in offerta package deal, quando in pochi ascoltavano i Red Animal War o i Brandston e dovevi star attento a parlarne bene. Canzoni lunghe lunghe e piene di racconti, chitarre e cori. Knots è un LP di undici tracce grazie al quale i C.O.R. si stanno guadagnando un tour con i Braid, giusto per andare al nocciolo della questione ed addentrarci più nello specifico.
“Diamine, cosa ho ascoltato sino ad ora?” è la cosa da dire dopo aver ascoltato, per esempio, Sum of all parts: vociona roca e al limite che rimanda alla puzza di giubbotto di jeans dopo una lunga serata e doppia chitarra che si diverte un sacco con frenetici “dai e vai” calcistici. Opener e Impasses non vi faranno rimpiangere di esservi persi il reunion tour dei Texas is the Reason, mentre Everything is e The reason I took so long sono i giusti punti di ripartenza strumentali per rilassarsi un attimo.I Crash of Rhinos sono un gran gruppo, capace di rimanere fuori dai canoni quando, nel bel mezzo di uno scontato revival emocore, vigono regole ispirate alla più procace indigenza sonora ed attitudinale. I Crash of Rhinos non fanno sconti ed impressionano, suonando forte e rimanendo lontani dalle discoteche londinesi. Rimangono nel loro Shire rispolverando ciò che di meglio hanno dato gli anni ’90, senza aggrapparsi a canzoni scontate e composte ad hoc. Ne è un esempio Standards & practice, nono pezzo dell’album: dopo quasi un’ora di musica hanno ancora la forza di farci rimanere lì nei dintorni del giradischi e non rispondere al telefono. Con gli ultimi tre minuti di canzone che fluttuano in un’epoca strumentale densa e distruttiva, capace di non ripetere mai lo stesso giro.Alle volte sentiamo il frenetico bisogno di aggrapparci a certezze. Magari dopo aver letto libri che non avremmo mai immaginato di leggere o ascoltato dischi che non sarebbero mai rientrati nei nostri canoni. Ecco, io penso semplicemente che i Crash of Rhinos non ci abbandoneranno mai. Andrea Vecchio
“Diamine, cosa ho ascoltato sino ad ora?” è la cosa da dire dopo aver ascoltato, per esempio, Sum of all parts: vociona roca e al limite che rimanda alla puzza di giubbotto di jeans dopo una lunga serata e doppia chitarra che si diverte un sacco con frenetici “dai e vai” calcistici. Opener e Impasses non vi faranno rimpiangere di esservi persi il reunion tour dei Texas is the Reason, mentre Everything is e The reason I took so long sono i giusti punti di ripartenza strumentali per rilassarsi un attimo.I Crash of Rhinos sono un gran gruppo, capace di rimanere fuori dai canoni quando, nel bel mezzo di uno scontato revival emocore, vigono regole ispirate alla più procace indigenza sonora ed attitudinale. I Crash of Rhinos non fanno sconti ed impressionano, suonando forte e rimanendo lontani dalle discoteche londinesi. Rimangono nel loro Shire rispolverando ciò che di meglio hanno dato gli anni ’90, senza aggrapparsi a canzoni scontate e composte ad hoc. Ne è un esempio Standards & practice, nono pezzo dell’album: dopo quasi un’ora di musica hanno ancora la forza di farci rimanere lì nei dintorni del giradischi e non rispondere al telefono. Con gli ultimi tre minuti di canzone che fluttuano in un’epoca strumentale densa e distruttiva, capace di non ripetere mai lo stesso giro.Alle volte sentiamo il frenetico bisogno di aggrapparci a certezze. Magari dopo aver letto libri che non avremmo mai immaginato di leggere o ascoltato dischi che non sarebbero mai rientrati nei nostri canoni. Ecco, io penso semplicemente che i Crash of Rhinos non ci abbandoneranno mai. Andrea Vecchio
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