19 novembre 2009

Parole come pallottole: il nuovo disco del Teatro degli orrori fa infuriare la Lega con il remake del Padre nostro

Il Padre Nostro riveduto e corretto, Majakovskij in chiave rock, la tragedia di Ken Saro Wiwa: parole come pallottole, poesia a mano armata, testi che scavano il quotidiano e interrogano le coscienze. Un carrarmato rock applicato alla musica d'autore, così si presenta A sangue freddo il nuovo disco del Teatro degli orrori. Un disco sonico e potente, dove le sonorità che hanno portato in dote i componenti della band, tutti con all'attivo importanti esperienze nel panorama rock indipendente, si mescolano con i "contenuti" e i testi al vetriolo. Proprio i testi diventano l'anello non più mancante che congiunge gli anni di cultura del cantautorato con il rock più intransigente e vero del belpaese. A sangue freddo è un disco come non se ne sentono da tanto tempo: non 'militante', ma 'politico' fino in fondo, attento alle contraddizioni sociali dell'italia di oggi. Il populismo, la deriva autoritaria, l'individualismo, lo smarrimento giovanile, le solitudini di chi non si riconosce nella comunità, le ingiustizie palesi e quelle nascoste nella privatezza delle persone, vengono evocate a volte con crudezza, con dolcezza e malinconia in altre. Tutto questo, già nel disco, viene supportato da un imponente impatto sonoro, che diventa un vero evento spettacolar-teatrale nella trasposizione live potentissima e di sicuro impatto. Provare per credere, Capovilla e soci non vi deluderanno. Roberto Conti



Proponiamo il servizio di Paolo Calia, pubblicato sul Gazzettino di Treviso (in prima pagina, il 18 novembre), che si occupa di come parte della politica della cittadina veneta sia insorta contro il Padre nostro in chiave rock del Teatro degli orrori


In Veneto Lega e Udc insorgono contro il gruppo musicale che vuole riproporre la preghiera in chiave rock: «Così dissacrate il Padre nostro»
Stiffoni: «Potessi, lo impedirei», Caner: «Cattivo gusto», Galzignato: «Scarsa fantasia»

«Braccia rubate all’agricoltura». Il senatore leghista Piergiorgio Stiffoni liquida così la rock-band Il Teatro degli Orrori. La notizia del loro ultimo brano Padre nostro, una parafrasi della preghiera più importante del cristianesimo, ha sollevato le reazioni irritate e decise. Il mondo della politica, almeno la parte che in questi si è schierata a difesa del crocifisso, è insorto solo all’idea che un altro simbolo religioso potesse essere messo in discussione. E poco importa se in questo caso la vicenda è diversa in quanto non si tratta di sentenze, provocazioni politiche o altro. Ma semplicemente di musica, anche se mischiata alla provocazione. Musica che, venerdì sera, salirà sul palco del New Age con tutta la sua forza dissacrante.
«Ma quale provocazione -ironizza Stiffoni- sarebbe meglio se quella gente andasse a lavorare nei campi. Se stiamo qui a parlare di simili ciofeche vuol proprio dire che siamo caduti molto in basso. Sarebbe il caso di iniziare a riprendere in mano la buona musica, non quella di questi rocchettari. Una cosa è certa: un concerto del genere non verrà mai sponsorizzato da nessuna nostra amministrazione. Non possiamo impedire che si svolga in un locale privato. Ma del resto nei locali privati si pratica anche lo scambio delle coppie...».
Per Federico Caner, consigliere regionale leghista, una canzone in salsa rock che vuole riscrivere il Padre nostro è una cosa “assurda”. «Il concerto non lo si può impedire, ma per me sarebbe meglio se non si facesse o se quella canzone non venisse interpretata. Indipendentemente che uno sia credente o meno, bisognerebbe avere rispetto del sentimento religioso. Spero che tutto questo susciti una reazione non solo dal mondo cattolico, ma anche in chi cattolico non è. Un po’ come è accaduto con le famose vignette contro l’Islam di qualche anno fa: insorsero non solo i musulmani, ma anche tutti gli altri. Qui è la stessa cosa. Non bisogna essere integralisti, ma avere un minimo di buon gusto».
Per Gianna Galzignato, segretario provinciale dell’Udc, la canzone del “Teatro degli Orrori” è semplicemente fuori luogo. «Se vuole essere una provocazione, non riesco a capire quale sia il fine -afferma- inoltre denota scarsa fantasia da parte dell’autore che avrebbe potuto fare la sua denuncia utilizzando mille altre parole. La preghiera più alta del cristianesimo, anzi “la preghiera” per eccellenza, meriterebbe più rispetto».


L'assessore alla Comunicazione di Roncade: «Non c’è nulladi blasfemo»
«Sinceramente in quella canzone non ci vedo nulla di così blasfemo». Chiara Tullio, assessore alla comunicazione istituzionale di Roncade, si sorprende un po’ per tutto il polverone sollevato dalla canzone sul Padre Nostro del gruppo “Teatro degli Orrori”. «Considerare blasfemi quei versi è una questione soggettiva -continua- ma da amministratore di un comune non vedo gli estremi per annullare il concerto o impedire che quella canzone venga cantata. Diverso è il discorso che riguarda il cantante Sizzla (rapper, il cui concerto è stato annullato dal gestore del New Age, lo stesso locale dove si esibirà il “Teatro degli Orrori” ndr): la polemica era giustificata dall’arrivo di molte lettere e mail contro la sua esibizione per via di alcuni testi ritenuti omofobi. Ma qui il discorso è diverso. Forse c’è della provocazione, ma non possiamo andare a sindacare su tutto quello che viene programmato al New Age. Se i gruppi che si esibiscono tengono comportamenti normali, non si può dire niente».


L'autore, Pierpaolo Capovilla: «È un urlo contro le ingiustizie della società»
Una preghiera in chiave rock. Oggi. Il Padre nostro. Il Teatro degli Orrori, rock band italiana, ha riscritto il Padre Nostro nell’album A sangue freddo, che la band proporrà a Treviso venerdì alle 22 al New Age di Roncade. Una canzone dal testo intenso, contro le ingiustizie e i mali della società moderna, che inizia con le parole della preghiera cristiana. Pierpaolo Capovilla, leader della band, spiega il significato del suo brano.
Come nasce l'idea di rivisitare il Padre nostro?
«È un tentativo di secolarizzazione della preghiera, un grido di giustizia, in un mondo dominato dalla rapina e dalla guerra. La rapina, ovvero lo stupro dell'ambiente e delle moltitudini che vi vivono. La guerra, come stato d'eccezione divenuto regola costante. Quando preghiamo, chiediamo al Padreterno di venirci in soccorso. Il Padre nostro rivisitato da Il Teatro degli Orrori nulla chiede a Dio, ma lo invita a non perdonare. Non c'è bestemmia né blasfemia, in questa canzone, ma disperazione e amorevolezza».
"Non soltanto Dio non governa il mondo ma neppure io posso farci niente": cosa voleva esprimere?
«Secondo la dottrina agostiniana del libero arbitrio Dio non governa il mondo, ci ha lasciati liberi di scegliere. Quasi sempre, scegliamo il male nelle sue più terribili vesti. L'individuo, di fronte alle ingiustizie, si sente impotente, preferisce delegare ogni decisione: è il problema del rapporto fra società civile e politica. Dovremmo imparare a ripartire da noi stessi, nella famiglia, con gli amici, nel lavoro: non distogliere lo sguardo di fronte agli abusi. Essere uomini e donne veri, cittadini coscienti, coscientemente democratici».
La musica rock come grido contro i mali della società: solo condanna o anche speranza?
«Un grido di disperazione sottende sempre il desiderio, imperioso in questo caso, di riscatto ed emancipazione. Sono convinto che veniamo al mondo per cambiarlo, non per lasciarlo quello schifo che è».



Noi riteniamo che la polemica sia, come spesso succede sterile e aridissima. La canzone a mio avviso non è nè blasfema nè irrispettosa della sensibilità cattolica, anzi è probabilmente una delle più riuscite dell'intero disco del Teatro degli orrori. Al di là delle parole dei giornali, vi proponiamo di ascoltare il brano 'incriminato' e di dirci la vostra. r.co.



1 commento:

  1. grande disco e gran canzone, nulla di blasfemo, solo profonda bellezza :)

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